Un "Lombardo" in Terra Veneta

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Gran Lombardo, Valpolicella Ripasso, Bonfanti Vini.

Il nome di questa linea di vini si scontra con l'origine del produttore. Siamo in Veneto, a riprova del fatto che la Valpolicella è collocata geograficamente a nord di Verona. Non solo Valpolicella superiore per questa linea di Bonfanti: c'è anche l'Amarone, un rosso, un bianco e un rosé. Tutti sotto l'egida del "Gran Lombardo". La Lombardia è vicina, vero, ma la topografia non collima. Dove sta l'arcano? Nente di meno che in una frase della Divina Commedia: "Lo primo tuo rifugio e 'l primo ostello sarà la cortesia del Gran Lombardo" (Dante: Paradiso Canto XVII). La frase completa del Sommo Poeta continua con un ugualmente enigmatico "...che in sulla scala porta il santo uccello". Il tutto merita di essere approfondito. Ebbene, Dante Alighieri, citando il "Gran Lombardo" parla di Alboino della Scala, della famiglia degli scaligeri, signori di Verona per lungo tempo attorno al 1300. Per chi non conosce la storia a "menadito", leggere Gran Lombardo su un vino veneto potrebbe generare qualche perplessità. O forse una curiosità che possa spingere ad informarsi meglio. Il nome è certamente sontuoso, atteggia a una sorta di grandezza, esperienziale se non anche storica. Per cui ci sentiamo di promuoverlo in ogni caso. Per quanto riguarda il design dell'etichetta, si potrebbe dire niente di nuovo: elegante, toni scuri e orli dorati, equilibrata, senza guizzi creativi se non nella semantica culturale del nome.

Granchi in Val di Suga (Strano ma Vero)

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Val di Suga, Brunello di Montalcino, Poggio al Granchio,

Due elementi di curiosità in questa etichetta: la descrizione, quasi una storia, sul fronte etichetta, delle caratteristiche climatiche della zona dove sono coltivate le viti di Sangiovese (stiamo infatti parlando di un Brunello di Montalcino). E poi il nome dell'azienda: Poggio al Granchio. Iniziamo da quest'ultimo riportando la spiegazione che il produttore ha collocato nel proprio sito web: "...il nome deriva da un piccolissimo stagno al centro della proprietà, sotto un imponente leccio, dove si trovano al suo interno dei simpatici e vispi granchi di acqua dolce". Certo non ci si aspetta una specie come il granchio sulle colline ilcinesi. Se non, appunto, precisando che si tratta di quelli di acqua dolce. Si poteva pensare, senza una adeguata spiegazione, a qualche sedimento marino nel terreno. Anche "Val di Suga" che in questo caso si erge a nome del vino (a quanto pare) risulta strana come nomenclatura, eppure " è una valle stretta sulla dorsale sud-est di Montalcino che scende in direzione di Sant’Antimo". Veniamo alla spiegazione "climatica": "Da uve baciate dal sole mattutino...", benissimo. Poi "...che ricevono il fresco soffio benefico e vitale del Monte Amiata". Il cerchio è chiuso (anche graficamente). Caldo e fresco. Beneficio vero per la vite e i suoi frutti. Da notare, oltre alla particolareggiata illustrazione al tratto, al centro dell'etichetta, anche la bussola in alto a sinistra: in evidenza i due punti cardinali Sud ed Est, ad indicare l'esatta esposizione dei colli vitati di questo Brunello.

Il Vino che Non C'è

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San Giusto, Cabernet Franc (questa volta), Vigneti Poggiofoco.

Il nome di questo vino non è nulla di speciale, nel senso che nell'Italia clericale di nomi che inneggiano a santi ce ne sono molti. Tanti quante sono le chiese e le cappelle votive. E' invece la dicitura posta in etichetta proprio sotto al nome, che ci ha incuriosito, cioè "Il vino che non c'è". L'azienda in questione, sita in Toscana ed esattamente in Maremma, lavora a regime biologico e con una propria filosofia tutta imperniata sul naturale, nel rispetto di uomo e ambiente. Il produttore ha deciso per questo vino di utilizzare ogni volta un vitigno diverso: questo è il punto saliente. Ad ogni stagione, ad ogni vendemmia, viene scelto un tipo di uva da utilizzare che sarà quindi ogni anno diverso. Originale come iniziativa, a volte utile, per ovviare a qualche capriccio del meteo.
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Originale sottolinearlo in etichetta con un misto di ironia e mistero. In questo caso, noi abbiamo preso ad esempio l'annata 2010, quando il vino è stato prodotto con il vitigno Cabernet Franc. La grafica dell'etichetta (packaging design per gli americani) è ugualmente originale, a metà tra l'arte contemporanea, la decorazione murale e i fantasiosi costumi del Cirque du Soleil. Nel complesso tra il visual e i testi utilizzati, questa bottiglia, anche se non è definibile come elegante o come "classica", sicuramente guadagna in visibilità e in simpatia. Due fattori universalmente validi: il primo sullo scaffale e il secondo con gli amici a tavola.

