Il Respiro di una Terra Fertile e di Popoli Generosi
Nella Piana Buffa Canta il Grillo Sicano
Grillo, Luna Sicana.
L’azienda si trova nell’entroterra di Agrigento, in Contrada Piana Buffa, a Casteltermini, nella Sicilia profonda dove si coltivano quasi esclusivamente vitigni autoctoni come il Grillo. Vitigno bianco, dal nome evocativo, se non altro per identificare anche i simpatici insetti che in estate cantano allegramente, soprattutto nelle campagne assolate. Grillo, è un appellativo breve e memorabile e quindi perché non utilizzarlo come nome del vino? Certo che, in questo caso, serve un’etichetta distintiva (visto che tutti i vini prodotti col vitigno Grillo possono portare in etichetta, più o meno grande, questo nome). Ed ecco che Luna Sicana, azienda di recente nascita (2008), crea un packaging molto colorato, allegro, pirotecnico, con il gentile tratto dell’acquarello. Si tratta, se vogliamo, di normalissime, potremmo dire anche banalissime, macchie di colore, sporcature d’artista. In questa collocazione però spiccano per originalità, si fanno notare, stimolano la fantasia. Ci si potrebbe vedere il mare, gli uliveti e i pistacchieti nei quali è immersa la proprietà, colline vitate, vegetazione, sole, terra, cielo. Una sorta di etichetta “autogestita” dalla propria immaginazione. In basso troviamo l’annata del vino, in alto il logo del produttore, composto dal nome, Luna Sicana (come dire, luna siciliana), e da un acino d’oro (forse una luna), anch’esso disegnato con tecnica libera amanuense. Il tutto sta bene insieme. Collima. Piace.
Il Pescatore Pescato e le Sirene di Taranto
Il Pescatore, Vitigni a Bacca Rossa,
Il Gruppo Italiano Vini, oggi proprietario della storica cantina Feudo (Castello) Monaci, decide di vestire le etichette di questa gamma di vini pugliesi con colori forti e iconografie narrative. Lo stile ricorda un po’ certe etichette siciliane, sia pure con un minimo di distinguibilità. Il nome di questo rosso è “Il Pescatore” (il pescatore “pescato” diremmo noi, visto che la sirena lo sta irretendo con la sua coda), in modo complementare esiste anche un bianco che si chiama “la Sirena”. La storia che sta dietro a questi due personaggi è quella relativa alla Leggenda di Skuma (forma dialettale tarantina per schiuma, quella delle onde): una coppia di sposi hanno vicende intricate al termine delle quali lui viene trascinato via dai flutti e da quella volta lei (Skuma), aiutata dalle altre sirene del golfo di Taranto, nelle notti di luna piena, si aggira per le spiagge del luogo sperando nel ritorno del proprio amato. Il packaging è stato realizzato con una impaginazione semplice, diretta, percettiva. In alto il logo dell’azienda, al centro il nome del vino con la dicitura della Doc, in basso l’illustrazione, con un tratto netto, pulito, fumettistico ma da favola. Tra la coppia vediamo un fiore che aggiunge un tocco di romanticismo. Il marketing ha lavorato bene.
Ciclismo e Vino, Connubio Salutare
Un Brigantaggio Significativo in Terre Lacustri
Brigante (Bianco), Blend di Bianchi, La Costa.
