Giochi di Parole per Vini Esuberanti

MaDDam, Brut (Sekt), Doppeldes D - Das Weinduo.

Questa etichetta di forte impatto cromatico, dove il rosso detta legge, veste un vino spumante prodotto da due giovani vignaiole tedesche della Mosella. Il packaging in sé non è nulla di strepitoso, a parte il fatto che si fa certamente notare, con una certa prepotenza, soprattutto su uno scaffale eventualmente abitato da etichette sobrie e classicheggianti. I nomi dell’azienda e del vino, offrono invece qualche spunto interessante. Al centro dell’etichetta vediamo uno strano logo bianco formato da due “D” incrociate ed inclinate. L’azienda infatti si chiama “Doppeldes D”, doppia “D”. L’origine viene ricondotta al fatto che le due titolari vengono soprannominate dagli amici Duchesse e Diva (anagraficamente si chiamano Madeleine Ries e Lia Backendorf). Le due “D” maiuscole appaiono anche nel nome del vino, questa volta speculari (cioè una delle due è girata), a creare “maDDam” un gioco di parole che sfrutta il termine “madam” alludendo all’inglese “mad”, pazzo. Quindi potrebbe essere la Dama Matta in italiano (oppure il corrispondente nome “Damatta”, tanto per giocare un po’ con le parole). Sopra e sotto al nome, nella fascia nera, con parole più piccole, ci viene confermato che Madeleine è la Duchesse e Lia è la Diva. Insomma si tratta di un modo giocoso di fare branding. Nel mondo del vino “moderno” è ammesso anche questo.

La Malvasia ha Preso una Cattiva Strada

La Mala Via, Malvasia Istriana, Santa Colomba.

Questa bottiglia di vino biologico prodotto dall’azienda Santa Colomba di Lonigo, in provincia di Vicenza, si chiama in un modo che potremmo definire negativo. Infatti “La Mala Via” indica molto spesso dei percorsi topografici relativi a strade intricate, piene di curve o che si inerpicano in zone a picco sul mare o su strapiombi in montagna. Ma anche, nella cultura popolare, il fatto di prendere una “cattiva strada”, per le proprie abitudini o per il proprio percorso personale di vita. L’illustrazione in etichetta ad opera dell’artista Mauro Gambin, conferma l’intenzione di attribuire al nome di questo vino il significato di “strada tortuosa”. L’illustrazione è semplice, ad acquarello, fors’anche con la tecnica del carboncino. Si vede una strada, circondata da colli presumibilmente vitati, e sulla sommità lo spartiacque risulta colorato di rosso, per metterlo in evidenza. I toni sono abbastanza cupi e meditabondi. Alla base del packaging leggiamo il nome dell’azienda, molto semplice, senza logo. Ci giunge il sospetto, in salvataggio rispetto alla visione negativa dell’insieme, che “La Mala Via”, sia stata scelta anche per assonanza con la Malvasia, vitigno che al 100% compone questo vino. In ogni caso, speriamo tutto bene.

Insolita Etichetta per Insolita Linea di Vini

Orchestra, Blend di Bianchi, 
Abbazia di Novacella.

Questo vino viene collocato all’interno della linea “Insolitus” di una storica cantina altoatesina. Ogni anno l’Abbazia di Novacella aggiunge nuovi prodotti a questa serie, catalogabile come sperimentale, cioè con una produzione limitata. Si tratta qui di un ricco blend di bianchi come Sylvaner, Pinot Grigio, Kerner, Riesling e Gewürztraminer. Tutti insieme appassionatamente. Il nome rispecchia il concept: “Orchestra”, una sinfonia di uve che riesce a mettere in scena, sulla tavola, un concerto di sensazioni. L’etichetta, che potrebbe a un primo esame sembrare semplice, è basata su un fondo bianco, dove scopriamo a poco a poco, osservando bene, alcuni particolari. Innanzitutto al centro vediamo una grande “O” (insomma, un cerchio); sotto leggiamo il nome del vino; in alto a destra il nome della linea, “insolitus”, in corsivo grigio, poco leggibile; a sinistra lo stemma della cantina con la scritta in latino “vivat crescat floreat” cioè “possa vivere, crescere e prosperare”; in basso a destra, sempre in corsivo, la precisazione “Uvaggio Bianco” e nella parte bassa del packaging un’onda con un puntino, forse la sporcatura di un bicchiere, forse la rappresentazione di una valle, chi lo capisce è bravo. In sostanza si tratta di un’etichetta un po’ dispersiva e anche enigmatica. Il vino sicuramente se la caverà meglio.

