Una Insolita Bianchetta, di Giallo Vestita

Tilio, Bianchetta (Trevigiana), De Bacco.

In primo luogo è necessario riconoscere che il nome/cognome di questa azienda è centratissimo. Nomen omen, dicevano i latini antichi. Di fatto un’azienda vinicola che si chiama “De Bacco” ha già nel proprio DNA una certa azione di marketing. Il produttore in questione che ha sede a Feltre, in provincia di Belluno, si chiama, per esteso, Società Agricola De Bacco Pietro di De Bacco Marco & C. S.a.S. Quindi nulla di inventato, si tratta del vero cognome della famiglia che gestisce questa attività. Il logo, che vediamo proprio sopra al nome aziendale (alla base dell’etichetta), ritrae dei torrioni in rosso, che su uno sfondo giallo non fanno propriamente una bella figura. Notiamo anche che la parte gialla della grafica risulta essere una banda trasversale che scende, come una tenda, da sinistra in alto fino in basso a destra. Soluzione molto semplice, vero, ma che denuncia fin troppo la propria semplicità. In alto troviamo il nome del vino, “Tilio”, scritto in verticale, quindi non immediatamente intellegibile. Di fianco a sinistra vediamo la dicitura che riguarda il vitigno, una insolita Bianchetta Trevigiana che in veneto ci può trovare in pochissimi ettari. Per quanto riguarda il nome del vino, non avendo trovato altri riferimenti, crediamo possa essere frutto di pura fantasia, anche se richiama fortemente alla mente la pianta del tiglio.

Giovani Baroliste Crescono

Lalù, Barolo, Lara e Luisa.

Questo vino viene prodotto unicamente in 2000 esemplari ogni anno. E’ il frutto dei grappoli di Nebbiolo che maturano in un piccolo angolo di Langa, su una superficie di soli 0,3 ettari. Ma soprattutto è il risultato della passione di Lara e Luisa due giovani donne (classe 1990/91) che si sono conosciute nel corso di laurea di Scienze Gastronomiche dell’Università di Pollenzo e quindi, dopo esperienze in vigna e in cantina in Borgogna e Argentina, hanno deciso di fondare un’azienda vinicola che oggi ha sede a Serralunga d’Alba. Il nome del vino, che è anche il nome dell’azienda, sintetizza la parte iniziale dei loro nomi: “La/Lu”. Semplice e identificativo. L’attività inizia nel 2015, si tratta quindi di una realtà molto recente ma che può vantare già un considerevole rispetto da parte degli intenditori, soprattutto per quanto riguarda il nobile Barolo. La grafica dell’etichetta gioca con i caratteri tipografici, proponendo una lettura creativa del nome (originale anche se non comoda e lineare). Al centro vediamo due forme sferiche, due sassi, due entità, due ectoplasmi. Semplicità anche in questo caso. La dicitura “Le Coste di Monforte” geolocalizzano il luogo anticamente detto, dove sono piantate le vigne. La carta dell’etichetta è di quelle ruvide al tatto che dona preziosità ma anche una sorta di genuina ruralità. Complimenti e buoni auspici.

Una Coppia di Coltivatori di Cedri (e di Vigne)

Die Zederbauer, Grüner Veltliner,
Weingut Zederbauer.

