Ufologia o enologia? A volte si compensano. La prima in etichetta, la seconda dentro la bottiglia. Si tratta di un produttore australiano che ha una gamma di vini abbastanza costosi che vanno dallo Chardonnay alla Grenache, dal Tempranillo al "nostro" Nebbiolo. Attira l'attenzione quello che è stato eletto anche come simbolo/logo aziendale: una specie di omino extraterrestre (in realtà anche molto terrestre e "radicato", soprattutto nell'immagine a destra) che come stile e grafica pesca un po' nella futurologia, un po' in quelle immagini sacre (e anche dissacranti) dei riti dei morti messicani e chissà in quale altro meandro della creatività di chi lo ha creato e disegnato. Certo si fa notare. L'omino in questione viene "giocato" in varie cromìe per tutte le etichette di questo produttore, delle quali noi presentiamo solo un paio, per sintesi. Viticoltore? Dio greco? Predecessore? Ufo in terra? Due grappoli alle estremità, due galline aggrappate alle gambe (che diventano due ricci nell'immagine di destra). Sicuramente qualcuno si è divertito. Ed è riuscito a divertire anche noi.
Il Corsivo Spettrale di Custoza
Val dei Molini, Custoza Doc, Cantina di Custoza.
Siamo evidentemente di fronte a un caso-limite. Nel senso che a volte ci si chiede se ci siano dei limiti nella competenza di chi la comunicazione la fa, piuttosto che nella capacità di comprensione di chi la comunicazione la riceve. Il nome di questa linea di vini dobbiamo scriverlo noi, qui in chiaro, perchè sull'etichetta difficilmente è intelleggibile: "Val dei Molini". Il carattere di scrittura (se così possiamo definirlo) scelto per questa "comunicazione", infatti, è una specie di corsivo-spettrale che non consente agilmente di essere recepito. Ci chiediamo, perché? Perché un'azienda dovrebbe fare una scelta del genere? Per essere o apparire diversi? Per fare una cosa "strana"? Originale? Particolare? Moderna? Difficile a dirsi. Il fatto è che l'etichetta è quella che vedete, e il nome pure. Notare che questo nome, con questo "carattere" di scrittura, viene ripetuto, con colori diversi, 9 volte per distinguere i vari vitigni/vini della gamma aziendale. Tutto ciò si colloca a pieno diritto nella categoria "inspiegabile".
Dama Peccaminosa in Estate Californiana
Summer in Napa (SIN), Pinot Noir, Trefethen.
Salta subito all'occhio la gaudente dama inglese sull'altalena (inglese nello stile, il vino è californiano, Napa Valley). Forse è l'insieme di colori, sul rosa ma accesi. Forse è la spensieratezza che questa immagine richiama. Una leggerezza estiva che probabilmente questo rosé è "incaricato" di addurre. Il nome del vino è un gioco di parole: SIN, dove alla base viene specificato "Summer in Napa". Quasi un invito, visto che l'azienda vinicola che produce questo vino è anche organizzata per una ospitalità di tipo enoturistico. Il fatto è che "sin" in inglese significa peccato. Cioè un riferimento al peccare, ad indulgere in comportamenti "baldanzosi". A guardare bene (purtroppo le immagini reperibili in rete non sono di qualità) in basso a sinistra si vede un uomo nell'atto di spingere l'altalenante signorina e/o alternativamente, vista la posizione, di sbirciare tre le sue sottane. Possiamo dire di essere di fronte a un'etichetta gioconda e spiritosa che al tempo stesso però esprime il senso di estate e di spensieratezza. Non è un caso allora che nel testo di accompagnamento alla scheda del vino, nel sito del produttore si legge: "Live on the edge and be SINful!"
Un Moscato Femminile e Saraceno
Milirosu, Moscato di Saracena,
Masseria Falvo 1727.
Masseria Falvo 1727.
