La Mescolanza e la Linearità

Mischiabacche, Blend di Bianchi, 
Castello di Stefanago.

Questa nota azienda pavese si distingue da anni per una agricoltura rispettosa dell’ambiente e per prodotti che puntano al massimo sulla naturalità. Anche l’immagine aziendale e la comunicazione sono chiaramente orientati in questa direzione. Ulteriore prova di ciò la fornisce l’etichetta di questo bianco, ottenuto da più vitigni, che si presenta in modo spartano ma “educato”. Stiamo parlando naturalmente di educazione visiva e comunicativa. Vediamo gli elementi che compongono il packaging: la carta è di tipo riciclato, con delle goffrature (rilievi) che ne evidenziano la matrice. L’impaginato è molto semplice, bello il colore scelto per le scritte, con il nome dell’azienda in primo piano (per impatto) e il restante centrato e sottostante. Bello il nome del vino, “Mischiabacche”, che viene spiegato nel blocchetto di testo alla base: “…creiamo armoniche combinazioni di bacche”, laddove un eventuale minus (il fatto che il vino è un blend e non viene prodotto con un vitigno in purezza) viene trasformato in un plus (il fatto di avere una somma di caratteristiche positive fornite dai vari vitigni mescolati insieme, con competenza e armonia). Il nome del vino viene addirittura chiamato a sottolineare la mescolanza, con una modalità simpatica, a creare un neologismo composto da “mischia” e da “bacche” (sinonimo di acini d’uva). Lo spirito è semplice e diretto, ma anche qualitativo, proprio come l’immagine generale che negli anni questa azienda si è costruita.

Pulizia Grafica a Volte Significa Assenza di Idee

Sauvignon, Cantina Puiatti.

La produzione di questo vino si colloca in Friuli, a Romans d’Isonzo, in quelle terre magre dove i vini bianchi vengono bene. Magra anche l’etichetta, molto magra. Inteso come asciutta, essenziale, certamente pulita, forse un po’ sterile. Ma vediamo di giungere a un’analisi ben circostanziata. Innanzitutto viene utilizzato un tipo di carattere (di scrittura, carattere tipografico si intente) molto squadrato, statuario, ben delineato, certamente molto leggibile. In alto vediamo il nome del vitigno, tra quelli “nobili” e francesi, il Sauvignon Blanc (ormai sintetizzabile in “Sauvignon”), giustamente evidenziato con un tassello dal fondo chiaro. Subito sotto al nome del vitigno ecco la definizione della Doc e l’annata del vino. Al centro… nulla. In basso il nome del produttore che funge anche da logo. Si potrebbe avere la sensazione di essere di fronte a un’etichetta vuota. Molte volte però, in questo blog, abbiamo osannato il vuoto, la pulizia grafica, i pochi elementi come caratteristica vincente per un packaging di spessore. E confermiamo. L’essenziale fa bene agli occhi (e anche al cuore, si sa). In questo caso forse la brama di impatto visivo ha presto troppo la mano di chi ha inventato questa etichetta. L’impatto c’è. Anche una certa originalità. Ma rimane il dubbio che troppa pulizia, nel senso di mancanza di idee, non possa risultare, ai fatti, la soluzione migliore.

In Vespa Acrobatica sulle Colline Pavesi

Pinot Nero Frizzante, Perdomini.

