Uis Blàncis, Borc Dodon, Denis Montanar.
Questo vino avrà anche la "Triple A" ma non passa il vaglio delle buone etichette. E vediamo perché. Innanzitutto la grafica, che come impatto cromatico può avere il suo karma, non tanto invece come stile e creatività, considerati i tre grossi tasselli squadrati che la caratterizzano. Qualche barlume di originalità lo può vantare, certo, soprattutto in una regione che come etichette è ancora molto tradizionalista (e anche per il vino, fortunatamente). Ma i problemi arrivano con le parole. Il nome, le definizioni letterali, insomma. "Uis Blàncis" (blend di uve bianche) e "Borc Dodon" (toponimo) sono in dialetto friulano, notoriamente una delle lingue locali italiane più difficili per chi non è di quella regione, logicamente. E va bene la tipicità, anzi va molto bene. Ma non crediamo che il produttore abbia unicamente ambizione di vendere il proprio vino nel circondario. Tra l'altro, anche a voler prendere le nomèica di questa etichetta come "tradizionale", le difficoltà fonetiche, di pronuncia e conseguentemente di memorabilità sono evidenti. Siamo in un ambito molto piccolo, artigianale al massimo, direbbe qualcuno. Ma allora perché stampare un'etichetta vera e propria? Basterebbe un pezzo di carta incollato sulla bottiglia con le diciture necessarie, magari scritte a mano, che farebbe ancora più "rurale" e in linea con il concetto di fondo dell'azienda.