Puntini di Vista Colorati

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Rablè, Barbera d'Asti, Vignaquaranti.

Si tratta di una azienda giovane che ha iniziato la proprie attività nel 2007. La scelta, per le etichette, è stata di andare controcorrente, rispetto al classicismo che ancora vige da quelle parti (Monferrato, Piemonte). Il tema ricorrente del packaging design dei vini di Vignaquaranti sono dei puntini colorati. Una trama che si propone subito nel logo (una Q formata da tanti puntini) e si sviluppa poi nella grafica e nella cartotecnica delle etichette. Il risultato reca una buona originalità, anche se questa soluzione "moderna" spiazza un po' anche chi sostiene nuove strade di comunicazione. Risulta cioè molto "asciutta", emozionalmente sterile, computerizzata.
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Veniamo ai nomi, in grado di ammorbidire le percezioni: Quaranti è il paesello (in provincia di Asti) dove ha sede l'azienda. Da qui Vignaquaranti (tutto attaccato). Il nome di questa Barbera scalda ancora di più l'anima dei buongustai della vita: il nome Rablè è stato scelto in omaggio allo scrittore rinascimentale francese Francois Rabelais (per assonanza), noto per i fantastici racconti di Pantagruel e Gargantua (titolo originale del primo racconto "Gli orribili e spaventosi fatti e prodezze del molto rinomato Pantagruel re dei Dipsodi, figlio del gran gigante Gargantua"). Si tratta di una serie di romanzi dove si susseguono, tra altre incredibili avventure, grandi mangiate ed epocali libagioni. Assolutamente da leggere sorseggiando un buon vino, purché italico!

Se Questa è un'Etichetta

Pian del Ciampolo, Sangiovese e Canaiolo, Montevertine.

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Riprendendo il titolo che abbiamo attribuito a questo post: se questa è un'etichetta allora tutti i designer del mondo possono dismettere la loro attività da questo momento. Possono andare in pensione. E' chiaramente una battuta, una provocazione, la nostra, di fronte al packaging di questa bottiglia di vino che viene prodotto da una nota e stimata casa vinicola toscana che opera in Radda in Chianti. Si tratta della medesima azienda che produce anche il pluripremiato "Le Pergole Torte". Il vino che mostriamo qui nelle due foto inserite nell'articolo è un "basso di gamma" (per quanto "basso" si possa definire uno qualsiasi dei vini di Montevertine), composto da Sangiovese e Canaiolo (a quanto sembra, in alcune annate, anche da Colorino).
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Lascia molto perplessi l'etichetta, laddove invece quella del top di gamma Le Pergole Torte ha la propria personalità e distintività sul mercato. L'etichetta di questo "Pian del Ciampolo" è davvero "tipografica". Insomma, con tutto il rispetto per l'artigianale (una volta) arte della tipografia, potrebbe everla composta un bimbo, forse il figlio del tipografo di un piccolo paese. Caratteri normalissimi, impaginazione centrata, nessuna concessione a soluzioni creative o emozionali. Una cornice, un piccolo stemma, il resto sono parole. Certo, qualcuno dirà che a parlare in questo caso non è l'etichetta bensì il vino. D'accordo: grande passione, grande dedizione, grande qualità. Ma un piccolo sforzo per rendere gradevole anche l'etichetta non lo potremmo fare?

Rosé con Ghiaccio (per Brindare a un Amore?)

marketing comunicazione immaginePiscine, Rosé, Vinivalle.