Hashtag “Vendere” come Mantra Assoluto

#Rosé, Vino Rosato, Provinco Italia.

Questo vino, uno dei tanti proposti al mercato, soprattutto internazionale, da un grosso distributore che fa capo a Italian Wine Brands, è di fatto un rosato. Non è dato a sapere con quali vitigni viene prodotto. Diciamo che è un “blend” e la chiudiamo qui. L’etichetta è di forte impatto: un enorme “#ashtag” campeggia al centro dello spazio disponibile. Di fianco ad esso viene aggiunto “Rosé”. La trama che fa da sfondo, che da lontano potrebbe sembrare una texture grigia, è formata in realtà da moltissimi altri hashtag inerenti al mondo del vino. Vi troviamo #whitewine, #redwine, #winetime, #iwine, e cosi via con una serie di parole tra le quali alcune fuori luogo, come #winedown o anche #drunk (ubriaco). L’etichetta è del tipo totalmente trasparente, si tratta cioè di una pellicola che al di là delle parole in superficie lascia intravvedere il contenuto della bottiglia, ovvero il colore del vino. Possiamo annoverarla tra le etichette strane, sicuramente creative, fuori dagli schemi, di quelle che sullo scaffale lo sguardo non può evitare. E forse è proprio questo l’intento, dietro ad una pianificazione di marketing assolutamente commerciale.

Piemontesità Ossigenante tra i Rovi

Ruvaj, Nebbiolo, Pedemontis.

Il nome di questa azienda, innanzitutto, ha come claim di accompagnamento “Il respiro profondo del Piemonte”. Facile da interpretare, “Pedemontis” è la dizione in latino medievale che significa chiaramente “ai piedi dei monti”. La profonda identità territoriale si rispecchia anche nel nome del vino, un classico Nebbiolo d’Alba: “Ruvaj”, che a detta del produttore “…indica il rovo, presente nelle aree boschive dell’azienda”. Dopo il latino antico, siamo dunque alle forme dialettali. Per affermare fortemente la provenienza dei prodotti ci può stare. Considerando pur sempre la difficoltà di lettura, di percezione e di memorizzazione di chi piemontese non è (i nomi degli altri vini in gamma sono… Arajs, Bajet, Gajet e un insolito Betlem, una Barbera). Per quanto riguarda la grafica dell’etichetta vediamo una struttura molto semplice, su carta goffrata avorio, dove troviamo scritte in verde scuro e nero, elementi molto ordinati, con l’unica concessione alla creatività fornita dall’illustrazione di una foglia, sulla destra, probabilmente riferita al tipo di rovo evocato nel nome del vino (in basso a destra, in piccolo, si scorge il nome di tale arbusto in latino). Soprassediamo sul logo aziendale (in alto a sinistra) e su quella stranissima “O” di Pedemontis (velleità ecologiche espresse da una foglia e dal simbolo chimico dell’ossigeno).

Follie Animalesche in Provincia di Brescia

Zeno, Brut Nature, Cà dei Pazzi.

Il claim di questa azienda che riunisce alcuni viticoltori della Franciacorta è “Pillole di enofollia” e infatti le etichette di tutta la gamma trasmettono come minimo euforia. Certo, l’ambientazione generale è da safari: ci sono una pantera, una giraffa, un leone, una zebra, un rinoceronte, un elefante. Rispettivamente: Brera, Raffa, Theo, Zeno, Rhino, Ele. Tutti vini spumanti, di varie tipologie. Di fatto “l’animalier” non passa mai di moda. Diciamo che vedere questa tendenza immortale applicata a delle etichette di vino italiano fa un certo effetto. I packaging sono ben illustrati, dotati di fantasia, colorati. Ad esempio la zebra che qui riportiamo indossa un cappello (circondato da farfalle svolazzanti), delle bretelle e suona una chitarrina. Si tratta di una zebra che presenta alcune fattezze umane, chiaramente. La nostra opinione è che il prodotto (questo Brut Nature, come tutti gli altri della gamma, rappresentati dagli animali citati sopra) perde in credibilità e serietà, guadagnando però in giocosità, giovanilità, festa. Tutto sommato le bollicine, sdoganate dagli eventi celebrativi saltuari, hanno conquistato terreno negli aperitivi (quelli che durano tutta la serata). “Si nasce tutti pazzi, alcuni lo restano.” (Samuel Backett, citato da questa azienda nel proprio sito internet). Amen.


