Divinità Italiche Vestite alla Francese


Mater Matuta, Syrah e Petit Verdot, Casale del Giglio.


Un nome curioso che potrebbe ricordare certe parole africane come… Hakuna Matata, celebre canzone del film Disney con il Re Leone. Ma qui siamo in Italia, in centro Italia, in una regione, il Lazio, più consona storicamente agli Etruschi e a seguire ai Latini. Infatti, Casale del Giglio, premiata azienda vinicola, ci dice che: “Il nome Mater Matuta deriva dall’antica divinità italica, Dea dell’Aurora, protettrice della vita nascente e della fertilità. Il culto di questa divinità era assai diffuso nell’Italia Centrale e le fu dedicato il famoso tempio dell’antica città di Satricum presso Le Ferriere (Latina)”. Si tratta di un Rosso Igt Lazio che segue una propria strada caratteriale miscelando due vitigni tipicamente francesi. L’etichetta è super classica ma con una modalità stilistica che ha reso distintiva l’appartenenza a questa cantina che non rinuncia a produrre vini di ottima qualità anche con vitigni internazionali (ma anche con vitigni tipicamente italiani come Bellone, Trebbiano, Biancolella, Cesanese…). Carta gialla, anticata, cornice dorata, un disegno del Casale al centro, scritte di legge e nomi ben ordinati al centro. Un packaging che si fa rispettare, proprio come il vino che vuole rappresentare.

Omaggio a Ligabue e alla Sua Fiera Mente


1958, Lambrusco, Cantina Gualtieri.

Il nome di questo vino è una data: l’anno di nascita della cantina che lo produce. La cantina si chiama Gualtieri come la località dove ha sede (in provincia di Reggio Emilia, tra Mantova e Parma, per una migliore collocazione geografica). Il vino è molto particolare perché si tratta di una vinificazione in bianco di uve a bacca nera. Come è noto, infatti, il Lambrusco è un rosso (più o meno scuro, secondo il clone del vitigno, la zona e il terreno. L’etichetta è di quelle importanti, con particolari in oro e una grafica moderna caratterizzata dai grandi numeri della data di cui sopra. Ma veniamo alla descrizione fornita dal produttore nel proprio sito internet, che ci porta a conoscenza anche dell’immagine che vediamo nel packaging: “1958 è un mix di vivacità, morbidezza e freschezza. Il perfetto equilibrio tra olfatto e gusto. Lambrusco Maestri e Marani vinificati in bianco si fondono in uno Charmat lungo, in versione secca, dal naso delicato e floreale. Un “Blanc de Noir” brillante e piacevole, espressione di un vitigno straordinario che nuovamente dimostra una grande versatilità per un prodotto che si adatta a fini aperitivi, a piatti di pesce e crostacei. Una piccola rivoluzione nel modo di vedere e trattare il lambrusco… Sull'etichetta l'immancabile omaggio al noto pittore Ligabue, con uno dei suoi bozzetti a matita”. In basso a destra vediamo infatti l’immagine stilizzata di una tigre, animale tra i preferiti del noto pittore emiliano che visse dal 1919 al 1965 propio a Gualtieri (tranne qualche periodo trascorso all’Ospedale Psichiatrico San Lazzaro di Reggio Emilia). Bella etichetta quindi, e bello anche l’omaggio al folle artista che immaginava e dipingeva la savana dai suoi rifugi in Bassa Padana. Forse con l’ausilio di qualche bottiglia di Lambrusco, quello tradizionale che da quelle parti si beve ancora oggi in tazza.

Moderatamente Alcolico, Allegoricamente Natalizio


Sidro Melchiori Trentino, Lucia Maria Melchiori.