Marketing, marketing e ancora marketing. Probabilmente Google bannerà questo post in sospetto di utilizzare parole ripetitive, ma i fatti sono questi: si tratta di una colossale (e costosa) operazione di marketing. Il vino, un Rosé di quelli che non importa nemmeno molto cosa c'è dentro, si presenta in modo molto originale (e comunque è originale anche il vitigno con il quale è prodotto, a dire il vero, il Négrette). La bottiglia è completamente vestita con una mìse azzurrissima che ricorda molto le cabine della spiaggia (o delle piscine, poi veniamo al nome) e comunque con un mood molto marino. Infatti nasce concettualmente in Costa Azzurra (le uve vengono invece dalla Còtes du Frontonnais). Il nome non induce al dubbio: Piscine, è un vino da bere ai bordi di uno specchio d'acqua e, secondo le precise indicazioni del produttore, servito in un bicchiere largo e basso con abbondante ghiaccio. Cosa dire? I russi bevono lo Champagne con il ghiaccio e i francesi pur di venderglielo non dicono nulla... figuriamoci se ci si può scandalizzare per qualche cubetto di ghiaccio in un rosé! A parte questo (e il tappo a vite) il packaging di questo vino è decisamente "ottico". Insomma si fa notare. Stacca dal gruppo, si distingue, emerge. Sfrontato fronteggia lo scaffale con sbarazzina allegoria. E probabilmente se ne venderanno a secchi (a millenials e dintorni).

Il Pecorino è un Vino Equino

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'Ekwo, Pecorino, Tenuta Terraviva.

Questa etichetta si può tranquillamente definire come una "copy-label". Una etichetta, insomma, che è "tutta nome". Nella sua soluzione grafica, nell'ergonomia, molto semplice, del packaging, praticamente emerge solo il nome del vino. Andiamo con ordine: l'azienda è in regime biologico e si trova in provincia di Teramo. Produce molte tipologie di vino principalmente con vitigni autoctoni. Bello il nome della proprietà: Tenuta Terraviva. Nel sito del produttore si allude al "tenere viva la terra" affinché essa restituisca buoni frutti. Un concetto pregnante e valorizzante. Tornando all'etichetta, questa dell'Abruzzo Pecorino Doc, vediamo subito che il nome del vino è protagonista assoluto, 'Ekwo. Il significato? Non facile da trovare: la rete dice che si tratta di "equino" in lingua antica indoeuropea. A questo proposito viene citato anche il termine sanscrito "acvah". In pratica il "cavallo" dei giorni nostri è foneticamente affine, accomunabile al latino "caballus". E si potrebbe proseguire citando il serbo antico "kobyla" e via dicendo. Di fatto l'equino con il percorino (il vino) c'entra solo per la rima. Forse in vigna utilizzano ancora il cavallo da tiro per il lavori agronomici? Forse i titolari dell'azienda hanno passione per i cavalli. Non sappiamo. Fatto sta che si tratta di un cavallo, sia pure semanticamente nascosto. Ultima notazione: non abbiamo capito il perché di quell'accento o apostrofo che precede il nome stesso. Forse questioni di registrabilità.

Colline Erotiche a Ovest di Firenze

marketing immagine comunicazione wineEros, Petit Verdot, Fattoria Castellina.

L'antologia dell'eros è ampia e variegata. Difficile anche inquadrare questo concetto in una definizione. Proviamoci con Treccani: "dal greco ἔρως nome del dio dell’amore (che i Greci impersonarono in Eros, figlio di Afrodite), usato anche come nome comune per indicare sempre il desiderio, l’istinto sessuale, con riferimento alle concezioni che di esso ebbero gli antichi. Eros si contrappone a Thanatos". Si tratta di un'etichetta molto "ottica", con un croma incisivo, quasi invadente (arancione forte). La grafica è semplice, immediata: il nome del vino (Eros) in alto, brevi specifiche in basso (vitigno e agricoltura biodinamica), nome del produttore alla base. Al centro troviamo una sinergia con il nome: linee sinuose che possono ricordare parti del corpo femminile. Sorge spontanea una citazione: "...vorrei sentire i tuoi seni accendersi poi, come due piccoli vulcani, sentirli sotto le mie mani e scivolare poi sul pendio quello dolce che hai..." (Eros Ramazzotti, Fuoco nel Fuoco). Certo le due linee tracciate al centro dell'etichetta possono essere delle colline, quelle toscane attorno alla proprietà che produce questo vino, ma il nome porta con sé allusioni e quindi si tratta solo di riuscire a immaginare di quale parte del corpo si tratta. E quando si stimola la fantasia, il ricordo è sempre più incisivo.

Far Flanella tra Parigi, Napoli e Bordeaux

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Le Flaneur, Bordeaux Rouge.

