Calcababio, Bonarda, Monsupello.
Il nome di questo vino rosso della nota casa vinicola Monsupello (oggi gestita dagli eredi di Carlo Boatti, il fondatore) merita qualche approfondimento. Siamo nell’Oltrepò Pavese dove il vino viene prima del pane. Insomma una zona dove da sempre si coltiva la vite e si produce il nettare degli Dei, in questo caso soprattutto per gli acquirenti milanesi. Questa Bonarda (Croatina il vitigno) si chiama “Calcababio”. E’ già difficile da pronunciare per chi non è avvezzo al dialetto locale, ed è difficile anche intercettarne il significato. Sembra, per altro, che nei pressi della sede aziendale e dei vigneti ci sia un paese che ora si chiama Lungavilla e che precedentemente si chiamava “Calcababbio” (con due “b”), nome topografico che si rifà al verbo “calcare” e al dialettale “babi” cioè rospo. Lo stemma comunale infatti ritrae ancora oggi un piede che schiaccia un rospo. In dialetto la forma dialettale completa è “calchér ‘l babij” e probabilmente si riferisce storicamente alle azioni di bonifica delle zone boschive selvatiche o paludose (particolarmente frequentate dai rospi) per renderle adatte alla coltivazione. Da qui il nome in questione, diciamo così, italianizzato per renderlo (relativamente) pronunciabile. Certo non è un nome facile da ricordare, ma se si racconta la sua origine tutto cambia. E il povero rospo ne va di mezzo, come in ogni fiaba simbolica.