Volubilità non sia Peggioramento ma… Vento.

Volubile, Nebbiolo, Bricco Carlina.

Il significato di questa parola, “volubile”, nome di questo vino, non è del tutto positivo. Quanto meno nella percezione della lingua parlata. Vediamo cosa dice Treccani: “…che cambia, che può cambiare da un momento all’altro…riferito a persone: incostante, mutevole, soprattutto negli affetti e nelle decisioni”. Ma giunge in salvataggio anche un’altra interpretazione, più tecnica: “ In botanica, di pianta o di organo che si avvolge attorno a un sostegno (che può essere anche un’altra pianta), come fanno, per esempio il fusto del fagiolo e i viticci della vite”. Ed ecco che siamo costretti a fare delle distinzioni: quello che una parola può significare nel “luogo comune” e quello che può emergere dal lessico acculturato. La sensazione è che leggendo questo nome sulla bottiglia, il primo significato qui esposto sia quello più immediato. In un certo modo la rappresentazione di volubile come “incostante e mutevole” viene rafforzata dall’immagine sull’etichetta: una illustrazione dove un bambino aziona e tenta di governare un aquilone. Gioco che, si sa, è completamente succube della volubilità del vento e dei suoi tornamenti. Speriamo quindi che il prodotto, il vino, non sia volubile in senso negativo: negli anni cambia, ma deve evolvere in meglio se vuole promettere e conservare un livello qualitativo elevato.

Tre Grazie Territoriali Slovene

BBK, Ribolla Gialla, Lis Neris.

Il nome di questo vino in realtà sono tre: Barbana, Biljana e Kozana. No, non si tratta di tre vestali moderne e nemmeno stiamo parlando di personaggi dei fumetti erotici anni ‘60. Sono tre località in territorio sloveno dove Lis Neris, il produttore di questa Ribolla Gialla, coltiva le uve necessarie alla produzione di questo bianco battagliero. In sintesi, a grandi lettere, su una particolare etichetta, leggiamo infatti “BBK”. Potrebbe anche far pensare a un “BBQ” come lo chiamano gli americani, ma trattandosi di vini bianco, con la carne c’entra poco: dubbio fugato. L’etichetta, si diceva, è particolare, perché tagliata in due, non solo cromaticamente (il nome del vino è “interrotto”) ma anche come cartotecnica, andando a creare due pezzi separati. Il nome di questo vino non si può evitare di notare, una volta in scaffale: le lettere sono cubitali, in giallo su fondo nero. L’impatto è forte, forse anche troppo. Ma l’impronta che si è voluta dare a questa bottiglia è quella di un vino dal consumo giovane (in tutti i sensi), per aperitivi o antipasti veloci, ma anche primi semplici e leggeri. Questa etichetta in sostanza non è il massimo dell’eleganza ma il suo ruolo lo gioca bene, con sfrontatezza da leader.

Suoli e Luoghi della Sicilia Verace

Suòlo 7, Cabernet Franc,
Duca di Salaparuta.

Il nome di questo vino siciliano, ad opera di una nota azienda dell’isola, richiama alcune considerazioni. Non si tratta, foneticamente, di una bella parola, suolo. Suona cupo e “chiuso”. Ma porta con sé un significato importante, legato alla terra, ai luoghi di elezione per le vigne. Il suolo, quindi, è al tempo stesso la superficie terrestre calpestabile e un posto geograficamente identificabile. Ecco perché in questo caso viene aggiunto un numero, “Suòlo 7”, per indicare in modo specifico la vigna di provenienza delle uve (Tentuta di Suor Marchesa a Riesi). Nella gamma del produttore in questione troviamo anche Suolo 5 (Zibibbo) e Suolo 3 (Sauvignon Blanc). L’etichetta ha anche altre peculiarità: l’illustrazione del tralcio in primo piano è ben realizzata, con uno stile impattante. I particolari in oro, con inchiostro in rilievo, donano preziosità, cura, eleganza, sia pure rimanendo in un “campo” decisamente rurale, sincero, naturale. L’impaginazione si completa con una “lancia”, un tassello a forma di freccia, con il nome dell’azienda, sulla sinistra, diventato un marchio distintivo anche su molte altre etichette della casa (qui in oro, a volte in rosso, o bianco, o nero, secondo le diverse vestizioni dei packaging). Il Duca ha lavorato bene.

