Kripta, Cava, Agusti Torello.
Andiamo subito al punto: "Kripta" significa sostanzialmente Tomba. Ovvero luogo di sepoltura che di solito contiene più di una bara, spesso due o quattro. Originariamente le cripte venivano costruite sotto alle chiese per contenere le spoglie dei santi o di qualche eminente ecclesiastico. Oggi si possono trovare cripte di famiglia nei cimiteri di tutto il mondo. Parola di origine greca: cryptè significa "luogo copertto, nascosto". È anche vero che per gli antichi romani la cripta era una sorta di corridoio, galleria et simili, dove la gente si radunava a socializzare in caso di intemperie. Si chiamavano "cripte" anche dei loggiati nelle ville romane dove si riponevano gli alimenti al fresco, e quindi anche nel significato di "cella", cantina. Ma tornando al primo impatto che sovviene leggendo questo nome, esso è indiscutibilmente, anche per i romani, riconducibile a "catacomba". Il vino che porta questo nome è un Cava, come gli spagnoli chiamano i loro spumanti, di una certa ricercatezza e pregio. La forma della bottiglia, che vuole riprodurre le antiche anfore romane, è certamente valorizzante e originale (se riuscite a farla stare in piedi quando la portate in tavola). I vitigni impiegati nella produzione di questo vino sono Macabeo, Xarello e Parellada. L'illustrazione in etichetta è dell'artista Rafael Bartolozzi: bella nel tratto, certamente inquietante proprio come il nome, che per alcuni, soprattutto in Italia dove la scaramanzia è ancora in auge, potrebbe addirittura risultare funereo. Insomma, uno spumante che la festa potrebbe anche rovinarla. Altro che "fare il botto".