A ridosso di ogni Natale fioccano le edizioni speciali dei vari prodotti enogastronomici e di conseguenza dei loro packaging. A dire il vero questo sidro di mele non rientra nell’enogastronomia perché… gli manca “l’eno”. Anche se alcolico non è un vino. Vediamo comunque per i non addetti di cosa si tratta, nella descrizione che viene data da questa azienda nel loro sito Internet: “Il sidro è un fermentato di frutta, ad esclusione dell’uva, opportunamente preparato per il consumo. Il sidro più consumato e prodotto è sicuramente quello derivante dalla fermentazione delle mele: è un prodotto vivace, fresco, pieno di storia, simpatico e felice, da gustare in ogni momento della giornata. Bevanda di colore giallo, leggermente alcolica, acidula o dolce, caratterizzata da aromi particolari e diversi che derivano dalla frutta utilizzata e dal metodo di produzione impiegato che può essere Charmat, dove il prodotto fermenta in autoclave, o Metodo Classico, quando il prodotto fermenta in bottiglia”. Ebbene sì, il sidro di mele può essere finalizzato anche in versione “Metodo Classico”. Ma veniamo a questa confezione particolare: carta rossa natalizia con fiocco verde sul collo della bottiglia, illustrazione da favola con montagne rocciose (le nostre, non quelle americane) sullo sfondo e slitta di Babbo Natale alla base. Tutto molto aulico. Da portare in tavola con festosa appartenenza. Per il resto il sidro è un prodotto moderatamente alcolico, in grado quindi di fornire allegria, senza eccessi. E la mela fa pure bene.

Spumante da Aperitivo con Spessore


Bianca Vigna, Spumante, Bianca Vigna Società Agricola.

Anonimo? No. Poco conosciuto? Sì. Ma con tutte le sue belle cosine a posto. Vediamole in ordine: bottiglia da bollicine preziose, pesante e sinuosa, etichetta scura con particolari dorati e argentati, logo in rilievo con edizione personalizzata del vetro della bottiglia (sul collo, in alto). E poi le parole giuste: “Cuveé 1903” (francesità) e “Spumante italiano” (contrappunto). Quest’ultima precisazione accessoria ma che coadiuva una percezione di qualità patriottica, che non fa mai male (e poi siamo in Veneto, dove ci tengono a queste cose). Il nome del vino è anche quello della società che lo produce e lo commercializza: “BiancaVigna”, tutto attaccato. Sopra al nome del vino troviamo, stilizzate, le curve di una montagna. Infatti il vino viene prodotto ai piedi delle Prealpi Venete. Lo stile del nome del vino (nome anche dell’azienda, che è anche logo) è ben studiato: la “B” iniziale di “Bianca” e la “V” iniziale di “Vigna” sono create ex-novo e sono perfettamente coordinate con il tratto in alto che definisce il profilo delle montagne. L’alto rilievo in vetro sul collo della bottiglia riprende la B e la V di suddetto logo. Graficamente missione compiuta!

Il Faccione di Quel Piacione di Platone


Platone, Primitivo e Negroamaro, Tenute Al Bano.

Scomodare Platone per dare un nome a un vino? Fatto. E allora scomodiamolo del tutto raccontando che il suo nome, probabilmente, potrebbe derivare dalla larghezza delle sue spalle, laddove “platýs” in greco antico significa “largo”". Infatti, da giovane, il noto filosofo praticava il pancrazio, uno sport simile al pugilato. Nel caso specifico di questo vino, prodotto dal celebre cantante Al Bano Carrisi, si tratta di un omaggio al saggio padre che invogliò Al Bano a coltivare la vigna. Un omaggio che avviene valorizzando la saggezza di Platone. Nel sito del produttore infatti si legge: “Quando ero bambino, Don Carmelo, mio padre, mi portò alla vigne e mi insegnò a liberarla dalle erbacce. “Se dai alla terra, la terra ti dà”, mi diceva, cosi ho capito che prima ancora del vino, dalla vigne ti veniva un sorso di saggezza. Ho dedicato al “Mio Vecchio Saggio” questo vino che mi aiuta a riscoprire il calore degli affetti ed il colore degli anni”. Un faccione di Platone troneggia nel packaging sulla sinistra. Per il resto (dell’etichetta) abbiamo una impaginazione ordinata, in generale un po’ statuaria come il busto riprodotto graficamente, con evidenze in rosso rilucente. Non c’è bisogno d’altro, o almeno così si è ritenuto alla creazione di questa etichetta.