Le immagini stilizzate di queste etichette sono davvero molto belle. Tracciano i confini di quel territorio creativo dove il regno del disegno diventa universo artistico. Ed è questa la loro forza propositiva. Unitamente ad una sensazione di gioia e dinamicità che queste illustrazioni sanno trasmettere subito, in prima battuta. Si tratta della stilizzazione di un uomo e una donna, riuscite particolarmente bene per sintesi grafica e cromatica. Il fautore di queste etichette è un produttore austriaco, che opera nella zona a nord-ovest di Vienna, dove le colline possono godere della vista del bel Danubio blu. Il vitigno in questione conferma: si tratta di un autoctono coltivato in modo quasi esclusivo in Austria (e in piccola parte in Alto Adige), il Grüner Veltliner. E veniamo al nome del vino che è anche il nome della “weingut”, come si dice “azienda vinicola” in lingua tedesca (11 ettari di vigneto, in regime biologico, che appartengono alla medesima famiglia dal 1854, oggi gestiti dai discendenti Franz e Barbara): scopriamo che “die Zederbauer” significa “il coltivatore di cedri” (e di conseguenza “Zederbauerin”, la coltivatrice o la moglie di tale coltivatore). Il produttore ci tiene a precisare che poste le due bottiglie una di fianco all’altra, le due figure si tengono la mano. Con un tocco di romanticismo che serve nella vita come nel marketing. Prosit!

Un Don Giovanni che Sollecita i Sensi

Don Giovanni, Nocera, Antica Tindari.

Non sappiamo se il nome di questo vino è riferito a qualche antenato della famiglia che ha generato questa azienda siciliana. Ma il primo riscontro, quello più istintivo, va al famoso Don Giovanni Tenorio, personaggio del teatro e della letteratura spagnola, protagonista di infinite avventure più o meno galanti e di scontri tra amanti. Tanto che in italiano e anche in spagnolo il termine “Don Giovanni” è usato come sinonimo di donnaiolo, sciupa femmine, latin lover, con la stessa accezione di “Casanova” di veneziane origini. La fama di questo nome proviene indubbiamente anche dalla più celebre opera di Mozart, il cui titolo ufficiale è “Il dissoluto punito ossia il Don Giovanni”. Detto questo passiamo ad analizzare sia pure in breve il gradiente grafico dell’etichetta: pulita, originale, intrigante, presenta in alto una illustrazione, crediamo, di un grappolo d’uva stilizzato. Questo disegno potrebbe ricondurre anche a delle bollicine, riferimento che sarebbe erroneo in quanto stiamo parlando di un vino rosso fermo (in particolare prodotto con un vitigno storico, autoctono, che si chiama Nocera). Tra l’illustrazione e il nome del vino troviamo una scritta in corsivo stampata in oro che recita: “L’armonia dei sensi che diventa eleganza”. Frase eterea ma che potrebbe avere senso. Alla base dell’etichetta troviamo infine il nome del produttore e il logo: la forma triangolare della sicilia in stile decorativo.

Un Livello Molto Alto… a Tutti i Livelli

Sylvaner, Villscheider.


Ed ecco un fulgido esempio di design altoatesino, moderno, diretto, coinvolgente. Siamo nella Valle Isarco, territorio emergente in fatto di vini bianchi. L’azienda vinicola, di tenore famigliare, con annesso agriturismo come spesso avviene da quelle parti, si chiama Villscheider. Ci viene in aiuto il produttore stesso che nel proprio sito internet scrive: “Il nome Villscheider deriva dalla lingua ladina (da non confondersi col latino, n.d.r.) che significa: “tagliare l’erba con la falce”. Nel nostro vino si riflette l'odore del fieno appena falciato…”. Benissimo, il racconto si dipana in modo coerente al territorio che del resto viene ben rappresentato in etichetta: 5 “strati” grafici e cromatici compongono la parte centrale del packaging; il primo dal basso ci propone in nero le sagome del paese, chiesa e case; nei seguenti livelli si staglia prima uno sfondo collinare, in oro, poi ancora in nero e grigio le retrostanti alte e rocciose montagne che incoronano quella valle. In alto il nome dell’azienda in oro, in basso troviamo il nome del vitigno e la denominazione. Che questo sia un produttore ispirato ce lo confermano altre parole che troviamo nella home del loro sito e che servono a geolocalizzare (con filosofica eleganza) il tutto: “Il Paese in cui viviamo è una zona di confine. Ci siamo abituati a usare l’immaginazione per superare i confini linguistici, culturali e climatici. Anche la vite che coltiviamo è radicata in un confine e il vino che produciamo trascende i confini del gusto”. Complimenti a tutti i livelli.

