Le “V” e Soprattutto le “I”.

Levii, Brut Millesimato (Chardonnay).


L’etichetta spicca per originalità rincorrendo la verticalità di quella “V” che si colloca al centro del nome/marchio. Un taglio particolare che consente alla bottiglia di distinguersi. Quello che non va, a nostro modesto ma professionale parere, è proprio il nome dell’azienda (che funge anche da nome del vino): “Levii”. Si fatica a leggerlo sulla bottiglia ma possiamo confermare che è proprio così, “Levii” con due “i” finali. Certo il carattere di scrittura non aiuta, viene il sospetto che le due “i” possano essere due “l”, oppure una “l” seguita da una “i” (complice il fatto che le due lettere in questione sono di dimensioni diverse, una più corta dell’altra). Ma insomma non è nemmeno questo il punto. Perché “Levii”? Cosa può aver spinto il produttore a decidere per un nome così strano (poco comprensibile, poco memorabile, cacofonico, etc.) e soprattutto cosa significa? Vediamo cosa scrive a tal proposito l’azienda nel sito internet (non riuscendo a chiarire completamente l’arcano): “Il marchio si traduce in Le Vigne (probabilmente in dialetto n.d.r.) e identifica la passione per la Viticoltura. Deriva dal toponimo locale dei vigneti ed esprime il legame con il Territorio. Infine la B ricamata in oro al centro sta per Berasi ed è garante d’Impegno e Attenzione per la qualità. Cesare Berasi si impegna in prima persona affinché ogni singolo aspetto della filiera sia curato in ogni dettaglio garantendo l’eccellenza”. Si aggiunge qui la descrizione di quella “B” molto arzigogolata che avviluppa la “v” del nome. Si tratta di una ulteriore complicazione che non consente una serena e diretta percezione del  marchio, quindi del prodotto stesso. La strada per la semplicità è irta di complessità, a quanto sembra.