Stranezze Astratte di una Romagna Romantica


Lo Stralisco, Sangiovese, Chiara Condello.


Secondo Wikipedia (che ancora resiste all’attacco della AI): “Lo Stralisco è una pianta immaginaria, una sorta di erba luminescente con spighe simili al grano, creata dallo scrittore Roberto Piumini per il suo romanzo per ragazzi del 1987 intitolato proprio così. Nel libro, questa pianta viene descritta come una specie di "erba-lucciola" che splende nelle notti serene, ed è parte integrante della narrazione fantastica che affronta temi come la malattia, la morte e la forza dell'arte…”. Nome davvero strano per un vino, anche accettando la valenza, sicuramente elevata, di una citazione letteraria. Nome inventato, quindi. Qui sta eventualmente la sua forza. Incuriosisce. Di pari passo va l’illustrazione che vediamo in questa etichetta del Sangiovese top di gamma di Chiara Condello (prodotto solo nelle annate migliori e in numero davvero limitato). Libri volanti, cappelli e grappoli in ordine sparso. In basso a destra una cascina. Disegni molto approssimati così come il carattere di scrittura del nome del vino. Solo il nome della produttrice, in testa al packaging, risulta bello chiaro. L’azienda è piccola. L’originalità tanta. La fantasia abbonda. La voglia di stupire, anche con il prodotto stesso, è il traino principale di tutta la storia. 

Bollicine Concrete sulle Colline Pavesi


Zuffada, Pinot Nero (Spumante), Casa Zuffada.

Si tratta in sostanza di un agriturismo a circa 70 chilometri da Milano. Si trova a Ruino in provincia di Pavia (dove ha sede e produzione anche il celebre caseificio “il Boscasso”). La specialità di Casa Zuffada sono gli spumanti. Su quelle colline, a trattarlo bene, il Pinot Nero (o Noir, secondo le origini francesi) rende bene, soprattutto sotto forma di bollicine. Ed ecco quindi un Metodo Classico sfidante, anche per quanto riguarda il packaging. Cosa vediamo in etichetta? Tanta semplicità. Su un fondo di carta tattile la grande scritta che è nome del vino e della cantina stessa: “Zuffada”. Sotto al nome un simbolo. Moderno, ottico, ipnotizzante, anche un po’ tribale. Alla base la scritta in rosso “Pas Dosé”, in evidenza. Più in piccolo, Pinot Nero e Metodo Classico. Nient’altro. Poche parole, grandi certezze. Uno schema da leader di mercato se non fosse che questa piccola realtà produce questo vino con una vigna di solo 1 ettaro. Eppure la semplicità paga, in termini di credibilità e sostanza. Nessuno fronzolo, solo concretezza. Cosa ci vuole a creare un’etichetta così, direbbero in molti. Creatività poca, ma tanto coraggio e amor proprio.

La Catarsi Filosofica dello Champagne


Blanc de Noirs, Champagne, Domaine Rousseaux-Batteux.