Il Respiro del Mare che fa Bene al Vino

Campo al Mare, Blend di Bordolesi,
Tenute Folonari.

Di vini (o aziende vinicole) che hanno nel loro nome la parola “campo” ce ne sono a decine. Si differenziano nella “definizione” di quel campo. E’ il caso di questo Bolgheri Rosso che si definisce in etichetta “Campo al Mare”, evidentemente per una vicinanza delle vigne alla Costa Toscana. Si tratta di una linea di vini della storica Famiglia Folonari. Nota soprattutto per la propria intraprendenza in terra di Toscana, nel secolo scorso, con i noti fiaschi impagliati; oggi con una serie di proposte che spaziano dal Nord al Sud Italia per un impero enologico di vaste dimensioni. Interessante sapere che il capostipite di questa famiglia era in origine stanziato in Valtellina. Ha poi spostato l’azienda in Val Camonica e quindi a Brescia. Partendo quindi dal Nord Italia per la conquista commerciale di molte altre regioni. Tra tutti i “campi” esistenti nei nomi dei vini, questo Campo al Mare è interessante per la dicotomia che reca con sé: un campo affacciato sul mare, a ridosso delle spiagge, è motivo di curiosità e di attenzione. Certo, un campo in aperta campagna è più “normale”. Si tratta quindi di una etichetta molto semplice, con un nome in alto e  sostanzialmente molta pulizia grafica. Interessante il logo, rotondo, sotto al nome, con una bella sintesi visiva tra mare, sole e cipressi, dai contorni dorati. Alla base dell’etichetta il logo della Casa Madre, due “F” contrapposte, a rappresentare in questo specifico caso, Ambrogio e Giovanni Folonari.

Massaretta, Barsaglina o Sangiovese: con il Cybo Giusto

Cybo, Massaretta, Castagnini.

Poco da dire su questa etichetta, a quanto sembra. Ma in realtà non è così. Dietro alla sua apparente semplicità si possono scorgere (informandosi) alcune interessanti peculiarità. Innanzitutto l’unico elemento di questo packaging che attira l’attenzione è il nome del vino, “Cybo”. Legato immediatamente alla parola in italiano, cibo. Quindi alimentazione, piatti, ricette, gusto. Ma di fatto si può scoprire che “i Cybo (detti anche Cibo) furono una nobile famiglia di origine genovese, le cui prime notizie certe risalgono al XV secolo ad Arano, cittadino e nobile genovese, che ebbe a Napoli e a Roma alti uffici e fu anche senatore romano”. Questo ci dice Wikipedia. La sede di questa piccola azienda vinicola è in effetti vicino a Genova, poco oltre i confini della Liguria con una Toscana che… sa ancora di Liguria. Quella dei Colli Apuani, nello specifico la Collina di Candia che separa Carrara da Massa. E questa è un’altra interessante particolarità: laddove c’è il marmo, la vite trova anche lì il suo nutrimento. La terza curiosità di questo vino è sicuramente il vitigno di cui è composto, la Massaretta, detta anche Barsaglina, coltivata esclusivamente in quella zona in soli 33 ettari. Alla fine gli esperti dicono che la Massaretta è assimilabile al Sangiovese: tannica, con una elevata acidità, che le consente comunque una lunga vita (in affinamento).

Anche i Migliori Cru Hanno Bisogno di Marketing

Morgon, Gamay, Jean Ernest Descombes.

