Dalle pagine del produttore, una famiglia piemontese, estrapoliamo la definizione di questo vino: “il sapore è di beva scorrevole, snella e vivace, discreta sapidità, piacevole, agrumato e rinfrescante. Perfetto per l’aperitivo, da provare con il sushi e il cibo Thai”. Il suo nome è “Birichin”, forma dialettale per birichino o biricchino (con due “c” è ritenuta forma diffusa ma inesatta), di origine emiliana (ma qui siamo in Piemonte, a Canelli, nonostante i riferimenti a cibi esotici). Il nome del vino deriva probabilmente da “briccone” e sta per “bambino vivace e impertinente”. Il vino in questione è frizzante e quindi l’accezione calza, sia pure in modo di certo non originale (si trovano molti altri vini con questo nome). Nell’etichetta vediamo in alto il cognome (e marchio) della proprietà, mentre in basso la grafica propone dei grovigli blu, azzurri e argento che non hanno ragion d’essere se non per pura decorazione (forse sono le trame disegnate da un bambino piccolo?). Il tutto comunica sì qualcosa di giovane, spicciolo, veloce, semplice, fruibile, ma con una modalità fin troppo approssimata. Poco spazio al concettuale, non apprezzabili le tonalità azzurre che portano al mare (eventualmente) o a qualcosa di acquatico piuttosto che di vinoso. Tappo a vite che non è vita.