Le ragioni per cui un’etichetta può riuscire a farsi notare possono essere diverse. Legate al nome del prodotto, ai colori, alla grafica, alla forma della cartotecnica. Conviene sempre sorprendere, stupire, per riuscire anche, perché no, a differenziarsi dalla concorrenza. Questo packaging di un Pinot Nero vinificato in bianco (come si usa nel pavese), riesce a mettersi in evidenza innanzitutto per un croma di fondo verde acceso, davvero poco utilizzato nel settore. Quindi per quella “vignetta” in basso dove vediamo un uomo e una donna su una Vespa. Immagine molto “italica”, che sorprende ancora di più in quanto la passeggera, la donna, non si trova sul sellino posteriore, bensì abbarbicata in posizione insolita sul manubrio. Sistemazione pericolosa, sarebbe, nella realtà. O quanto meno funambolica. I due personaggi sono vestiti in modo elegante, stanno andando a una festo, o più probabilmente, ebbri, stanno tornando da un party, vista la modalità di trasporto che hanno scelto. Tutto questo per dire che una illustrazione così, ben realizzata, con uno stile originale, attenzionale, riesce a far viaggiare i pensieri e in questo modo anche a far ricordare il vino in questione. Il resto dell’impaginazione è molto regolare, lineare, centrato, notiamo anche il vezzo di un puntino bianco all’interno del nome del produttore. Ma di sicuro i protagonisti sono loro, i due “amanti volanti”.

Da Parigi a Modica, la Filosofia non fa Distinguo

Flâneur, Grillo, Baroni di Pianogrillo.

Oggi parliamo di un vino siciliano, prodotto dall’azienda “Pianogrillo Farm” (così si trova scritto nel sito internet) che sull’etichetta diventa Baroni di Pianogrillo e anche (alla base) Agricola Pianogrillo s.r.l., insomma un po’ di confusione, alimentata vieppiù dalla firma in corsivo di “Lorenzo Piccione di Pianogrillo” (ultimo discendente dei Baroni). Quello che vogliamo sottolineare è il nome di questo vino, “Flâneur”, un Grillo in purezza, prodotto nella zona di Modica (Sicilia sud-orientale). Si tratta di un nome davvero particolare: prendendo spunto da Wikipedia ecco la sua spiegazione… “è un termine francese, reso celebre dal poeta Charles Baudelaire che indica un soggetto che vaga oziosamente per le vie cittadine, senza fretta, sperimentando e provando emozioni nell'osservare il paesaggio. La parola non possiede un'esatta corrispondenza in italiano, tuttavia la locuzione "andare a zonzo" rende bene l'idea dell'azione”. Baudelaire coniò questo termine in riferimento soprattutto a Parigi, infatti… “la flânerie (il bighellonare/passeggiare/vagare) è associata a Parigi e con quel tipo di ambiente, che lascia spazio all'esplorazione non affrettata e libera da programmi. Il flâneur è tipicamente molto consapevole del suo comportamento pigro e privo di urgenza: per esemplificare questa sua caratteristica umorale, era descritto come "uno che porta al guinzaglio delle tartarughe lungo le vie di Parigi". Del resto l’etichetta in questione, graficamente, si distingue per essere ordinata e lineare e per fornire una serie di informazioni che di solito vengono trascurate, come il tipo di coltivazione (alberello) la quota dove si trovano le vigne, il numero del mappale, il numero delle bottiglie prodotte. Molto bene. Un influsso francese in terra siciliana. Storicamente ci può stare.

L’Anima del Vulcano Dentro a una Bottiglia

Animardente, Nerello Mascalese, 
Anima Etnea.

I due vini che, per ora, questa azienda siciliana produce, sono riconducibili (per il loro nome) al concetto di “anima”, ben evidenziato da una grande “A” maiuscola. L’azienda si chiama “Anima Etnea”, nome che comunica subito la dislocazione dei vigneti e la tipologia della Doc (dominati dalla “muntagna”, il Grande Padre Etna) con il suo terreno lavico molto particolare. Siamo in Contrada Santo Spirito a Passopisciaro, una delle zone elette per il Nerello Mascalese (coltivato in questo caso a 700mt s.l.m.). Oltre al qui rappresentato “Animardente”, l’azienda produce anche un Etna Bianco, da Carricante e Minnella quasi in parti uguali, che si chiama “Animalucente”. L’etichetta che qui prendiamo in esame è davvero bella: pensata per comunicare tutta l’anima di questo vino e le sue origini. Una “A” centrale sormontata da un sole raggiante stilizzato, stampata con un inchiostro nero in rilievo che ricorda la lava del vulcano, il fondo rosso fuoco a rappresentare il magma e la forza geologica di quei luoghi. Pochi elementi molto evidenti. Impatto visivo, conferme concettuali. E un nome che divampa e conquista. Operazione di comunicazione molto ben progettata e condotta. Rimane in mente la simbologia e il racconto: “Un nome che racconta l’anima del vulcano silenzioso, inaspettata e incandescente, che dà vita al movimento perpetuo. Una forza della natura incontenibile e seducente, espressione di un terroir unico. Il nome del vino deriva proprio dalle viscere del vulcano, dalla sua incessante attività, dal calore e dal colore del magma” (dalla pagina dedicata nel sito internet del produttore).