Quando la storia aziendale e il marketing si mettono insieme e operano all’unisono, il successo di un prodotto è assicurato. Possiamo dire così di questo vino, che nasce nella zona di uno dei 10 crus del Beaujolais, Morgon, tra Macon e Lione (i fantastici 10 sono, da nord a sud: Saint-Amour, Juliénas, Chénas, Moulin-à-Vent, Fleurie, Chiroubles, Morgon, Régnié, Brouilly e Côte de Brouilly). Nella parte centrale di questa etichetta “all’antica”, troviamo l’effige del fondatore nonché vignaiolo fino al 1993, anno della sua scomparsa. Nella raffigurazione leggiamo il suo nome e lo vediamo intento a degustare un calice di vino. Immagine semplice e al tempo stesso potente. Che trasmette storicità, genuinità, passione, impegno. Oggi l’azienda, sotto l’egida del gruppo Duboeuf, viene condotta dalla figlia di Monsieur Descombes, Nicole. Curioso il nome della vigna di provenienza delle uve, proprio sopra l’’immagine: Cote du Py, in italiano diremmo “coste del Py”: trattasi di un vulcano spento le cui “spoglie geologiche” danno vita a uno dei cru più affermati della regione. Forse l’unica rappresentazione che non ci piace è quel davanzale di foglie di vite e grappoli d’uva che rende il tutto ancora più arcaico. Ma probabilmente è questo il suo bello.

Tre Tarocchi Attorno a un Pozzo (Pieno di Vino)

S.S. Trinità, Roero Arneis, Malvirà.

Questa azienda ha deciso di “scomodare” la Santissima Trinità (nome del vino) per realizzare un’etichetta abbastanza enigmatica (ci riferiamo, in prima battuta all’entità religiosa del cattolicesimo). Da un punto di vista agnostico vediamo invece raffigurato un pozzo con attorno tre persone. Due donne e un uomo. Approfondendo la ricerca per ottenere un significato, nel sito internet del produttore di questo vino bianco a base Arneis, troviamo questa affermazione: “Nelle nostre etichette abbiamo scelto di valorizzare la tradizione del territorio, legando alcuni simboli delle carte dei tarocchi alla ruota che appare nello stemma di famiglia dei Conti Roero”. In effetti, dietro al pozzo si vede una ruota di carro antico. Le tre figure, visto che sono stati tirati in ballo i tarocchi, dovrebbero essere la Temperanza, quella in primo piano che tra le mani una brocca e dei fiori, il Folle, l’uomo alla destra del pozzo e le Stelle (ne troviamo due in alto a destra) per la donna in secondo piano. Colori sgargianti (proprio come nei tarocchi di Marsiglia, quelli più noti e utilizzati), carta goffrata al tatto, nome del vino in grande con un carattere anticato, vitigno, annata, logo aziendale e località, in successione, nella parte bassa del packaging. Nel complesso si tratta di una etichetta che si fa guardare e che incuriosisce. Forse poco usuale per un vino piemontese, ma questo potrebbe essere anche un pregio.

Il Basilisco Abita in Basilicata (quello dei Re)

Basilisco, Aglianico del Vulture.

Il nome di questo vino, che è anche il nome dell’azienda che lo produce, riporta a diversi significati. In primo luogo quello descritto dal produttore nel proprio sito internet: “Basilisco”, in greco significa “piccolo Re”, il titolo corrispondente alla carica di governatore attribuito durante il dominio bizantino della “Basilicata” il cui toponimo significa a sua volta terra del Basileus, cioè del Re”. Infatti stiamo parlando di un vino che viene prodotto a Barile in provincia di Potenza. Ma il Basilisco è anche un animale mitologico. Ci viene in aiuto la Treccani: “Genere di Lacertilio della famiglia Iguanidi, caratterizzato dalla presenza di un rilievo cutaneo, di forma triangolare, al disopra della regione occipitale. Comprende poche specie limitate all'America tropicale; la più comune è Basiliscus Americanus Laur. Questo può raggiungere 80 cm. di lunghezza, ha il corpo alquanto compresso lateralmente, gli arti, specie i posteriori, bene sviluppati, la coda allungatissima, una cresta dorsale particolarmente elevata nei maschi, e un colorito, in generale, verde o marrone olivastro con ben distinte fasce trasversali nere sul dorso. Si trova comunemente nelle foreste lungo i fiumi del Messico e del Guatemala; sta di preferenza sui rami degli alberi che sporgono maggiormente sull'acqua, nella quale si tuffa al minimo allarme; nuota con notevole rapidità mediante movimenti degli arti anteriori e valendosi della coda a guisa di timone. La sua dieta è strettamente erbivora”. Insomma, niente carne alla mensa del Basilisco. Mentre per l’Aglianico è consigliatissimo qualche taglio bovino d’eccellenza. Veniamo all’etichetta: macchie di acquarello, tenui, diàfane, solo accennate. Il logo aziendale in basso a destra è una antica moneta d’oro. Per il resto caratteri di scrittura eleganti e formali. Bella senz’anima, parafrasando un famoso brano di Riccardo Cocciante.