Questo vino bianco Terre Lariane Igt, oltre a rappresentare una zona vinicola poco conosciuta (e anche, in generale, poco stimata) ci offre l’occasione di raccontare qualcosa di interessante relativo al suo nome. Si chiama “Brigante” come altri vini in Italia (non è originalissimo, insomma). Richiama subito qualcosa di romanzesco, e qualche attività fuorilegge. Anche per il fatto che siamo vicini al confine svizzero dove da sempre si “muovono” commerci al limite del consentito. Ma c’è di più: il produttore di questo virtuoso vino lariano, nella scheda dedicata, nel proprio sito internet, spiega che “Brigante” è da intendersi “…nel senso scherzoso di un vino gioviale, per allegre brigate…” e che “…vuole anche richiamare il nome d’origine di Brianza, Brig, che significa colle o altura”. Siamo infatti nella parte alta della Brianza, sottozona della Lombardia, ricca di colline che diventano montagne nei pressi del Lago di Como. Il vino è di quelli che vengono prodotti in quote limitate, circa 10.000 bottiglia, e sa distinguersi anche nel calice, oltre che per l’etichetta. Due originalità: in basso, vicino al nome dell’azienda, La Costa, vediamo un logo che simula un grappolo d’uva, realizzato con macchie di inchiostro. Al centro vediamo, con un tratto nero, alcune colline con terrapieni concentrici e con due alberi sulla sommità, che potrebbero però portare la mente ai cipressi tipici della Toscana. Nel complesso un packaging semplice ma a suo modo dinamico, laddove una comunicazione fatta di pochi elementi molto distintivi serve a caratterizzare e a farsi ricordare.
Un Nero che Diventa Oro, Proprio Sotto al Vulcano
Nerina, Carricante e altre uve bianche, Girolamo Russo.
Un vino bianco (Etna Bianco) che si chiama “Nerina”? Sembrerebbe una contraddizione in termini. Ma non qui, a Passopisciaro, sulle pendici dell’Etna, dove la terra è nera, detta “sciara”, frutto della sedimentazione della lava. Il nero, quindi, viene visto come un colore caratteristico del luogo, della terra s’intende, come un pregio, un valore, un nutrimento davvero particolare per la vite. Stiamo parlando di uno dei vini della gamma dell’azienda Girolamo Russo, ei fu, oggi rilevata e condotta dal figlio Giuseppe. Venti ettari principalmente coltivati a Nerello Mascalese e, appunto, Carricante. In questo vino bianco partecipano al 30% anche altri vitigni autoctoni come il Catarratto, la Minnella, l’Inzolia, il Grecanico e la Coda di Volpe. Tornando all’etichetta, vediamo in alto la sagoma (nera) del vulcano, alcuni filari in prospettiva al centro e in basso il nome del produttore. Si tratta di una grafica molto distintiva, originale, che parla del territorio con uno stile moderno, con un illustrazione molto semplice ma efficace dal punto di vista della comunicazione e della percezione. Il nome del produttore, scritto a mano, fornisce quella sensazione di genuinità, di vicinanza, che spesso il consumatore apprezza. Nome memorabile così come l’etichetta. E la Trinacria del vino, cresce.
Tim come Timorasso. Pablo come Neruda
Champagne, Crémant, Satèn e Affini
Crémant, Blend di Bianchi Alsaziani,
Non ci può essere migliore e più incisiva affermazione di questa, per le potenzialità del “Crémant”. In pratica uno Champagne fuori zona che non può chiamarsi come il cugino maggiore (per questioni legali e burocratiche). Il Crémant, in sostanza è un termine inventato (un po’ come il Satèn qui da noi, in Franciacorta, che per la cronaca è la pronuncia della parola “satin” in francese, e che significa “raso” e non “seta” come molti credono) per dare definizione e notorietà a un tipo di bollicine che può facilmente fare concorrenza al celebre Champagne. In questo caso si tratta di un Metodo Classico alsaziano, prodotto con vitigni come Pinot Bianco, Auxerrois, Riesling, Pinot Grigio (tutti insieme). Bello anche il nome di linea, Les Vins Pirouettes, adottato dal Domaine Christian Binner. Ma torniamo alla grafica in etichetta, cioè al vero e proprio packaging: fondo totalmente rosa, che colpisce, scritta a tutto campo “Crémant” a caratteri cubitali. In pratica, invece di nascondersi dietro a definizioni imitative, qui viene affermato con forza che questo vino è orgogliosamente un Crémant. Fa gioco per tutti i produttori che hanno in gamma questa tipologia. Crea una comunicazione di genere. In basso a sinistra si legge un altro nome, “Raphael”, che dovrebbe essere l’ennesimo nome del produttore (c’è un po’ di confusione in questo ambito: abbiamo Les Vins Pirouettes, Domaine Christian Binner e Raphael come nomi aziendali, tutti in vario modo riportati su etichetta o comunicazione, la qual cosa non facilità la memorabilità come invece fa la grande scritta nera su fondo rosa, protagonista di questo post.