Lo Spazio Illimitato di un’Idea

Aperture, Cabernet Sauvignon.

Il territorio è quello californiano, nei pressi di Healdsburg, a nord di San Francisco, dove per i vini hanno ancora qualcosa da imparare, ma per il packaging hanno tutt’oggi qualcosa da insegnare. Niente di trascendentale, intendiamoci, ma qualcosa da sottolineare, questo sì. L’etichetta si fa notare subito per la presenza centrale di alcuni acini. L’elaborato potrebbe essere fotografico, ma tradisce subito qualcosa di artistico. Riproduzione dal vero? Libera interpretazione di quello che la natura, anche sulla buccia di un acino, può regalarci? Fatto sta che il packaging di questo Cabernet si distingue per preziosità, estetica, spessore, sia pure esprimendo un omaggio agli aspetti naturali del processo di vinificazione, a partire proprio dal grappolo d’uva, intonso, come la linfa l’ha fatto, che la mano del vignaiolo raccoglie a piena maturazione. E per il resto? Due gentili e sottili scritte sotto all’immagine, Cabernet Sauvignon a sinistra e Soil Specific a destra, a sottolineare il vitigno, certo, ma anche la particolarità del suolo, vulcanico, minerale, come affermato dal produttore nel proprio sito internet. Il nome del vino è anche il nome dell’azienda, “Aperture”, che non ha bisogno di traduzioni (esattamente sarebbe apertura o cavità), in quanto consente in lettura di spaziare, di immaginare vallate, sole, vento. Dal piccolo (l’acino) al grande: il potere di una parola a volte è illimitato.

La Pazienza dei Vini Marchigiani

Valdé, Verdicchio e Trebbiano, Oppeddentro.

L’etichetta di questo Bianco delle Marche, che nasce tra Cupramontana e Maiolati Spontini, ci mostra un’etichetta inconsueta, per quanto riguarda alcuni elementi. La parte illustrata attiene a una certa arte contemporanea a macchie che potrebbe descrivere allegoricamente il paesaggio dei luoghi. Osservando l’elaborato da vicino, il materiale che è stato dipinto potrebbe essere anche un muro. Il risultato, molto grezzo, è puramente decorativo. Ma appena analizziamo il packaging nella sua interezza scopriamo che in alto c’è la scritta “vini con pazienza” (precisazione non da poco). Poi vediamo il curioso nome dell’azienda, “Oppeddentro”, che nasce dalla parlata locale: quando i locali si recano nel centro storico della cittadina dove ha sede l’azienda, dicono “vado oppeddentro”. Anche il nome del paese ha una sua “etimologia”: Magnolati, secondo l’antica dicitura bizantina, e Spontini in onore del compositore Gaspare Spontini che allietò le genti con la sua musica tra il XVIII e il XIX secolo. Sotto al nome del produttore (che per errore potrebbe sembrare il nome del vino) leggiamo “nelle mura di Maiolati Spontini”, che con orgoglio manifesta la presenza della cantina (in uno storico sito di pigiatura) proprio dentro al borgo. Il nome del vino viene relegato a sinistra, in verticale (si scorge appena, in questa riproduzione) e corrisponde a “Valdè”. Ignoriamo il suo significato preciso non avendo trovato traccia di una descrizione nel sito del produttore. Per la cronaca questo viticoltore (il titolare è Andrea Piccioni) aderisce al circuito Vinnatur.

