Muntrivè, Barbera, Alfiero Boffa.
Unicità che Valorizzano
Rosso Pernice da Intenditori
Alectoris Rufa, Gamba di Pernice (Calosso Doc), Cagnotto Marcello.
L’azienda agricola Cagnotto Marcello (testuale, cognome e nome) di Cagnotto Emilia, come recita l’intestazione su Facebook, si trova a Calosso in provincia di Asti e in questo caso vinifica un vitigno davvero raro che si chiama “Gamba di Pernice” per il colore rosso che il graspo acquisisce in fase di maturazione del grappolo. E’ un vitigno che in Piemonte si trova solo in tre comuni, a Castagnole Lanze e Costigliole d’Asti, oltre che a Calosso, denominazione della Doc. L’etichetta è estremamente decorativa: quasi tutto lo spazio “cartaceo” disponibile è occupato da una maestosa illustrazione di una vegetazione lussureggiante dove un paio di pernici si aggirano felici. Il nome del vino in questione, infatti, è l’allocuzione scientifica in latino della Pernice Rossa, “Alectoris Rufa”. Ed ecco spiegato il tutto. In modo molto semplice così come è graficamente semplice l’etichetta. La bella illustrazione attira l’attenzione e si fa notare con eleganza. Forse risulta un po’ datata, classica, antica, ma la forza dei colori e la stranezza del nome possono giocare le loro carte sullo scaffale. Per quanto riguarda il vino, rimane solo da provarlo (se riuscite a trovarlo).
Tra Francia e Spagna c’è di Mezzo il Latino
Tesselae, Carignan, Domaine Lafage.
L’uso del latino è noto e sfruttato in tutto il mondo. E’ una specie di lingua internazionale, almeno per il Vecchio Continente dove gli Antichi Romani lo hanno distribuito (insieme a molte barbatelle) da sud a nord. Questo vino francese, della costa catalana (ai confini, infatti, con la Catalogna) si chiama “Tesselae” che in latino significa “piastrelle”, “tessere”, “mosaico”. L’illustrazione in etichetta conferma: vediamo una serie di tasselli colorati, concentrici, realizzati con inchiostri colorati e lucidi, che attirano l’attenzione. Richiamano l’occhio in un vortice cromatico, graficamente molto gradevole e attenzionale. La ragione di questi rettangolini colorati non è nota. Si potrebbe ipotizzare la rappresentazione di appezzamenti viticoli su una collina tondeggiante. Sarebbe la quadratura del cerchio. Ci accontentiamo di poter godere di una etichetta ben realizzata, elegante e “sprintosa”, tutt’altro che classica e noiosa. Di ottimo impatto visivo pur conservando una propria dignità formale. In alto troviamo una importante precisazione (sotto al nome del vitigno): “vieilles vignes” a indicare agli astanti la nobiltà dei ceppi dai quali scaturisce questo nettare. Infatti una delle caratteristiche di questa azienda sono le bassissime rese che consentono di ottenere solo una bottiglia per ceppo. Poco ma buono e molto parcellizzato.
I Contorsionismi del Marketing Internazionale
Kamasutra, Sauvignon Blanc.
Si tratta di un chiaro esempio dove il nome è la parte preminente di tutto il business. Prendiamo un’azienda che coltiva uva e produce vino in India. Come la chiamiamo? Con una parola nota in tutto il mondo che risulta anche molto curiosa per il suo significato. Il gioco è fatto. Se aggiungiamo che c’è una corrispondenza storica e culturale con il paese di origine, la formulazione è ancora più plausibile. Fortunatamente il produttore (un grande gruppo che si occupa di “beverages” a tutto tondo) non scade in illustrazioni equivoche, proponendo invece un disegno della tradizione indiana a decoro dell’etichetta. Il risultato “ottico” è valido. Il packaging risulta elegante, ordinato, memorabile, cromaticamente equilibrato (intendiamo il colori scelti per le varie etichette, per la gamma, che raffiguriamo qui alla base del testo e che annovera anche un vino che si chiama “sette” in italiano, confermato da numeri rimani sullo sfondo). Certo che qualcuno potrebbe definire questo nome come “una furbata”. Di fatto lo è, però ben applicata, con evidenti obiettivi commerciali che non devono mai mancare in una logica di marketing che punta a un successo imprenditoriale fatto anche di immagine e non solo di contenuti.