La Coccinella ha Bevuto Troppo (o Forse è Già Morta)

Merlot, Cantina Bergamasca.

L’etichetta è sicuramente molto visibile sullo scaffale di vendita. Il colore rosso attira l’occhio, soprattutto se collocato su sfondi bianchi. La manualistica del packaging lo conferma in innumerevoli trattati. Ma qui siamo di fronte a un rosso “tragico”: la povera coccinella che sta al centro di questa etichetta a gambe in su, certamente non se la passa bene. Anzi abbiamo il sospetto che possa essere defunta (anche perché nonostante questa incauta iconografia il vino in questione non risulta essere biologico). Perché mettere una coccinella a gambe in aria sul fondo di un bicchiere? Perché farla morire così? Si scherza, naturalmente, ma la comunicazione e le percezioni che essa vuole e deve trasmettere sono una cosa seria. In questa etichetta tutto sommato di sintesi, con pochi e ben evidenti elementi (e questo, in generale, è da considerarsi positivo), sembra che tutto converga verso la tragedia (insistiamo, della coccinella morta): guardiamo ad esempio l’occhietto pallato della povera creatura. Ultima notazione: in basso a destra vediamo il simbolo (il logo) della cantina. Sembra un ragno. Ma almeno quello potrebbe essere vivo.

Vola la Fantasia, Leggera Come le Bollicine

Farfalla, Pinot Nero, Ballabio Winery.

Il nome di queste bollicine lombarde (siamo in provincia di Pavia) è molto fantasioso (nel senso che ricorda forme e colori variegati) ma nasce da qualcosa di concreto. Il vino si chiama “Farfalla” (in realtà si tratta di una gamma di 4 vini che comprendono un Extra Brut, uno Zero Dosage, un Rosé e un “Cave Privée”), il suo nome deriva dalla forma, dal profilo, delle due vigne dove viene coltivata l’uva necessaria alla sua produzione. Le due parcelle, dall’alto, assumono la forma di due ali di farfalla. Iconografico, sognante, ma con i “piedi per terra”, in quella terra d’Oltrepò che a tratti si dimostra perfetta per il Pinot Nero e per quelle caratteristiche indispensabili alla spumantizzazione. Farfalla e nulla più, se non il vezzo di una “f” in corsivo, più artistica rispetto alle altre lettere del nome. Sfondo nero, scritte in oro, pochi elementi proposti con grande eleganza. E quel nome che fa volare la fantasia e che si fa ricordare. Bella idea, curiosa, originale, identitaria, creativa. Vediamo come descrive il produttore questa scelta: “Il nome deriva da un vigneto così chiamato per la sua particolare forma che ricorda, nella visione catastale, le due ali di una farfalla… nella realtà le due porzioni di vigna adiacenti hanno forma vagamente triangolare e si collegano tra loro in un vertice comune per un breve tratto”. Complimenti e a questo punto, brindisi svolazzanti!

Etichette che Suonano Subito Bene

Cannonau, Tenute Sirinada.

Di questa cantina, in realtà una “emanazione” di Menicucci Vini, si è fatta “casa e bottega”, nel senso che il nome dato all’azienda diventa anche nome del vino (in un certo senso) nonché concetto visual. L’etichetta è ben realizzata, si vede subito, curata nei dettagli sia pure con uno stile asciutto e iconografico.  L’oro che si vede nel packaging è tecnicamente una chicca: lamina a caldo Luxoro Kurz Usa. A parte questa nota per addetti ai lavori, possiamo notare un jazzista con il sax a sancire il concetto di “serenata”, ma non quella improvvisata, strimpellata, bensì una musica colta, professionale, sia pure creativa, che denota impegno e serietà che si riflettono quindi nell’immagine di marca e di prodotto. Anche la cartotecnica non lascia spazio a incertezze: si tratta di un lavoro ben studiato e ben fatto. L’etichetta è di forma irregolare e si compone di due parti separate da uno spazio. Le forme sembrano quindi inseguire una musica che ci pare quasi di sentire, il sincopato del jazz, il piacere delle good vibrations. Tutto questo è “nelle corde” di un’etichetta, quando è progettata con cura e competenza.