In questa etichetta si nota innanzitutto quel motto in dialetto che fa da ricamo all’ovale-marchio: “Ogni uss a l’ha so tambuss”. Cosa significa? Letteralmente: “Ogni uscio (porta) ha il suo batacchio” per sottolineare l’importanza della capacità di ogni produttore di vino nel valorizzare le particolarità di ogni singola vigna e di saperla “riversare” nel calice. Un ottimo incipit. Certo, da interpretare, perché il piemontese, come ogni dialetto, non fa molta strada oltre i confini regionali. Va quindi spiegato. Ma il senso è curioso ed efficace. Anche il nome del vino si esprime, con l’idioma piemontese: “Tamardì” che, spiegato testualmente del produttore nel proprio sito internet, significa “manifestare una reazione di stupore di fronte a qualcosa di inatteso e particolarmente sorprendente”. Lo stupore in questo caso è dovuto all’insolito abbinamento tra un vitigno internazionale e uno autoctono, dando vita a un esperimento vincente. Scendendo ancora verso la parte inferiore dell’etichetta troviamo infine il nome del produttore: “Monchiero Carbone”, in pratica si tratta dei due cognomi dei ri-fondatori dell’azienda, che nel 1990 riprendono in mano le terre delle rispettive famiglie per proseguire in una avventura enoica che guarda al futuro ma attinge a piene mani nella tradizione. Prova ne sia l’arcaica testa di leone che campeggia su tutte le etichette e che funge da logo aziendale. Etichetta in fin dei conti è molto tradizionalista ma in grado di proporre spunti concettuali interessanti.