Luperco, Montepulciano d’Abruzzo, Casale Certosa.
L’incipit di questa azienda laziale di Santa Palomba (che si può leggere nella home-page del sito internet) è molto interessante: “Noi siamo semplici agricoltori prestati al mondo del vino e pensiamo che l’agricoltura serva per essere usata senza troppi aggettivi nella sua semplicità e nelle sue imperfezioni”. A parte qualche piccola imperfezione nella frase, il concetto è pregnante. Il vino non è perfetto. E infatti quello buono non è (non dovrebbe mai essere) uguale a se stesso, di vendemmia in vendemmia. Stiamo parlando, in particolare di un Montepulciano in purezza che si chiama Luperco, nome che porta sulle proprie spalle, storia, miti e tradizioni. Diciamo subito che per gli Antichi Romani “Lupercus” (derivato da lupus, lupo) è un’antica divinità rurale invocata a protezione della fertilità. In onore di Luperco gli era stata dedicata una grotta, ai piedi del Palatino, dove si narra che vennero ritrovati Romolo e Remo, come si sa, allattati da una lupa. L’etichetta graficamente è molto spartana, lineare, minimalista. Fondo antracite (molto scuro, quasi nero), in alto (per fortuna, almeno quello, “scavato” in bianco) il nome del vino, al centro in basso, quasi invisibile, perché in inchiostro nero lucido, la figura primordiale di un omuncolo. Nome dell’azienda alla base. Possiamo definire questo packaging sicuramente elegante, molto formale, quasi sacrale. Ha un proprio stile, questo sì.