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Entità Sciamaniche tra Cielo e Terra
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Il Corsivo Spettrale di Custoza
Val dei Molini, Custoza Doc, Cantina di Custoza.
Siamo evidentemente di fronte a un caso-limite. Nel senso che a volte ci si chiede se ci siano dei limiti nella competenza di chi la comunicazione la fa, piuttosto che nella capacità di comprensione di chi la comunicazione la riceve. Il nome di questa linea di vini dobbiamo scriverlo noi, qui in chiaro, perchè sull'etichetta difficilmente è intelleggibile: "Val dei Molini". Il carattere di scrittura (se così possiamo definirlo) scelto per questa "comunicazione", infatti, è una specie di corsivo-spettrale che non consente agilmente di essere recepito. Ci chiediamo, perché? Perché un'azienda dovrebbe fare una scelta del genere? Per essere o apparire diversi? Per fare una cosa "strana"? Originale? Particolare? Moderna? Difficile a dirsi. Il fatto è che l'etichetta è quella che vedete, e il nome pure. Notare che questo nome, con questo "carattere" di scrittura, viene ripetuto, con colori diversi, 9 volte per distinguere i vari vitigni/vini della gamma aziendale. Tutto ciò si colloca a pieno diritto nella categoria "inspiegabile".
Dama Peccaminosa in Estate Californiana
Summer in Napa (SIN), Pinot Noir, Trefethen.
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Un Moscato Femminile e Saraceno
Milirosu, Moscato di Saracena,
Masseria Falvo 1727.
Masseria Falvo 1727.
Il prodotto "fiore all'occhiello" di questa azienda calabrese, situata quasi al confine con la Basilicata, nei pressi del Parco Nazionale del Pollino, è un passito davvero particolare, perché ottenuto, in parte, dalla concentrazione tramite bollitura di due dei tre vitigni che lo compongono. Si tratta di una antica tradizione mutuata dai saraceni. Ecco cosa riferisce in proposito il sito aziendale: "Nel 1915 Norman Douglas, nel suo libro Old Calabria, fa risalire il vitigno del Moscato di Saracena "...all'uva portata dai saraceni da Maskat...". Ottenuto seguendo un'antica ricetta che le famiglie "saracenare" si tramandano con piccole personalizzazioni, ma con due note indissolubili e costanti: la concentrazione del mosto tramite bollitura e l'inconfondibile presenza del Moscatello". A questo punto, visto che l'etichetta, graficamente, non offre grandi emozioni, passiamo a osservare il nome del vino: "Milirosu". Originale, sicuramente dialettale. Infatti il produttore ci spiega che "...nel dialetto locale, milirosu era un agrume molto particolare, che cresceva nell'area di Sibari, un'arancia dolcissima e profumata, dalla buccia liscia e sottile, che per queste sue caratteristiche non era reputato un frutto "da uomini", per cui i contadini ne facevano omaggio alle loro donne ed ai loro bambini". Qualcuno potrebbe dire che si tratta di un nome e uno storytelling "sessista". Di fatto questa è la storia e merita di essere raccontata.
Francesismi in Terra di Puglia
Pochi e chiari elementi in questa etichetta di un produttore pugliese. Abbiamo il nome del vino, il nome del vitigno, una piccola illustrazione e il nome e marchio dell'azienda. Fondo bianco ad evidenziare il tutto. Potremmo definirla un'etichetta "lineare" anche perché è connotata, oltre che dai semplici elementi descritti prima, da una linea che percorre in orizzontale tutto il fronte, dove troviamo seduta una minuta figura di donna con un vestito estivo a pois. E visto che abbiamo citato una parola in francese, passiamo ad analizzare il nome del vino, anch'esso in francese: "Trousse". Si tratta di una parola ben conosciuta anche in Italia, soprattutto da parte delle donne che spesso di questo oggetto fanno uso. Treccani dice che trousse è: "...derivato di trousser, mettere insieme, impacchettare". Inoltre può essere: "Astuccio per contenere oggetti varî destinati a un determinato scopo (i ferri di un chirurgo, l’assortimento di materiali di un fotografo, gli strumenti della manicure, i prodotti per il trucco, le lampadine di ricambio per automezzi, ecc.) oppure borsetta da sera per signora costituita da un astuccio rigido, di tartaruga, oro, argento, avorio, materie plastiche e simili, foderato di velluto o di raso". La gentile signora ritratta in etichetta non è dotata di borsetta ma immaginiamo che possa farne uso. Certo il significato del nome non collima con altre possibili ipotesi: il vino infatti non è un blend, bensì viene prodotto col vitigno "Minutolo" in purezza. Rimane quindi l'impressione che il nome sia "fine a se stesso", o meglio voglia ammiccare ad una certa eleganza francese della quale le donne italiane e i vini italiani non sentono il bisogno.