Un'etichetta semplice, ben curata, ben riuscita. La sagoma di un uomo in chiaro su sfondo scuro. Le scritte di legge, un nome (che è anche nome dell'azienda): Le Flaneur. La magia è data anche dalla... poesia. Infatti per commentare questo nome bisogna tirare in ballo Baudelaire. Scrive Wikipedia: "Il termine francese flâneur (al plurale flâneurs), reso celebre dal poeta Charles Baudelaire, indica il gentiluomo che vaga oziosamente per le vie cittadine, senza fretta, sperimentando e provando emozioni nell'osservare il paesaggio. La parola non possiede un'esatta corrispondenza in italiano". E ancora, giusto per precisare: "Baudelaire sosteneva che... un artista si dovesse immergere nella metropoli per diventare un 'botanico del marciapiede', un conoscitore analitico del tessuto urbano. Poiché coniò il termine riferendosi ai parigini, il flâneur (colui che bighellona/passeggia) e la flânerie (il bighellonare/passeggiare/vagare) sono associati sia a Parigi sia a Napoli e con quel tipo di ambiente, che lascia spazio all'esplorazione non affrettata e libera da programmi. Il flâneur è tipicamente molto consapevole del suo comportamento pigro e privo di urgenza: per esemplificare questa sua caratteristica umorale, era descritto come "uno che porta al guinzaglio delle tartarughe lungo le vie di Parigi". Affascinante questa parola, che in realtà un collegamento con l'italiano se l'è ricavato. Infatti Treccani dice: "Flanèlla, dal francese (faire) flanelle, connesso col verbo flâner 'andar bighellonando'. Nella locuzione fare flanella, conforme al significato francese, stare senza fare niente, essere presente in un luogo senza contribuire al lavoro con la propria attività".

La Fine Violenta degli Acini di Uva

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The assassination of Pinot Noir, Lj Brimfield.

Davvero coraggiosa questa etichetta per un Pinot Noir del quale sappiamo davvero poco (e pochissimo si riesce a trovare in rete). Il vino viene prodotto da una piccola azienda con sede in Oregon, stato degli Usa che si sta sempre più distinguendo per la coltivazione di questo capriccioso vitigno. Tornando all'etichetta: il nome del vino è "The assasination of Pinot Noir", proprio così. E l'immagine non dà adito a dubbi: macchie di vino come se fossero sangue dopo una sparatoria o comunque in seguito di un atto violento. Se ci pensiamo bene la pressatura degli acini di uva è sempre un atto violento che ha come obiettivo la fuoriuscita del succo.
inchiostro di stampa
Succo e polpa d'uva che anche nel caso del Pinot Nero sono chiari. Ma dopo, al contatto con le bucce il succo diventa rosso come lo sconosciamo tutti. E tutti sappiamo anche che macchia molto se finisce su cravatte o tovaglie. Le macchie, in questo caso di inchiostro di stampa, che vediamo su questa etichetta sono realizzate tecnicamente davvero bene: sono in rilievo e lucide, per fornire all'occhio dell'osservatore un realismo di forte impatto. Qualcuno potrebbe anche dire che l'associazione vino-sangue disturba l'occhio. Di certo, prima lo attira. Non avendo informazioni in merito non sappiamo, infine, come si è perpetrato questo assassinio: speriamo che il prodotto, comunque si sia salvato!

La Semplicità di Tutti i Giorni

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Tutti i giorni rosso, Ciliegiolo Sangiovese Grenache, Antonio Camillo.

Non si può certo considerare un nome "Tutti i giorni rosso". E' una frase, una esortazione, un mantra. Troppo lungo per essere un vero e proprio nome, troppo schietto per passare inosservato. Ed ecco quindi un vino base, di un piccolo produttore tradizionalista della maremma grossetana. Intenzionalmente un vino di basso costo e di "alto consumo". 
Un rosso da tutti i giorni, di grande bevibilità, semplice e spicciolo, mantiene quel poco che promette ma lo fa in modo sincero. Certamente originale, se non il vino, almeno la formulazione del nome. Ma veniamo all'etichetta vera e propria. E' semplice, moderna ma "di campagna", molto visibile, con qualche particolarità, come la gradualità dei colori che sfuma da più intenso a più tenue, e quella sagoma di vignaiolo con il carretto che proietta la propria ombra nel tassello bianco in basso a destra. E' semplice ma risulta simpatica, si fa amare e rispettare. E infine quella affermazione in basso, vicino al nome del titolare: "vini di territorio", un altro modo di dire terroir, genuinità, naturalità... una precisazione che non fa mai male.