Puntini da Puntualizzare con Fiori di Campo

Wildflowers, Tannat e Sirah, 
Sanctuary Vineyards.

Questo produttore che annovera tra le proprie uve anche il Sangiovese, si trova sulla costa atlantica degli Stati Uniti e precisamente a Jarvisburg, in Nord Carolina. Non è certo una delle zone del mondo più rinomate per la viticoltura, ma a noi interessa, anche in questo caso, l’etichetta. Dunque, il vino si chiama “Wildflowers”, traducibile in “fiori selvaggi” e ancora meglio in “fiori di campo”, qui da noi. Il nome è bello, evocativo, ma quello che colpisce subito, come immagine, è quel fuoco d’artificio di colori, chiamato a rappresentare le macchie di colore con le quali i fiori di campo punteggiano la campagna. L’illustrazione, osservata da vicino, riguarda delle vere e proprie macchie ottenute da colature di pittura, ma l’effetto, da lontano, è proprio quello di un gruppo variegato di fiori. Siamo di fronte a una specie di versione moderna di quella fronda di artisti che si faceva chiamare divisionisti (o puntinisti). Si tratta di un packaging coraggioso, per pochi (insomma, non per tutti), che presenta una impaginazione pulita, centrata, elegante, con un “fuori norma” tutto concentrato nell’opera illustrativa, dove l’estro creativo e concettuale si esprime senza vincoli o preconcetti.

Lo Sfarzo Georgiano di un Re Femmina

Tamaris Vazi, Natenadze Company.

Questo vino viene prodotto in Georgia, nella regione di Meskheti, a lungo occupata dagli Ottomani che distrussero villaggi, vigne e cantine. Oggi Giorgi Natenadze e altri giovani viticoltori, provano a recuperare antichi vitigni autoctoni. Ma andiamo con ordine. L’etichetta di questo vino, indubbiamente molto particolare, vuole narrare una storia che risale al 1160, anno di nascita della Regina Tamara, alla quale è dedicato il vitigno (il Tamaris Vazi). Le pagine di storia narrano che fosse il preferito dal Re Tamar di Georgia, in realtà la figlia (donna) di Re Giorgio III, e non si tratta di un errore perché qui viene l’aneddoto: “Tamara, pur essendo donna, usava il titolo spettante di diritto al sovrano maschio, ossia re, facendosi chiamare Re Tamara (Tamar Mepe)” (Wikipedia). Probabilmente un caso unico al mondo che oggi, nella tendenza gender-fluid, dove sembra che non ci sia più distinzione tra maschio e femmina, risulta quindi molto attuale. Graficamente l’etichetta presenta una corona in alto e un collare di pietre preziose. Insomma, il tesoro della Regina, anzi del Re Tamara. Il risultato, cromaticamente, è sorprendente. La preziosità traspare, anzi, esonda. Si tratta forse di una ridondanza, di sfaccettature un po’ sfacciate. Ma di fronte al racconto della vita di questa Regina particolarmente autoritaria (si faceva chiamare, “re dei re e regina delle regine”), lo sfarzo può essere un modo di essere e di comunicare.

Un Vino che “Sta Stretto”, nell’Entroterra Marchigiano

Il Vicolo, Rosato Igt Marche, 
Cantina dei Colli Ripani.

Questo vino marchigiano, un rosato da Montepulciano (vitigno) e Sangiovese, è abbigliato in modo davvero originale. Con una grafica molto geometrica vediamo un omino che guarda all’insù, posizionato in uno spazio ristretto. Ed è proprio a questo che allude il nome del vino, “il Vicolo”, cioè a un luogo molto particolare. La spiegazione ce la fornisce direttamente il produttore: “Uno sguardo in su e uno ai lati. Eh sì, la via è stretta. Anzi strettissima, appena 43 cm. Ti trovi nel vicolo più stretto d’Italia, un primato che appartiene a Ripatransone, la nostra città. Ma non preoccuparti, puoi sempre tornare indietro oppure decidere di attraversarlo. Per poi orgogliosamente affermare di avercela fatta. Dal colore rosa tenue brillante e dal profumo fruttato, 'il vicolo' Marche IGT Rosato celebra questo luogo curioso e bizzarro, che sfida la prospettiva. In un solo bicchiere due sguardi sul mondo, due punti di vista che trovano la via, stretta, per conciliarsi e lasciarsi ricordare”. Certo che, a parte la collocazione topografica della cantina, nulla collega il vino con il vicolo in questione. Ma l’etichetta incuriosisce. E la modalità utilizzata in questa illustrazione, in questo packaging che propone anche una carta goffrata particolare, è davvero moderna e “stilosa”. In pratica si è preso un fatto, se vogliamo anche abbastanza turistico, trasformandolo in un valore da comunicare. Distintivo e funzionale.

