Fontalpino, Chianti Classico,
L’etichetta è di quelle molto semplici. Pochi elementi, ordinati e centrati. Il packaging conduce l’attenzione, in modo naturale, sul nome del vino, molto protagonista, al centro, insieme a una illustrazione “scarabocchiata” in rosso (che potrebbe essere una collina con dei cipressi o carpini). L’illustrazione vorrebbe risultare “artistica”, ma a nostro parere è fin troppo approssimata, quasi “buttata lì” per caso, come uno schizzo preparatorio ad un elaborato vero e proprio. Tornando al nome del vino, vediamo che non è esente da qualche problema semantico e fonetico (o viceversa): ove il significato originario risulta essere “Fonte al Pino” (una antica fonte in loco, circondata da pini, ora sostituiti da carpini), la fusione, in pronuncia e anche in scrittura di queste parole genera “Fontalpino”. Questo neologismo però attira l’attenzione sulla parola “alpino”, il mitizzato milite di montagna. Potrebbe, al limite, portare al significato “la fonte dell’alpino” (intesa come vino, non come acqua: l’acqua gli alpini non la bevono, la usano per distillare le vinacce). E comunque, in generale, l’immagine dell’alpino, così fortemente radicata nel vissuto e nel parlato italiano, cannibalizza tutto il resto. Chiariamo: non c’è nulla di male se il riferimento vola fino agli alpini, tra l’altro grandi estimatori del vino rosso, e se i cipressi (o carpini) si trasformano in piume e la collina in un cappello, ma probabilmente, trattandosi di un Chianti (siamo a Castelnuovo Berardenga, Siena) alpi e alpini non sono sinergici con il territorio. È solo un esempio di come un nome può contenere molteplici significati, non sempre quelli desiderati.