Chardonnay, Castiglion del Bosco.
Ogni tanto, in verità troppo spesso, a qualche produttore di vino viene la tentazione di spezzare le parole in tronconi, sillabando in modo bislacco. Succede ai nomi dei vini e anche ai nomi di vitigni (che fanno da nomi dei vini) come in questo caso. La vittima questa volta è la parola “Chardonnay”, suddivisa e distribuita su 4 righe. Non si può leggere. In tutti i sensi. La “Y”, abbandonata e navigante nel vuoto nell’ultima spezzatura, viene ancorata, bontà sua, all’annata (sezionando anch’essa in due seminumeri). Praticamente un lavoro di cesoia, di potatura semantica potremmo dire, agito nei confronti del packaging. Del resto l’etichetta è preziosa: bella la carta, ordinata l’impaginazione, distintivi alcuni elementi come la lepre stilizzata in alto, il carattere graziato della dicitura Igt, la piccola illustrazione delle vestigia in basso. L’azienda è di quelle serie e preparate, che ha il Brunello di Montalcino come fiore all’occhiello, con una storia che risale al 1100 e una proprietà “di nome” (Ferragamo). L’eleganza rimane pur sempre una questione soggettiva ma nel packaging ad una bellezza formale si deve sempre aggiungere una fruibilità funzionale.