L’eterna battaglia tra il bianco e il nero è una questione filosofica. Forse anche tra il bene e il male, tra il giorno e la notte, tra il sole e la luna. Si tratta di un combattimento che si svolge da secoli anche nelle campagne dello Champagne (l’assonanza è voluta: ormai si dimentica che “Champagne” significa proprio quello e non cene sfarzose in castelli fiabeschi, significa proprio “campagna”, campagnolo, rurale, genuino). Il dilemma è sempre tra il vitigno Pinot Noir e lo Chardonnay. Caratteri diversi che di solito vengono amalgamati (insieme al Meunier nella formula classica), ma che per gli esperti valgono molto anche come vitigni solisti. E qui si apre lo spartiacque tra gli austeri e i gaudenti, tra gli amaricanti e i fruttanti (giusto per la rima). Alcuni dicono tra il maschile e il femminile. Ma non vorremmo cadere nella trappola del geneticamente scorretto. Ironia della sorte vinicola (storica) lo Champagne più acquistato e quindi, a monte, conosciuto è il Blanc de Noirs, bene in evidenza in questa etichetta, che gioca a confondere le idee ai meno avvezzi. Si tratta di un “bianco” creato con un vitigno “nero”. Intrigante quanto basta già in partenza. Cosa desiderare di più? Un tocco di mistero, tra bollicine fini e aromi ben marcati, è quello che ci vuole per un incontro romantico o un brindisi festoso. 

Pane, Olio e Vino, la Formula della Semplice Felicità


EVO, Tenuta Sigillo.

Si sa che olio e vino vanno a braccetto, soprattutto in Italia, da molti secoli. E gli Antichi Romani ci sono sempre in mezzo. Certo l’Abruzzo non è una delle regioni di riferimento per il vino, ma lo è per l’olio extravergine di oliva, ancora oggi sottostimato. Ed ecco quindi un post che parla di un’etichetta di olio, in onore della buona tavola italiana. Si dice che pane e vino possa essere un cibo completo e nutriente, ma pane e olio lo è ancora di più. Soprattutto quando la qualità della materia prima è elevata. In questo caso elevatissima. Ma veniamo all’etichetta di questo EVO prodotto a Penne, uno dei Borghi più Belli d’Italia, da Emanuela Sigillo, discendente di una famiglia che da generazioni ha abitato e coltivato quelle colline in provincia di Pescara, a metà strada tra il Mare Adriatico e il Gran Sasso d’Italia. Etichetta verde-oliva, biologica al primo sguardo, lo stemma dei Baroni Sigillo in alto, la scritta al centro con evidenza, in bianco, alla parola “bio”, un ramo con frutti e foglie in basso. Nient’altro. Semplicità. Alla base, meno visibile in questa foto, la doverosa precisazione “100% italiano”, laddove ormai l’olio d’oliva che si trova in commercio non si sa più da dove venga. Ed è già un miracolo se proviene solo da terre che si affacciano sul Mediterraneo. Non solo italiano, questo olio, ma regionale e ancora di più (o ancora meno, dipende dai punti di vista): locale. Ed è questo essere circostanziato da storia, cultura, territorio, tradizioni, che lo rende perfetto. O semplicemente molto buono, senza esondazioni in materia di marketing. E allora la formula della felicità è: pane, olio e vino. Con un pizzico di sale, anche sotto forma di saggezza, che non guasta mai.

Gutturnio e Fasulìn in Edizione Speciale


Gutturnio, Cantina di Vicobarone.

A volte succede (molto spesso in Italia) che vengano commissionati dei vini in edizione speciale (in particolare delle etichette redatte apposta per situazioni estemporanee) da parte di Ristoranti, Eventi, Celebrazioni, Fiere e Sagre. E’ proprio quest’ultimo il caso in cui la storica Festa del Fasulìn de l’Oc con le Cudeghe, che si tiene ogni anno a Pizzighettone, vicino a Cremona, tra la fine di ottobre e l’inizio di novembre, ha ordinato numerose bottiglie di Gutturnio alla poco distante Cantina di Vicobarone. La decisione in merito a come organizzare graficamente l’etichetta in questione varia da un’impronta simpatica a quella magari più storica e celebrativa. In questo caso si è approfittato dell’occasione per fornire una mappa del luogo dove si tiene la fiera: si tratta della Gerra di Pizzighettone, come riportato in etichetta. Innanzitutto vediamo cosa significa questa parola, “Gerra”. Andiamo da “giaciglio, stuoia, graticcio” a “guerra” vera e propria, fino a “sciocchezza”, sempre dal latino. Siamo più propensi a tradurre come “guarnigione” visto che il comprensorio in oggetto è fortificato con alte mura e casematte (a proposito, cos’è una casamatta? Trattasi di opera difensiva fissa in muratura, insomma un bunker). Cos’altro su questa etichetta speciale? Il nome del vitigno in grande (che diventa anche nome del vino) e il logo della cantina produttrice in alto. Qualcuno le colleziona queste edizioni speciali. Oppure se le beve, che è anche meglio.

