La Mattacchiona, Barbera, Accornero.
C’è un modo di dire che può ben rappresentare questa etichetta: “una scarpa e una ciabatta”. Chiariamo: il packaging in sé non è affatto male, nella sua valenza estremamente classicista. Ma la modalità, il carattere di scrittura (il font, dicono gli addetti ai lavori), con il quale è scritto il nome del vino, crea qualche perplessità. Andiamo all’origine della parola: “la Mattacchiona”, che segna semanticamente una persona di sesso femminile (la Barbera, in questo caso) dallo spirito libero e allegro. Il paragone con il tipo di vino ci sta. Questo nome è appositamente scritto in modo “matto”, fuori dagli schemi classici, in rosso. Ci sta anche questo, conferma il senso, il significato del nome. Ma stona con tutto il resto. Infatti, sotto al nome del vino l’etichetta continua con uno stile molto forbito, attempato, serio, tradizionale. Si nota subito lo stacco tra l’ambiente grafico della parte superiore (e il suo modo di comunicare) e quello sottostante (che parla quindi un linguaggio diverso). Quale sarebbe stata la soluzione ideale? Adattare uno all’altro i due ambienti grafici. Cioè scrivere in modo “serio” La Mattacchiona, o virare in modo allegro la parte inferiore dell’etichetta. Quello che è stato fatto qui, invece, in architettura lo chiamano “restauro conservativo”. Ma la sua buona riuscita è faccenda davvero delicata. Nella quale in certi casi è meglio non imbattersi.