Ruit Hora, Barbera e Nebbiolo, Ghiomo.
Ci sono etichette che confondono. O meglio che non comunicano in modo chiaro. Forse volutamente, per mantenere un’aura di mistero. Sembra proprio questo il caso rappresentato qui a sinistra. Si tratta del packaging di un blend Barbera-Nebbiolo che nasce a pochi chilometri da Alba ad opera di un piccolo viticoltore, Giuseppino Anfossi. Il nome che il produttore ha deciso per la propria azienda (partiamo da quello) è “Ghiomo”. Parola davvero strana, anche come fonetica. È praticamente sconosciuta. Si tratta di un attrezzo che serve per produrre le botti in legno, recita il sito dell’azienda. In realtà cercando su Treccani risulta che ghiomo è “...gomitolo, derivato dal latino glomus glomĕris (allotropo quindi di ghiomo), forma parallela a globus, di cui ha lo stesso significato. Palla di filo continuo ravvolto ordinatamente in modo da potersi agevolmente svolgere a mano a mano che si adopera“. Fatto sta che la parola “suona strana”. Ma andiamo oltre. Il nome del vino è “Ruit Hora” che, sempre da Treccani, significa, dal latino, “precipita l’ora”. Si allude alla fuga veloce del tempo e soprattutto all’imminenza della morte; si legge ancora talvolta sulle meridiane (è anche il titolo di una delle Odi barbare di G. Carducci)”. Nella raffigurazione al centro dell’etichetta si vede in effetti una vecchia meridiana da muro. Il tutto è volutamente consumato, poco chiaro, poco leggibile, possiamo dire “anticato”. Discutibile la scelta, apprezzabile il riferimento agli antichi usi, costumi e consumi (visto che sempre di vino stiamo parlando). Etichetta probabilmente migliorabile dal punto di vista estetico. Ma anche da quello puramente comunicativo del naming.