Il prodotto "fiore all'occhiello" di questa azienda calabrese, situata quasi al confine con la Basilicata, nei pressi del Parco Nazionale del Pollino, è un passito davvero particolare, perché ottenuto, in parte, dalla concentrazione tramite bollitura di due dei tre vitigni che lo compongono. Si tratta di una antica tradizione mutuata dai saraceni. Ecco cosa riferisce in proposito il sito aziendale: "Nel 1915 Norman Douglas, nel suo libro Old Calabria, fa risalire il vitigno del Moscato di Saracena "...all'uva portata dai saraceni da Maskat...". Ottenuto seguendo un'antica ricetta che le famiglie "saracenare" si tramandano con piccole personalizzazioni, ma con due note indissolubili e costanti: la concentrazione del mosto tramite bollitura e l'inconfondibile presenza del Moscatello". A questo punto, visto che l'etichetta, graficamente, non offre grandi emozioni, passiamo a osservare il nome del vino: "Milirosu". Originale, sicuramente dialettale. Infatti il produttore ci spiega che "...nel dialetto locale, milirosu era un agrume molto particolare, che cresceva nell'area di Sibari, un'arancia dolcissima e profumata, dalla buccia liscia e sottile, che per queste sue caratteristiche non era reputato un frutto "da uomini", per cui i contadini ne facevano omaggio alle loro donne ed ai loro bambini". Qualcuno potrebbe dire che si tratta di un nome e uno storytelling "sessista". Di fatto questa è la storia e merita di essere raccontata.
Francesismi in Terra di Puglia
Pochi e chiari elementi in questa etichetta di un produttore pugliese. Abbiamo il nome del vino, il nome del vitigno, una piccola illustrazione e il nome e marchio dell'azienda. Fondo bianco ad evidenziare il tutto. Potremmo definirla un'etichetta "lineare" anche perché è connotata, oltre che dai semplici elementi descritti prima, da una linea che percorre in orizzontale tutto il fronte, dove troviamo seduta una minuta figura di donna con un vestito estivo a pois. E visto che abbiamo citato una parola in francese, passiamo ad analizzare il nome del vino, anch'esso in francese: "Trousse". Si tratta di una parola ben conosciuta anche in Italia, soprattutto da parte delle donne che spesso di questo oggetto fanno uso. Treccani dice che trousse è: "...derivato di trousser, mettere insieme, impacchettare". Inoltre può essere: "Astuccio per contenere oggetti varî destinati a un determinato scopo (i ferri di un chirurgo, l’assortimento di materiali di un fotografo, gli strumenti della manicure, i prodotti per il trucco, le lampadine di ricambio per automezzi, ecc.) oppure borsetta da sera per signora costituita da un astuccio rigido, di tartaruga, oro, argento, avorio, materie plastiche e simili, foderato di velluto o di raso". La gentile signora ritratta in etichetta non è dotata di borsetta ma immaginiamo che possa farne uso. Certo il significato del nome non collima con altre possibili ipotesi: il vino infatti non è un blend, bensì viene prodotto col vitigno "Minutolo" in purezza. Rimane quindi l'impressione che il nome sia "fine a se stesso", o meglio voglia ammiccare ad una certa eleganza francese della quale le donne italiane e i vini italiani non sentono il bisogno.
Le Virtù Eroiche di chi Produce Vino
Aretè, Grillo, Anabasis.
È giovane il titolare di questa azienda vinicola siciliana. Ma ha già le idee molto chiare, a giudicare dalle etichette e dal vino che produce. Anche se, tutto sommato, avere le idee chiare o scure dipende dalla personalità e non dall'età. Le vigne e la produzione sono a Marsala, terra nota per quel vino ossidato che molti usano per cucinare e che gli inglesi si ostinano a bere. Ma gli inglesi sono altra cosa, si sa. Michelangelo Alagna (attenzione: il cognome corrisponde comunque a quello di una nota marca di vino Marsala, chissà...) coltiva e produce Nero d'Avola, Grillo e Zibibbo (secco) ai quali ha attribuito nomi che attingono nella saggezza greca, ancora molto presente in Sicilia. Riportiamo qui a sinistra l'etichetta di "Areté", parola greca (ἀρετή) che viene così descritta da Treccani: "...in origine significava la capacità di qualsiasi cosa, animale o persona di assolvere bene il proprio compito: così c’è un’aretè dell’arco, un’aretè del cavallo ecc. Di qui il successivo accostamento al tema semantico del latino 'virtus' (questa infatti non è che l’aretè del vir, la bravura dell’eroe) per designare il valore spirituale e la bravura morale dell’uomo". L'illustrazione in etichetta, un disegno abbastanza semplice nello stile, diciamo narrativo, quasi fumettistico, rappresenta un percorso, una strada che dalla vigna arriva al tempio votivo. Il percorso è disseminato di clessidre a indicare il tempo necessario a compiere bene il tragitto (il lavoro). Nel sito internet dell'azienda, l'etichetta viene spiegata così: "Dopo un inizio segue sempre un percorso verso una meta. L'obiettivo da raggiungere, più è grande più è lontano. Il percorso, lungo, è scandito da diverse tappe, ognuna delle quali segna una crescita, un'ascesa verso la virtù e il valore. I compagni di questo viaggio non possono che essere volontà, coraggio e passione". Bella anche la descrizione di questa parola da parte del sito di consulenza filosofica che si chiama anch'esso "Areté" (ma con l'accento opposto, chissà chi ha ragione...): "Areté significa virtù. Oggi la parola porta con sé una sfumatura moralistica che non restituisce il suo significato originario. In realtà, sin dagli antichi Greci, parlare di virtù vuol dire parlare di ciò che rende la vita umana degna di essere vissuta, ricca di significato ed esempio per gli altri. Significa anche individuare alcune peculiari abilità, come quella di sapersi decidere e di saper governare se stessi". I nomi degli altri due vini in gamma sono, per il Nero d'Avola, "Katharsis" (la catarsi) e per lo Zibibbo, Hedonysm (edonismo). E infine il nome aziendale: "Anabasis" in riferimento all'Anabasi di Ciro, la più celebre opera di Senofonte. Non resta che aggiungere un commento sulla qualità dei nettari di questa piccola azienda: non sempre è possibile assaggiare tutti i vini che in questo blog analizziamo per quanto riguarda il packaging, ma in questo caso lo abbiamo fatto. E rifatto, perché erano molto buoni.
Romangia che ti Passa
Pensamentu, Cannonau, Cantina Sorres.
Siamo in Sardegna, ed esattamente in Romangia (che assona ma non c'entra con la Romagna) una zona circoscritta a nord dell'isola, tra Porto Torres e Castelsardo per intenderci. Il Cannonau laggiù (anzi, lassù) è di rito (e si chiama localmente Retagliadu Nieddu). Ancora di più per la Cantina Sorres di Sennori, visto che il Cannonau "Pensamentu", questo il nome del vino, è l'unico vino in "gamma". Iniziamo a scoprire il nome dell'azienda, "Sorres", che in dialetto significa sorelle. Sono infatti due giovani sorelle a portare avanti l'attività, dopo aver preso le redini e la conoscenza da nonni e genitori. In etichetta, infatti, il logo è rappresentato da due "R" contrapposte che all'interno dell'occhiello mostrano i profili del viso delle due titolari. Vediamo quindi il packaging: fondo nero, elegante, impreziosito da caratteri e grafiche in oro. In alto, in primo piano, una tipica decorazione da collo che è parte integrante del costume regionale che le ragazze indossano ancora oggi nei giorni di festa. Una trama che impreziosisce l'etichetta e che riporta alla bellezza delle tradizioni, che non sono solo enogastronomiche ma anche artistiche e culturali. Sul retroetichetta una citazione in dialetto, tradotta anche in italiano: "...un vino ...che dà conforto ad ogni dolore". E infine il nome, "Pensamentu", perché questo vino, adatto sì al pasto sia pure con adeguate (saporite) pietanze, con la potenza dei suoi 15% eleva l'anima e la mente verso strati di consapevolezza che rasentano la meditazione pura. Insomma, gli ingredienti giusti per una serata enoica ed eroica ci sono tutti. Anche perché il vino è davvero buono.
Le Etichette col Morbillo, Fatte con Amore
Chakra, Autoctoni Pugliesi, Giovanni Aiello.
