Questo produttore che ha sede in un angolo d'Italia all'estremo Est del paese, nel così detto Collio, ha puntato tutto su una lettera: l'iniziale del proprio cognome. Il cognome, Keber, come è facilmente intuibile, viene dall'altra parte del confine, dalla Slovenia e scavando nelle dinastie probabilmente anche più in là, verso gli estesi confini che segnarono le conquiste dell'Impero Austro-Ungarico. A noi qui importa che una lettera, la "K", è diventata marchio. Molto distintivo, tra l'altro. La lettera in questione non è stata scritta con caratteri tipografici bensì tratteggiata con i rapidi segni di un pennello. Campeggia su tutte le bottiglie dell'azienda e giustamente viene utilizzata ovunque: non solo nel pac(K)aging ma anche per la comunicazione e il mar(K)eting in generale. Anche nel sito aziendale, piuttosto originale, la K di Keber ha un ruolo da protagonista e si fa vedere in mille modi e colori dominando la scena. Se vogliamo, le etichette dei vini sono abbastanza spoglie: fondo a tinta piatta, la grande K al centro, il cognome del produttore per esteso, il suo nome "Edi" in modalità firma autografa e il nome del vitigno alla base del fronte etichetta (sul retro vengono raggruppate tutti gli altri dati e le menzioni di legge). Ma la semplicità dell'etichetta non preclude, anzi enfatizza, l'efficacia di questo segno preminente. Un mossa da esperti comunicatori, pensata e realizzata da un uomo (illuminato) che si definisce orgogliosamente "un contadino". Insomma la K non scappa.