Un Passito Cosmico con un Occhio Critico
Dare Rilievo al Verdicchio (dei Colli di Jesi)
Doroverde, Verdicchio, Tombolini.
L’azienda, che produce da generazioni il Verdicchio dei Castelli di Jesi, ha sede a Staffolo e in questa bottiglia ha deciso di rimarcarlo in modo originale. Nella parte centrale dell’etichetta, infatti, vediamo, in rilievo, la mappa vista dell’alto del paese stesso, con una iscrizione che riporta a una fortificazione che circonda il nucleo centrale di case: “Torrione Albornoz Staffolo”. La carta scelta per questo packaging è di pregio, e anche le parti non in rilievo regalano alla vista una texture valorizzante. Bella l’impaginazione che richiama uno stile antico ma attualizzato. Elegante la scelta del verde per alcune diciture nella parte bassa. Prezioso il carattere di scrittura del nome del vino, che per la cronaca è “Doroverde”. Un nome che allude alla vegetazione delle meravigliose colline marchigiane, impreziosito da una “doratura” che dona preziosità e sensazioni di eleganza. Con un certo orgoglio, giustamente, sopra al nome dell’azienda, oggi portata avanti dai figli di Fulvia Tombolini, leggiamo “Casa fondata nel 1921”. Non si tratta di una data sorprendente, nel mondo del vino, in Italia, ci sono aziende molto più antiche, ma tanto basta a sottolineare che c’è una bella storia di famiglia che si è tramandata da nonno a nipoti e così via.
La Storia e la Cultura si Fanno anche in Vigna
Falanghina, Guido Marsella.
Stiamo parlando di un piccolo produttore di Summonte in provincia di Avellino, specializzato in Fiano ma che produce anche una Falanghina, qui raffigurata. Il vino non ha nome: campeggia in alto e con importanza dimensionale, il nome del produttore. Guido Marsella, con la sottostante specifica “viticoltore”. L’etichetta in questione presenta in modo evidente le sue particolarità: in alto una sagoma imita la geologia montuosa dell’Irpinia. Il cognome del produttore si avvale di un carattere e di una modalità grafica da major di Hollywood, bello. Al centro verso il basso una illustrazione da stampa antica attira l’attenzione per le nudità dei due protagonisti, un uomo e una donna, che reggono dei grappoli d’uva. L’effetto generale non è solo attenzionale, le figure trasmettono anche qualcosa di storico, di tradizionale, oltre che campestre e agricolo. Quella infatti è una zona dove secoli, forse millenni, di viticoltura hanno forgiato quelle che ancora oggi sono le pratiche che consentono di produrre vino di ottima qualità. La buona tavola tipica della Campania, e la convivialità di quelle genti, insieme la vino, completano un panorama che tutto il mondo ci invidia.
Sangiovese Vitigno di Montagna?
Antigone, un Nome che è una Tragedia
Un Verdicchio da Gustare con i Polpastrelli
Caecus, Verdicchio di Matelica, I tre monti.
A prima vista, volendo gradire un gioco di parole, questa etichetta appare subito molto particolare: i noti caratteri puntinati dell’alfabeto Braille attirano l’attenzione. Ed è proprio tutto improntato gli occhi e al vedere, il packaging di questo Verdicchio di Matelica. Il nome innanzitutto, “Caecus”, che in latino significa cieco (ma anche oscuro, tenebroso, pieno di incognite). Ebbene, il tutto risulta essere un omaggio dell’azienda agricola “I tre monti” ad un avo dell’attuale proprietario, Lorenzo Montesi. Uno zio di quest’ultimo, infatti, Monsignor Luigi Pettinelli, missionario in terre lontane, in tarda età tornò alle origini ritirandosi presso il suo casale e i suoi terreni, costretto a leggere e scrivere in Braille a causa di una incombente cecità. Si tratta di un elaborato molto particolare, una “sottolineatura” al problema di chi non può vedere forme e colori di una etichetta, ma solo tastarne la consistenza e il rilievo. Al tempo stesso una immagine di questo tipo incuriosisce per la sua originalità anche chi la può vedere normalmente. Per quanto riguarda la grafica, risulta molto elegante, i caratteri di scrittura normali e puntinati si stagliano su un fondo nero austero ma stiloso. In fin dei conti si tratta di un pretesto, ma che ha un fondamento nella storia di famiglia.