I vini si chiamano Chakra Rosso, Chakra Verde, Chakra Blu, Chakra Rosato e sono molto buoni. Lui si chiama Giovanni Aiello e si definisce "Enologo per Amore". Detto questo ci interessa richiamare l'attenzione sulle etichette. Davvero particolari, originali, uniche, nella loro "manifestazione" e ancor più nella loro realizzazione. Succede questo: Giovanni Aiello, titolare, enologo e in questo caso anche designer della propria azienda, ha pensato di creare una specie di "calco", un cliché, fissando su una tavoletta di legno dei chiodi da carpenteria con la testa di dimensioni diverse. Intingendo la sommità dei chiodi in un normale smalto da pittura e quindi imprimendo delicatamente questa matrice su una pellicola trasparente adesiva, ecco creata l'etichetta puntinata che caratterizza la linea vini di questa azienda pugliese. Colori diversi per i diversi prodotti: gli autoctoni utilizzati sono Verdeca, Maruggio, Marchione per i bianchi e il Primitivo per il rosso e il rosato. Si tratta di un lavoro paziente e lungo, totalmente gestito "a mano". Una volta asciugata la tinta, le etichette, sempre a mano, vengono fatte aderire al vetro delle bottiglie e sono pronte per la vendita, ma soprattutto per sorprendere l'occhio dei curiosi clienti. Nel sito del produttore come rational di questa idea si legge: "La linea Chakra, con le sue etichette dipinte a mano, rimanda all’essenzialità dei paesaggi pugliesi, fatti di pietra viva e colorate distese di campi". E ancora: "La qualità richiede tempo, passione ed estro creativo. È una sfida, e l’abbiamo accettata, dipingendo a mano ogni etichetta, con pazienza e perseveranza. Il risultato? Irregolare, insolito, singolare: proprio come piace a noi". Un risultato a tutto campo che riguarda l'estetica delle bottiglie, il branding, il modo di comunicare e naturalmente la qualità elevata dei prodotti. Applausi.
Pecorelle Smarrite in Terre Marchigiane
Saltatempo, Verdicchio, La Marca di San Michele.
Non si tratta di un Pecorino (vitigno) come spesso capita vedendo una pecorella in etichetta. Bensì di un Verdicchio (pur sempre delle Marche, nei pressi di Jesi). Curioso il nome, innanzitutto: dopo gli altri due nomi originali di vini di questa azienda (Capovolto e Passolento), incontriamo il "Saltatempo". E cerchiamo una interpretazione. Forse la si trova nel fatto che il vino è "di pronta beva", ovvero si tratta di un vino di "seconda gamma", o ancora meglio, tecnicamente, di seconda spremitura. Insomma si risparmia tempo perché non è un vino da invecchiare (per chi lo vuole bere) e risparmia tempo il produttore che non deve affrontare cicli produttivi troppo complessi. Non è un "cru", è un vino "spicciolo" senza pretese di essere king-of-the-hill. Veniamo alla curiosa immagine. Una illustrazione quasi fumettistica che raffigura una pecorella, come detto all'inizio di questo post, griffata con una stella rossa in stile russo o anche cubano, che salta un ostacolo. Dietro di lei un piccolo gregge. Forse il riferimento è anche al modo di dire "contare le pecore", per chi fatica ad addormentarsi. Certamente il tutto attira l'attenzione, sia per le scelte cromatiche (nero, bianco, rosso), sia per l'immagine decisamente curiosa.
Sprazzi di Semplicità Cromatica
Il Vei, Ortrugo, Savino Braghieri.
Nella sua semplicità questa etichetta attira l'attenzione. Forse sono i colori, quella foglia di un verde molto vivo, oppure quel puntino rosso che attira l'occhio e che corrisponde a una graziosa coccinella. Per il resto, nulla di eclatante: un carattere di scrittura graziato per la definizione del vitigno che compone questo vino: Ortrugo dei Colli Piacentini. C'è un altro elemento focalizzante in etichetta, "il Vei", facente funzione di nome, ma anche nome aziendale, apprendiamo dal sito della proprietà. Si apprende anche che si tratta di dialetto piacentino: "il Vei" infatti significa semplicemente "il vino". Niente di più facile e coerente, visto che l'azienda si propone come biologica e quindi dai tratti comunicativi, oltre che organolettici, di tipo non edonistico. Tutte le etichette della produzione aziendale presentano in primo piano la verdissima foglia di vite (con coccinella) e il nome "il Vei", cambiando solo il colore della fascia superiore e logicamente la specifica del vitigno utilizzato per i vari vini in gamma. I nomi dialettali spesso portano difficoltà di pronuncia e di memorizzazione per un pubblico non locale, ma in questo caso l'estrema brevità del nome risolve, almeno in parte, la questione.
Niente di Niente ma Almeno l'Uva c'è
Nà de Nà, Croatina e altre uve locali, Gualdora.