Etichetta di Spessore per un Vino a Basso Costo

Cuor di Pietra, Negroamaro Riserva,
Marca Privata Lidl.

A volte anche i vini a basso costo possono vantare etichette preziose (che costano di più della media in termini di produzione). E’ il caso di questo Negroamaro Riserva venduto dalla catena Lidl a un costo che si aggira sui 4 Euro a bottiglia. Non siamo qui per parlare del vino che in ogni caso alcune recensioni in rete reputano di buona qualità. Parliamo del packaging. Nome del vino: “Cuor di Pietra”. Non esattamente una accezione positiva visto che nel gergo popolare avere il cuore di pietra significa essere duri di carattere e insensibili. Ma in questo caso crediamo si faccia riferimento alla composizione del terreno dove maturano le uve atte a produrre questo nettare salentino (Puglia). La carta è preziosa, goffrata, con un decoro in rilievo. Vengono utilizzati anche particolari in oro. La fustella (forma dell’etichetta incollata sulla bottiglia) è di quelle sinuose, cioè non lineari (quindi costa di più). In alto, sul collarino, vediamo una forma a cuore che riporta il tema decorativo di tutto il packaging, con la scritta “Italia” e l’annata di riferimento. Una chiave antica che sta per infilarsi in una serratura aggiunge mistero e preziosità. Anche la scelta dei caratteri di scrittura è felice: classici, ordinati, leggibili, valorizzanti. Nel complesso si tratta di una bella etichetta che induce all’acquisto. Cioè una di quelle che sta bene al centro della tavola. Marketing e comunicazione: anche questo serve per vendere il vino (e qualunque altro prodotto).

Uno Sciaccarellu Corso, Molto Contento

Sempre Cuntentu, Sciaccarellu,
Domaine Giacometti.

“Cuor contento, il ciel l’aiuta”, recita il vernacolo popolare dai tempi dei tempi. E si vede che anche questi viticoltori corsi credono fortemente nel pensiero positivo. E nei benèfici effetti che un buon bicchiere di vino può avere sull’umore. Al centro di questa colorata e fantasiosa etichetta troviamo infatti un sorriso, anzi, una risata, amplificata da un effetto ridondante di colori, che integrano un calice della medesima forma della bocca che sta ridendo. Sicuramente originale, empatico, attenzionale questo packaging che fa dell’allegria il testimonial principale del “prodotto vino”. In particolare il vitigno che compone questo nettare dell’allegria è lo Sciaccarellu, autoctono della Corsica, isola francese che ha conservato molte tracce italiche. Valga come ulteriore testimonianza di questo, il nome del vino in questione: “Sempre Cuntentu”, una forma dialettale molto simile all’italiano. La scritta (il carattere di scrittura) che riguarda il nome è molto grezza, realizzata “a mano”, volutamente disordinata, raffazzonata, approssimata. Ma forse è proprio questo il carattere di questo vino. E infine una chicca filosofico-enologica, prelevata direttamente dalla scheda del vino pubblicata nel sito internet del produttore: “Dégusté à 15-17°c sur la terrasse ou près de la cheminée, l’important étant de bien être accompagné”. A la santé!