Baffetto Perfetto e Occhiale Modello per un Tempranillo Brillo


El Figura, Tempranillo, Siete Pasos.

Un’etichetta davvero curiosa, che ci diverte analizzare. Innanzitutto dobbiamo dire che in rete non si trovano sufficienti informazioni sull’azienda e su questo vino in particolare. Si sa che siamo nella regione vinicola più importante della Spagna, La Rioja, dove dominano i vini rossi. Si sa anche che questo vino è composto al 100% da Tempranillo, uno dei vitigni più diffusi in Spagna. Cosa possiamo notare nel packaging? Un colore di fondo rosa che contrasta nettamente (nella percezione stereotipata) con il viso dell’uomo “macho” in primo piano. Baffi da avventuriero, occhiali da maranza. Il nome del vino è “El Figura”, forse un epiteto indirizzato proprio al soggetto ritratto in primo piano. Figura in spagnolo si traduce con… figura. Ma a parte queste considerazioni grafiche dobbiamo passare ad una valutazione semantica, laddove in alto leggiamo questa frase: “Preciosa! I dònde tiene el botòn de “Me gusta”? Più o meno traducibile con “Carissima, dov’è il pulsante “Mi piace”? Variamente interpretabile, certo. Sicuramente sorprende e incuriosisce. Questo packaging, quindi, si colloca nella serie di etichette simpatiche, anacronistiche, curiose e creative. Non ci sono dubbi, se non sul modello di occhiali da sole indossati dal famigerato individuo brillantinato.

Cognomi Storici che Cambiano ma non Mentono


DeSilva, Sauvignon Blanc, Peter Sölva.

Questo storico produttore altoatesino porta con orgoglio in primo piano, alla nostra attenzione, il cognome di famiglia. Quello che è stato e che ha dato origine al cognome attuale: Sölva. Nel sito internet, nell’ scheda dedicata alla storia di famiglia (e di conseguenza dell’azienda), si racconta che… “Questo nome di famiglia è un'eredità dei nostri antenati, a cui dedichiamo tutto il nostro rispetto. DeSilva è sinonimo di selezione dell'uva e cura dei vigneti più vecchi secondo una lunga tradizione. La provenienza e il carattere dei nostri vigneti fanno la differenza. DeSilva è stato il nome originario della nostra famiglia fino al 1880 circa, quando è stato cambiato in Sölva nella monarchia austro-ungarica. I nostri antenati si stabilirono come viticoltori nel nord Italia, in Alto Adige, intorno al 1200. In quanto cantina storica, fondata ufficialmente nel 1731, è naturalmente molto importante rispettare questa storia e riportarla ai giorni nostri. DeSilva è quindi oggi sinonimo di selezione dell´uva e cura dei vigneti piú vecchi con radici profonde che esaltano il nostro terroir”. Particolare anche lo stemma di famiglia che trionfa nella parte centrale dell’etichetta. Due uomini, che sembrerebbero indossare un turbante, brandiscono come una chitarra (potrebbe essere un Sitar indiano) quella che invece si manifesta come una scimitarra, una lancia insomma, con fare guerresco (o musicale, per come si potrebbe percepire). Lo stemma è adagiato su un fondale in bianco e nero che raffigura una vigna (e che stempera un po’ l’aggressività dei due gendarmi).