L'etichetta di questo vino piacentino, che negli ultimi anni è cambiata mantenendo una semplicità essenziale, se non elementare, porta il vezzo di un nome in spagnolo: "Nà de Nà". Una scelta che si ritrova anche in un altro vino della gamma aziendale, il Blanca (Malvasia). Nel sito non viene riportata una ragione specifica, forse questa scelta è dovuta all'ipotesi che per l'azienda la Spagna è un canale di vendita privilegiato (nel sito infatti la traduzione dei testi viene operata anche in lingua spagnola). È facile intuire che "Nà de Nà", cioè "nada de nada", significa "niente di niente", e rispecchia la "fisionomia" di questo vino che, come dichiarato nella scheda tecnica, viene prodotto senza solfiti aggiunti, senza additivi o coadiuvanti e non viene sottoposto a processi di stabilizzazione. Negli ultimi anni la moda dei vini "senza niente" sta dilagando, con la relativa esigenza da parte dei produttori di segnalarlo con forza in etichetta, non solo con diciture "tecniche" ma anche con nomi che possano ricondurre direttamente alla questione. La scelta di farlo, in questo caso, in lingua spagnola è curiosa, diciamo simpatica. Fortunatamente la somiglianza tra l'italiano e lo spagnolo facilita la fruizione intuitiva di questo nome. Per quanto riguarda l'impronta grafica di queste etichette, sia per quella precedente (a sinistra) sia per quella attuale (a destra), vediamo che il colore la fa da protagonista: tutti gli altri elementi di attenzionalità, in gran parte assenti, delegano alla cromìa il compito di attirare l'attenzione.
Piccole Gioie di Oggi in Abito Anni '70
Piccole Gioie, Moscato (dolce) d'Asti, Ghione.
Questa azienda famigliare di Canelli, Piemonte, oggi è gestita da Anna, l'ultima generazione, ma è attiva dal 1800. L'immagine percepita dal sito e dal logo aziendale è di qualcosa di "datato", uno stile grafico che si potrebbe riferire agli anni '70, forse mai cambiato fino ad ora. In ogni caso l'immagine-chiave che figura su tutte le etichette non è brutta, anzi. Denota creatività e incisività: si vedono due mezzi bicchieri con al centro un grappolo, anch'esso smezzato. I colori dello sfondo confermano la "spaccatura" che rende il tutto molto dinamico e in un certo senso moderno. Una modernità d'altri tempi, ma che a livello di impatto visivo resiste. Il nome del vino che abbiamo scelto come esempio di tutta la gamma è "Piccole Gioie", forse si chiama così perché tra tutti i prestigiosi vini piemontesi, il Moscato (dolce) d'Asti è davvero definibile come una piccola gioia finale che di solito si degusta con qualche dessert. I toni del verde rispecchiano i riflessi del vino e sono coerenti. Come si diceva all'inizio di questo articolo anche le altre etichette della casa riportano il medesimo disegno, con nomi diversi, e logicamente con colori diversi, sempre "coordinati" con il tipo di vino. Rosa e fucsia per il rosé, giusto per menzionarne e visionarne un altro. In generale l'etichetta a nostro parere piace, identifica, distingue, caratterizza. Ha insomma una propria dignità.
Un Frizzantino Canadese al Confine della Realtà
Il vino in questione e raffigurato qui a sinistra si chiama "Origin" ma la sua vera origine "strutturale" non è data a sapersi. Nel senso che non vengono citati vitigni o metodo di lavorazione: il produttore e qualche recensione di e-commerce in rete dicono solamente che si tratta di un vino frizzante e "aromatico". Da bere così o da utilizzare per realizzare cocktail o mix-appeal vari. Si tratta di un vino in lattina, come si può vedere. Una lattina di quelle lunghe e strette, con un packaging che potremmo definire quasi natalizio, in generale con velleità festose: sfondo bianco, scritte e particolari in oro. Oltre al nome, in verticale e in dimensioni assolutamente visibili, ci sono, a quando sembra, delle bolle o bollicine che svolazzano e formano una specie di tema, di texture. Potremmo definirlo un prodotto moderno? Giovane? Spigliato? Probabilmente. Mercato americano, produttore canadese che si trova proprio sul confine tra Usa e Canada, nella zona delle cascate del Niagara e da questo il nome aziendale "Between the Lines" che si concretizza anche con un logo che traccia con una linea il confine. Agli yenkee piacendo.
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