Fratelli di Barbera in Terra Australiana
Barbera (Granite Belt),
C’è sicuramente un po’ di nostalgia di “casa” nella produzione e nei nomi dei vini di Golden Grove Estate, azienda vitivinicola del Queensland (Australia). I fondatori, infatti sono Mario e Nita Costanzo che nel 1946 iniziarono a coltivare uva e altra frutta. Oggi figli e nipoti (dai nomi non più italiani: Sam, Grace, Ray…) portano avanti la produzione con Barbera, Sangiovese, Nero d’Avola, Vermentino e anche due blend che si chiamano “Tranquillo Rosso” e “Tranquillo Bianco”. Nel nostro caso abbiamo preso come esempio l’etichetta della Barbera dove il nome del vitigno viene letteralmente “gridato” a caratteri molto grandi. A dire il vero di fianco a “Barbera” leggiamo anche in piccolo “Granite Belt”, a sancire il tipo di terreno. La scelta di evidenziare (per di più in rosso) il nome dell’italico vitigno risiede certamente nel tentativo di trasmettere in Australia la buona fama delle tradizioni del nostro paese. E c’è da pensare che questo possa rappresentare un vantaggio anche commerciale. Per quanto riguarda la grafica dell’etichetta, molto disimpegnata da canoni classici, vediamo delle pennellate di colore che danno agio alla bottiglia di farsi notare con spiccata modernità, oltre che cromaticità.
Filosofie Germaniche nel Profondo Veneto
Frammenti di Vigne Colorate nel Roero Piemontese
Valfaccenda, Roero Arneis,
La “faccenda” potrebbe sembrare complessa. E forse di fatto lo è, guardando questa etichetta. Ma procediamo con ordine. L’azienda si chiama “Valfaccenda” (che funge in questo caso anche da nome del vino), ipotesi confermata anche dal fatto che il dominio internet è proprio questo. Sul lato destro dell’etichetta si legge invece che si tratta della “Azienda Agricola Valroggero” di Carolina Roggero. Carolina e Luca sono la giovane coppia che coltiva e produce vini sostanzialmente a base Nebbiolo e Arneis. La località dove ha sede l’azienda si chiama Val Faccenda e prende il nome dei precedenti proprietari che la gestirono dal 1928 ad opera del patriarca Leone Faccenda. Quindi, in un certo modo, la faccenda è questa. Per quanto riguarda la complessità grafica e cromatica dell’etichetta possiamo solo enunciare delle supposizioni: i tasselli colorati che fanno impazzire gli occhi sono degli appezzamenti di terreno, oppure i frattali di una serie di riflessi e forse anche di riflessioni di chi l’ha pensata e creata (in questo caso la titolare). Il risultato è qualcosa di attenzionale, questo sì, con una percezione da arte contemporanea non risolta ovvero autoriferita che non riesce a comunicare granché, e se lo fa, propone una visione molto spezzettata, spigolosa, astratta e personalistica. Ad ognuno la propria etichetta, direbbe un saggio!
Saggezza Antica e Moderna in Moldavia (o Moldova)
Uneori, Merlot, Asconi Winery.
Questo produttore della Moldavia, con annessi GuestHouse e Ristorante, ha generato una serie di etichette che nella loro pur semplice esecuzione, attirano e incuriosiscono. Prendiamo ad esempio questo Merlot che si chiama “Uneori Sometimes” dove Uneori sarebbe Sometimes in moldavo: si tratta in entrambi i casi della parola iniziale di una frase che continua sotto, più in piccolo e con inchiostro nero: “you have to be your own hero”. Una frase tra il filosofico e l’aforistico. L’etichetta, come si diceva all’inizio, è davvero semplice: oltre al nome del vino e alla frase centrale, notiamo in alto il nome della cantina e in basso vitigno e annata. Le altre etichette relative a Glera (eh sì, coltivano pure la Glera), Cabernet Sauvignon, Riesling, Moscato, riportano altre frasi, sempre precedute da “Sometimes” in rosso: “we need a little magic” o anche “we’ve got the whole world in our hands”, e così via. Le frasi sorprendono e fanno riflettere. Qualche calice di vino farà il resto. Si tratta di una soluzione molto originale che non toglie eleganza all’etichetta che risulta al tempo stesso moderna ma anche dotata di una saggezza antica. Come da quelle parti, del resto, è giusto riconoscere. N.B.: il sito internet dell’azienda è sorprendente per dinamica, grafica e contenuti: www.asconiwinery.com
Giramenti di “P”
Pianacce, Vermentino, Giacomelli.