Il Colore Come Elemento Trainante

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Licurti, Primitivo di Manduria, Trullo di Pezza.

Strano nome, questo, aziendale: Trullo di Pezza. Sembra essere il nome di una contrada presso Torricella in provicia di Taranto. Siamo quindi in Puglia (o "nelle Puglie" come dicono alcuni) e infatti il vino è un Primitvo di Manduria. Certo che "Trullo di Pezza" non è molto valorizzante, anzi, per niente. Ove un trullo, tipica costruzione di quei luoghi, se fosse davvero fatto di pezza sarebbe ben poco protettivo e laddove "pezza", in italiano, ha una connotazione di scarso valore: qualcosa fatto di pezza è di scarsa considerazione. Altre accezioni popolari non migliorano le cose, tipo il modo di dire "mi ha attaccato una pezza...". Ma probabilmente si tratta di antica e topografica nomenclatura. Adottata dal produttore come riferimento geolocalizzante. Per quanto riguarda il nome del vino, "Licurti", doverebbe essere di derivazione dialettale. Non abbiamo trovato riscontro certo. Di sicuro è corto (lo dice il nome stesso), immediato, compatto, abbastanza memorabile anche se... poco legato con l'immagine. Al centro dell'etichetta infatti si vede la bella illustrazione di una gallina variopinta. Immagine che per forza cromatica e raffinatezza dell'esecuzione attira certamente l'attenzione. Per il resto vediamo una impaginazione pulita, essenziale, dal design elegante e gradevole.

Passerine Brasiliane d'Abruzzo

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Kukukaya, Passerina, Cascina del Colle.

Vediamo: cosa significa lo strano, esotico, esoterico, esterofilo nome di questo vino? Nulla c'entra con il vitigno o con la regione di provenienza (Abruzzo) o con la storia del produttore... Kukukaya, come dichiarato dall'azienda titolare nel proprio sito web è un "nome ispirato alla fresca allegria dell'omonimo locale brasiliano". E allora andiamo a vedere com'è questo locale carioca. Il posto si trova in Av. Pontes Vieira, 55 a Fortaleza, nella regione di Ceará in Brasile (per chi passasse di là) e propone musica dal vivo di vari gruppi sudamericani. Nelle immagini in etichetta spicca una ballerina da Carnevale di Rio, tutta piume, bargigli e curve (sarà attinente con il nome del vitigno, la Passerina?). Un omaggio alla suadente (e saudade) giovialità dello stile brasileiro, tutto musica, danze e gioia di vivere. Particolare anche il carattere di scrittura del nome del vino che però, come il resto del design, si scontra con il logo del produttore, in alto, molto classico, e con il mondo rurale del vino italiano. Ma tant'è che questa inusitata allegria crea attenzionalità, mettiamola così. Se si cercano ragioni, infatti, non se ne trovano. Non c'è razionalità in questa scelta. C'è voglia di stupire, di sorridere, di vivere un buon calice in compagnia di gente simpatica.

Eleganza Italiana per l'Export

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Terre di Faiano, Primitivo.

Pur nella sua semplicità, questa etichetta offre qualche spunto di analisi. Si tratta di un Primitivo pugliese (Salento) destinato prevalentemente all'export. Nonostante questo (cioè il fatto che basterebbe l'italianità a vendere) l'etichetta ha un proprio stile ricercato, ripetiamo, nella sua estrema semplicità. Il colore innanzitutto, non consueto, in grado di differenziarsi a scaffale. Il nome del vino (e della linea stessa di vini) con "Terre" in evidenza (più in grande), ove la terra, ma anche il luogo geografico, giocano un ruolo importante. Carattere di scrittura moderno ma nei canoni classici adusi al mondo del vino, con inchiostro specchiato (preziosità). La finezza delle illustrazioni (foglie, sembra, ma non di vite) e la particolarità dell'etichetta fustellata (sagomata) nell'angolo in alto a destra e in basso a sinistra. Per quanto riguarda le altre scritte: "primitivo", il nome del vitigno, e "organic wine", che significa tutto e significa niente, ma serve a tranquillizzare un certo tipo di pubblico, soprattutto all'estero. E infine, in basso un "made in Italy" che non nuoce affatto, anzi, sarebbe da utilizzare anche in Italia, non solo per l'export, tanto vale il fatto che il vino viene prodotto proprio in Enotria, la terra del vino, orgoglio e garanzia anche per gli italiani.