Azzero, Sangiovese, Podere il Palazzino.
L’etichetta, intesa come grafica e cartotecnica è molto originale. Attira l’attenzione quel taglio disassato che destabilizza l’occhio e travalica l’orizzonte. Un’etichetta storta, direbbe qualcuno. Incollata male. Invece si tratta di design. Minimalista, possiamo aggiungere. Al punto che anche il nome del vino viene proposto in modo semplice, diretto, nero su bianco, con un leggero rilievo dato dall’inchiostro materico. Per il resto, sul fronte etichetta, null’altro. Carta bianca, nel doppio senso delle parole, ad un gusto estetico che sa di arte contemporanea e che vendica la caducità di un’area vinicola tra le più classiche e storiche d’Italia. Il nome del vino è “Azzero” ed è facile intuire che si tratta proprio quel non-numero, nullo e rotondo, ad indicare la totale assenza di solfiti aggiunti. Una moda? Forse. Perdurante? Chi lo sa? Certo non sono in molti a optare per questa scelta estrema, che richiede molta accuratezza nelle lavorazioni di uve e mosti. Il nome è significante e significativo. Veloce e affilato. Va aggiunto solo che i lieviti sono indigeni e che, sì, c’è anche qualcosa d’altro nell’etichetta, in rosso: l’annata di vendemmia. Di quel che serve non manca niente.