Le Virtù Eroiche di chi Produce Vino
Aretè, Grillo, Anabasis.
È giovane il titolare di questa azienda vinicola siciliana. Ma ha già le idee molto chiare, a giudicare dalle etichette e dal vino che produce. Anche se, tutto sommato, avere le idee chiare o scure dipende dalla personalità e non dall'età. Le vigne e la produzione sono a Marsala, terra nota per quel vino ossidato che molti usano per cucinare e che gli inglesi si ostinano a bere. Ma gli inglesi sono altra cosa, si sa. Michelangelo Alagna (attenzione: il cognome corrisponde comunque a quello di una nota marca di vino Marsala, chissà...) coltiva e produce Nero d'Avola, Grillo e Zibibbo (secco) ai quali ha attribuito nomi che attingono nella saggezza greca, ancora molto presente in Sicilia. Riportiamo qui a sinistra l'etichetta di "Areté", parola greca (ἀρετή) che viene così descritta da Treccani: "...in origine significava la capacità di qualsiasi cosa, animale o persona di assolvere bene il proprio compito: così c’è un’aretè dell’arco, un’aretè del cavallo ecc. Di qui il successivo accostamento al tema semantico del latino 'virtus' (questa infatti non è che l’aretè del vir, la bravura dell’eroe) per designare il valore spirituale e la bravura morale dell’uomo". L'illustrazione in etichetta, un disegno abbastanza semplice nello stile, diciamo narrativo, quasi fumettistico, rappresenta un percorso, una strada che dalla vigna arriva al tempio votivo. Il percorso è disseminato di clessidre a indicare il tempo necessario a compiere bene il tragitto (il lavoro). Nel sito internet dell'azienda, l'etichetta viene spiegata così: "Dopo un inizio segue sempre un percorso verso una meta. L'obiettivo da raggiungere, più è grande più è lontano. Il percorso, lungo, è scandito da diverse tappe, ognuna delle quali segna una crescita, un'ascesa verso la virtù e il valore. I compagni di questo viaggio non possono che essere volontà, coraggio e passione". Bella anche la descrizione di questa parola da parte del sito di consulenza filosofica che si chiama anch'esso "Areté" (ma con l'accento opposto, chissà chi ha ragione...): "Areté significa virtù. Oggi la parola porta con sé una sfumatura moralistica che non restituisce il suo significato originario. In realtà, sin dagli antichi Greci, parlare di virtù vuol dire parlare di ciò che rende la vita umana degna di essere vissuta, ricca di significato ed esempio per gli altri. Significa anche individuare alcune peculiari abilità, come quella di sapersi decidere e di saper governare se stessi". I nomi degli altri due vini in gamma sono, per il Nero d'Avola, "Katharsis" (la catarsi) e per lo Zibibbo, Hedonysm (edonismo). E infine il nome aziendale: "Anabasis" in riferimento all'Anabasi di Ciro, la più celebre opera di Senofonte. Non resta che aggiungere un commento sulla qualità dei nettari di questa piccola azienda: non sempre è possibile assaggiare tutti i vini che in questo blog analizziamo per quanto riguarda il packaging, ma in questo caso lo abbiamo fatto. E rifatto, perché erano molto buoni.
Romangia che ti Passa
Pensamentu, Cannonau, Cantina Sorres.
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Le Etichette col Morbillo, Fatte con Amore
Chakra, Autoctoni Pugliesi, Giovanni Aiello.
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Pecorelle Smarrite in Terre Marchigiane
Saltatempo, Verdicchio, La Marca di San Michele.
