Esistono delle parole che possono essere definite onomatopeiche (da onomatopea). La descrizione di Treccani dice: “modo di arricchimento delle capacità espressive della lingua mediante la creazione di elementi lessicali che vogliono suggerire acusticamente, con l’imitazione fonetica, l’oggetto o l’azione significata”. Siamo qui di fronte a una parola, il nome del vino, di questo genere. Sia pure pescando nella dizione dialettale. In pratica, per chi conosce il dialetto piemontese (ma anche chi non lo conosce, con un po’ di fantasia, ci potrebbe arrivare), “Sclint” fa riferimento alla trasparente brillantezza del colore di questo vino. In pratica sclint significa brillante. A noi, ma è soggettivo, ricorda il titinnìo di un bicchiere di cristallo. Comunque sia, si tratta di un nome originale, che in questo caso viene penalizzato da un carattere di scrittura non chiarissimo (a dispetto del nome stesso, ironia della sorte ma anche delle scelte grafiche). Gli altri elementi che compongono questa etichetta: il nome del produttore, in alto, “Poderi Colla”, non bellissimo perché ricorda un materiale davvero poco commestibile (diranno in molti: “si tratta del cognome della famiglia titolare…”, e noi rispondiamo che non è certo un obbligo chiamare un’azienda col cognome dei proprietari, dipende, appunto, dal cognome). Sullo sfondo del packaging si nota un drago leonardesco, davvero bello, ma purtroppo l’unico elemento lasciato in secondo piano. Per il resto si assiste a una impaginazione fin troppo normale.