La Lippa e la Barbera, Ovvero un Gioco da Ragazzi
Un Medico Bresciano Sfida l’Abate dello Champagne
Un Tranquillo Pomeriggio Bulleggiato
Rosé pour buller, Gamay, Domaine des Canailles.
Ci sono bottiglie che “annunciano” la loro eccezionalità fin dal primo sguardo. A questo funzione assolve naturalmente l’etichetta. Questo packaging nasce a Ternand, all’estremo sud della zona del Beaujolais, a una trentina di km da Lione. Così come il vino, logico, frutto di un Gamay vinificato in rosa. Vino biodinamico, frizzante naturale. Un prodotto particolare, senza dubbio, che meritava un’etichetta originale, come questa che vediamo qui riportata. Il nome del vino è “Rosé pour buller”, gioco di parole laddove “bulle” in francese sono le bollicine. Cosa vediamo? Due persone, si presume una donna e un uomo, stazionano sulle loro sdraio, con un calice di rosé in mano. Dai calici si sprigionano una serie di acini/bolle di color giallo, arancio e violaceo, che potrebbero rappresentare una “nuvola” di bollicine ma anche un grappolo d’uva. Lo stile dell’illustrazione è davvero originale: con pochi tratti, tutto sommato solo accennati, viene descritta e comunicata un’atmosfera di languida serenità da pomeriggio estivo. Il colore fa il suo gioco per attirare l’attenzione, ma il nome e la “scenografia” fanno da intrigante parte integrante.
La Semplicità di Romolo e Remo
Luperco, Montepulciano d’Abruzzo, Casale Certosa.
L’incipit di questa azienda laziale di Santa Palomba (che si può leggere nella home-page del sito internet) è molto interessante: “Noi siamo semplici agricoltori prestati al mondo del vino e pensiamo che l’agricoltura serva per essere usata senza troppi aggettivi nella sua semplicità e nelle sue imperfezioni”. A parte qualche piccola imperfezione nella frase, il concetto è pregnante. Il vino non è perfetto. E infatti quello buono non è (non dovrebbe mai essere) uguale a se stesso, di vendemmia in vendemmia. Stiamo parlando, in particolare di un Montepulciano in purezza che si chiama Luperco, nome che porta sulle proprie spalle, storia, miti e tradizioni. Diciamo subito che per gli Antichi Romani “Lupercus” (derivato da lupus, lupo) è un’antica divinità rurale invocata a protezione della fertilità. In onore di Luperco gli era stata dedicata una grotta, ai piedi del Palatino, dove si narra che vennero ritrovati Romolo e Remo, come si sa, allattati da una lupa. L’etichetta graficamente è molto spartana, lineare, minimalista. Fondo antracite (molto scuro, quasi nero), in alto (per fortuna, almeno quello, “scavato” in bianco) il nome del vino, al centro in basso, quasi invisibile, perché in inchiostro nero lucido, la figura primordiale di un omuncolo. Nome dell’azienda alla base. Possiamo definire questo packaging sicuramente elegante, molto formale, quasi sacrale. Ha un proprio stile, questo sì.
La Danza delle 4 Scimmie (per Procura)
La Danza del Viento, Garnacha, Bodegas 4 Monos Viticultores.
Questa particolare etichetta è stata creata da 4 amici madrileni (Javier Garcia, Laura Robles, David Moreno e David Velasco) che da non molto tempo hanno fondato una azienda vitivinicola. Sapete come si fanno chiamare? Le 4 scimmie viticultrici. Infatti il nome aziendale “4 Monos Viticultores” significa proprio questo, in spagnolo. Sull’etichetta di questo Grenache in purezza però, non ci sono 4 scimmie, bensì 4 ancelle, poco coperte se non fosse per qualche fiore in testa, che danzano riti dionisiaci. Il nome del vino in maggiore evidenza non è “La Danza del Viento” (almeno secondo le dimensioni ottiche che si vedono nel packaging), ma “La Isilla”, nome della parcella, solo 1 ettaro (solo 1000 bottiglie ogni anno) con viti di oltre 90 anni a 860mt s.l.m, dove viene coltivata l’uva che poi darà vita a questo vino. Visto che quella che viene rappresentata in etichetta è indubbiamente una danza, crediamo che il nome ufficiale del vino possa essere proprio quello inneggiante al minuetto in abiti adamitici che, con ironia tutta iberica, si è deciso di raffigurare. E come si dice da quelle parti: salud! (se invece un commensale starnutisce non si dice “salud!” ma “jesus!”, bizzarrie dei popoli).