77, le Gambe delle Donne (ma Siamo in Canada, non a Napoli)

Red Over Heels, Blend di Rossi, Strut Wines.

Il pay-off o claim che dir si voglia (in termini moderni), insomma lo slogan o anche il “motto” (per dirla in termini desueti) di questa azienda canadese è “the wine with legs”. In pratica potremmo tradurre così: “il vino con le gambe”. Il messaggio visivo in etichetta è chiaro, si tratta di gambe di donna (per non fare torti a nessuno, in questo mondo fluido, per quello che ne sappiamo potrebbero essere anche gambe trasgender). Forse c’è un gioco, un’allusione, se “gambe” dovesse trasmettere anche una vaga sensazione di “radici”, “origini”, “piedi piantati per terra”. Chissà. Certo che con una serie di etichette (non solo questa che mostriamo), dove sono protagoniste (con scatti fotografici) delle donne in minigonna, si fa fatica a uscire da questo stereotipo. Questo vino, un Merlot, si chiama “Red Over Heels”, in pratica, “un rosso con i tacchi” (anche qui, sarebbe da interpretare). Occupiamoci invece del target: donne? Uomini? Facile pensare che il messaggio sia rivolto agli uomini (che per il vino, in generale, sono ritenuti i “responsabili di acquisto”). Le donne potrebbero altresì risultare incuriosite da questo tipo di immagini. Alcune però potrebbero soffrire di invidia, laddove le gambe in etichetta non dovessero corrispondere alle proprie. La questione non è semplice. Certamente questo packaging attira l’attenzione, su questo non ci piove.

Sette Punti Molto Simpatici per un Rosato Spigliato

Settepunti, Primitivo Rosato, Luca Attanasio.

La Cantina di Luca Attanasio (che nel sito internet acquisisce la dicitura “le Vigne di Luca Attanasio”) si trova tra Sava e Manduria, in provincia di Taranto (Alto Salento), nel cuore del territorio di produzione del Primitivo. In questo caso abbiamo un Primitivo Rosato molto particolare, non filtrato, ahinoi col tappino di latta, che viene promosso come vino da aperitivi (antipasti) e… “ottimo anche con la pizza”. A noi piace il nome del vino che nasconde un piccolo racconto. Si chiama “Settepunti”, che non sono delle localizzazioni in vigna o dei luoghi sui generis, bensì, come raccontato nella pagina web dedicata “il nome di questo vino si ispira alla coccinella e ai puntini neri che ne caratterizzano la livrea (Coccinella Septempunctata). Settepunti è dedicato a questi piccoli insetti che in silenzio liberano il vigneto da afidi e altri parassiti dannosi ed è ottenuto dalla vinificazione dei racemi maturati sulle femminelle degli alberelli…”. La grafica rappresenta il carapace di una coccinella, stilizzato, con una conformazione arrotondata anche dell’etichetta stessa. Il packaging è attraente, il nome incuriosisce, la spiegazione è in linea con i dettami ecologici più agguerriti e moderni; inoltre le coccinelle, si sa, risultano simpatiche in tutto il mondo. Tant’è che in molti casi viene ritenuto che portino fortuna se si posano sulla propria mano. L’operazione di comunicazione è ben riuscita e questo piccolo produttore ha saputo così distinguersi con simpatia ed efficacia.