Il Garbo Tradizionale di una Valtellina d’Antan
Vigna Fracia, Nebbiolo, Nino Negri (G.I.V.).
Nel progetto di rinnovo delle etichette della nota cantina valtellinese Nino Negri (di proprietà e sotto l’egida del Gruppo Italiano Vini) rientra anche il vino prodotto con le uve dell’avito vigneto Fracia. Il nome del vino (della vigna, in sostanza) non è propriamente musicale, la fonetica non è il suo forte, ma è breve e soprattutto è un nome legato alla storia di quelle terre. La sottozona, Valgella, non è certo tra le più note e prestigiose, come Sassella o Grumello, ma l’esposizione della vigna è ottima e l’uva ringrazia. Veniamo alla grafica, chiamiamolo packaging insomma, visto che il marketing del Gruppo Italiano Vini è presente e ben operativo in questo caso. Stile arcaico, in generale. Non strizza l’occhio alle nuove generazioni. Soprattutto a causa di quella torre in alto e al cartiglio sottostante, con la dicitura “Fondata nel 1897”: l’elaborato è decisamente d’antan. Idem per il carattere di scrittura della parola “Fracia”. L’impaginato è centrato e ordinato, sullo sfondo, a tutta etichetta, troviamo una trama delle curve altimetriche dei vigneti (non topografiche, bensì imitative). Quasi non si notano, in bianco, su sfondo grigio-azzurro tenue. L’unica creatività del packaging è data da alcune “riserve” (si dice così nel linguaggio da tipografia) che evidenziano i segmenti della trama in modo diversamente tras-lucido. Ma per poterlo vedere serve una luce di traverso, nella foto frontale in pratica è impossibile. Il risultato generale è un po’ timido in termini attenzionali, non ha slancio. La tradizione in Valtellina ha ancora il suo peso, nelle decisioni in vigna e in cantina (per fortuna) e spesso anche per quanto riguarda la comunicazione.
Lo Stupefacente Vino-Birra del Dragone
Dragone Lambic, Aglianico (e birra), Cantillon (e Cantina Giardino).
Innanzitutto è necessario precisare che si tratta di un “vino-birra” o meglio ancora di una “birra-vino”. Infatti la base di questo prodotto è il Lambic, ovvero una specie di birra acida fermentata con lieviti indigeni, insomma qualcosa di molto selvaggio, al naso e al gusto. L’esperimento consiste nell’aggiungere del mosto di vinacce di Aglianico. Diciamo subito che a noi, più che il prodotto in sé, interessa la sua etichetta. Contornato da una cornice di fattezze art-decò, un tenebroso dragone (o Drogone) assiso su una botte, si gode la bevanda con espressione concupiscente. Il disegno è ben realizzato, nei minimi particolari, e contribuisce non poco a definire l’area di “consumo”. A metà tra un’etichetta arcaica di vino e una da birra storica, trasmette comunque velleità da taverna e da notti mefistofeliche a base di alcol, qualunque esso sia. Il nome del vino (pardon, del vino-birra) è curioso e memorabile con quella “o” che muta il dragone in qualcosa di stupefacente (Drogone è anche il nome di condottieri e monaci medievali, a dire il vero, ma a noi piace interpretarlo come uno stimolo a pervenire a (benèfici) stati alterati di coscienza).