L’etichetta di questo Vermentino che nasce sui Colli di Luni, a Castelnuovo Magra, sul confine tra la Liguria e la Toscana, punta tutto sul nome del vino. In grande evidenza (dimensionale) nella parte centrale del packaging. Il nome del vino è “Pianacce”. Si nota subito che la lettera iniziale “P” è girata, specularmente, a sancire una stranezza che attira l’occhio ma rende difficile la lettura. Certo, si intuisce subito che la parola è quella, ma la distorsione non aiuta la memorizzazione. Pianacce è una definizione geomorfologica, sarebbe come dire “pianure”, o a anche “zona pianeggiante” in generale. La “forma” e la fonetica della parola portano in grembo una sorta di tono “peggiorativo”, come se “Pianacce” venisse tradotto con “pianuracce”, cioè della pianure non belle, di aspetto o di consistenza geologica. Invece qui cresce, a quanto parte, un ottimo Vermentino, che sfrutta i frammenti delle cave di marmo, alle spalle dei Colli di Luni, che da anni si depositano nelle porzioni di terreno che portano al mare. Per il resto, l’etichetta appare abbastanza elegante, grazie al fondo nero, ai caratteri di scrittura graziati e a una impaginazione ordinata e lineare. Il logo aziendale, in alto al sinistra, espone (in modo troppo minuto) un panorama notturno con luna, che evidenzia delle torri padronali, probabilmente presenti nel comune di appartenenza.
In Nome delle Donne Frizzanti
Lucìe, Inzolia, Scirocco.
Davvero singolare questo vino, così come il suo nome e il suo packaging. Viene prodotto da Samantha Di Laura. Nata al nord ma di origini siciliane, torna nella sua terra prima come Direttore Commerciale di una grande cantina, ora come produttrice di vino a Menfi. Il nome di questo “frizzante” sui lieviti è “Lucìe”, un femminile plurale che diventa “femminile singolare” nel claim di prodotto. “Lucìe”, dice la produttrice, in omaggio alle donne, alle tante “Lucia”, nome molto diffuso in Sicilia e nell’Italia intera. L’azienda infatti si vanta di essere tutta al femminile: tutti gli incarichi sono coperti da donne, caratteristica evidenziata attraverso una narrazione cinematografica nelle pagine del sito aziendale (www.lucie.wine). Il materiale grafico è davvero ben realizzato, dall’etichetta (che sulla bottiglia viene integrata con un pendaglio) al sacchetto in carta, fino a proporre una deliziosa scatola in metallo in stile retrò. Anni ‘50 è anche la foto di una donna con foulard svolazzante che occupa gran parte dell’etichetta. Immagine sognante, fluida, felliniana. Particolare anche il nome dell’azienda, “Scirocco”, come un noto vento del sud, ma anche epiteto che la madre di Samantha le attribuiva per il suo carattere, diciamo così, burrascoso. E infine il vitigno, l’Inzolia (o Insolia che dir si voglia), di solito utilizzato per vini fermi, qui dà origine a un frizzante senza zuccheri, senza solfiti, biologico, volutamente di bassa gradazione per una bevibilità sana e gradevole.
Il Nome dei Non-Nomi
La Sorprendente Impronta del Somarello
Imprint, Susumaniello, A Mano Wine.
Questa azienda, condotta da Mark Shannon ed Elvezia Sbalchiero in Puglia (lui americano, lei friulana), si chiama “A Mano Wine” ed è facile capirne il senso: viticoltura artigianale e volontà di generare percezioni di autenticità. Mark ed Elvezia approfondiscono soprattutto il Primitivo, come ricerca personale e come fenomeno ampelografico che nella lontana California diventa famoso col nome di Zinfandel. Nella produzione si dedicano con passione ad altri autoctoni della regione come ad esempio il qui raffigurato rosato da vitigno Susumaniello. Si tratta di una edizione speciale che rende l’asinello (somarello in dialetto) assoluto protagonista, con un’etichetta fustellata che lascia libera al centro (bucata) la sagoma dell’equino scalciante. Nell’etichetta usuale il riferimento al somarello rimane solo alla base, come anche in questo caso, dove l’asino scalcia la “m” della parola “susumaniello”: una simpatica nota di colore grafico e folklore ironico. Il nome di questo rosato è invece “Imprint (di Mark Shannon)” laddove il nome del produttore poteva anche essere tralasciato o isolato in altre sezioni del packaging, e dove, sempre ironicamente ipotizziamo che l’imprint (l’impronta) sia quella lasciata dallo zoccolo dell’ asinello sul deretano di qualche incauto visitatore delle vigne. Nota a margine: bello il richiamo cromatico tra il blu della scritta in basso e la chiusura del tappo laccata in alto.