Non si tratta di un Pecorino (vitigno) come spesso capita vedendo una pecorella in etichetta. Bensì di un Verdicchio (pur sempre delle Marche, nei pressi di Jesi). Curioso il nome, innanzitutto: dopo gli altri due nomi originali di vini di questa azienda (Capovolto e Passolento), incontriamo il "Saltatempo". E cerchiamo una interpretazione. Forse la si trova nel fatto che il vino è "di pronta beva", ovvero si tratta di un vino di "seconda gamma", o ancora meglio, tecnicamente, di seconda spremitura. Insomma si risparmia tempo perché non è un vino da invecchiare (per chi lo vuole bere) e risparmia tempo il produttore che non deve affrontare cicli produttivi troppo complessi. Non è un "cru", è un vino "spicciolo" senza pretese di essere king-of-the-hill. Veniamo alla curiosa immagine. Una illustrazione quasi fumettistica che raffigura una pecorella, come detto all'inizio di questo post, griffata con una stella rossa in stile russo o anche cubano, che salta un ostacolo. Dietro di lei un piccolo gregge. Forse il riferimento è anche al modo di dire "contare le pecore", per chi fatica ad addormentarsi. Certamente il tutto attira l'attenzione, sia per le scelte cromatiche (nero, bianco, rosso), sia per l'immagine decisamente curiosa.
Sprazzi di Semplicità Cromatica
Il Vei, Ortrugo, Savino Braghieri.
Nella sua semplicità questa etichetta attira l'attenzione. Forse sono i colori, quella foglia di un verde molto vivo, oppure quel puntino rosso che attira l'occhio e che corrisponde a una graziosa coccinella. Per il resto, nulla di eclatante: un carattere di scrittura graziato per la definizione del vitigno che compone questo vino: Ortrugo dei Colli Piacentini. C'è un altro elemento focalizzante in etichetta, "il Vei", facente funzione di nome, ma anche nome aziendale, apprendiamo dal sito della proprietà. Si apprende anche che si tratta di dialetto piacentino: "il Vei" infatti significa semplicemente "il vino". Niente di più facile e coerente, visto che l'azienda si propone come biologica e quindi dai tratti comunicativi, oltre che organolettici, di tipo non edonistico. Tutte le etichette della produzione aziendale presentano in primo piano la verdissima foglia di vite (con coccinella) e il nome "il Vei", cambiando solo il colore della fascia superiore e logicamente la specifica del vitigno utilizzato per i vari vini in gamma. I nomi dialettali spesso portano difficoltà di pronuncia e di memorizzazione per un pubblico non locale, ma in questo caso l'estrema brevità del nome risolve, almeno in parte, la questione.
Niente di Niente ma Almeno l'Uva c'è
Nà de Nà, Croatina e altre uve locali, Gualdora.
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Piccole Gioie di Oggi in Abito Anni '70
Piccole Gioie, Moscato (dolce) d'Asti, Ghione.
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Un Frizzantino Canadese al Confine della Realtà
Il vino in questione e raffigurato qui a sinistra si chiama "Origin" ma la sua vera origine "strutturale" non è data a sapersi. Nel senso che non vengono citati vitigni o metodo di lavorazione: il produttore e qualche recensione di e-commerce in rete dicono solamente che si tratta di un vino frizzante e "aromatico". Da bere così o da utilizzare per realizzare cocktail o mix-appeal vari. Si tratta di un vino in lattina, come si può vedere. Una lattina di quelle lunghe e strette, con un packaging che potremmo definire quasi natalizio, in generale con velleità festose: sfondo bianco, scritte e particolari in oro. Oltre al nome, in verticale e in dimensioni assolutamente visibili, ci sono, a quando sembra, delle bolle o bollicine che svolazzano e formano una specie di tema, di texture. Potremmo definirlo un prodotto moderno? Giovane? Spigliato? Probabilmente. Mercato americano, produttore canadese che si trova proprio sul confine tra Usa e Canada, nella zona delle cascate del Niagara e da questo il nome aziendale "Between the Lines" che si concretizza anche con un logo che traccia con una linea il confine. Agli yenkee piacendo.
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