Essere Amato Come un Magliocco Rosato


Amaris, Magliocco, Biofattoria Sociale Marinello.


Un vino rosato vestito di azzurro-cielo. Anomalia di un packaging azzardato o nozze prelibate tra cromie d’estate? Non è necessario rispondere, ma di certo questo azzurro intenso si fa notare. Veniamo al nome del vino, innanzitutto: “Amaris” che dovrebbe essere stato “estratto” dal latino. L’Intelligenza Artificiale (ormai i vocabolari non si usano più) ci dice che: “Il significato più comune e grammaticalmente regolare di “amāris” è “tu sei amato” (forma passiva di amāre)”. Bello. Essere amati. E questo vino probabilmente, nella sua metamorfosi da germoglio a nettare, è stato molto amato dal suo produttore (e lo sarà, piacendo, a chi lo verserà nei lieti calici). Nell’etichetta, in alto la stilizzazione di un casale. E subito sotto la definizione dell’impresa, originale: Biofattoria Sociale. Il tutto si colloca quindi in un’area di percezione rurale, sincera, austera, di campagna. Amaris viene definito come “vino biologico” a conferma delle attività “naturali” dell’azienda. Peccato che il nome del vino e la sua definizione vengano scritte con un inchiostro fucsia che sul fondo azzurrone vibra a un punto tale da impedire quasi una immediata lettura. In basso la regione di provenienza (e di coltivazione e produzione) con l’orgogliosa precisazione: “Magliocco in purezza”. Vitigno tipico della Calabria subito connotabile. Etichetta semplice, lineare, che fa venire qualche dubbio sulle scelte cromatiche ma che si vende bene nel contesto in cui opera.

Le Trame Biologiche di una Antica Diramazione


Refosco (dal Peduncolo Rosso), Villa Bogdano 1880.

Il logo di questa azienda veneta attinge a dei ritrovamenti romani nella zona di Portogruaro dove l’Antica Via Annia collegava Padova ad Aquileia. La Dea raffigurata in sintesi nel marchio è Diana: “Il ritrovamento di epoca romana più importante emerso durante gli scavi del 1926 è il gruppo bronzeo raffigurante Diana Cacciatrice, con occhi e diadema in argento, nell’atto di togliere una freccia dalla faretra e lanciarla con l’arco stretto nella mano sinistra. Ai suoi piedi un cane e una cerva; sulla base l’iscrizione votiva del soldato siriaco Titus Aurelius Seleucus a Giove Ottimo Massimo Dolicheno. Il prezioso reperto, risalente al III secolo d.C., è conservato al Museo Nazionale Concordiese di Portogruaro. Dalla figura della dea Diana nasce l’ispirazione per il logo figurativo, che caratterizza la linea vini di Villa Bogdano 1880”. Solide basi storiche, quindi, per un marketing attuale e ben articolato. Ma l’etichetta di questa bottiglia di Refosco non si ferma qui: un’altra particolarità è l’uso dell’inchiostro dorato per rappresentare, sulla destra, quella che sembra una macchia, una sporcatura; in realtà si tratta della trama fogliare di un albero, il Carpino Bianco, il cui nome in latino, “Carpinus Betulus”, viene citato in etichetta in basso, sempre con inchiostro dorato. I vigneti dell’azienda infatti sono attigui ad una riserva naturale particolarmente nota per la sua biodiversità. Coerenza ed eleganza.

Rapimenti Tattili e Organolettici nell’Isola più Greca d’Italia


Nuhar, Pinot Nero e Nero d’Avola, Tenuta Rapitalà.

Due “neri” per questo vino siciliano che ambisce ad essere internazionale. Il Nero d’Avola, tipico della Trinacria e il Pinot Nero che regna sovrano in Francia. Insieme per un’idea di vino completo e complesso. Partiamo dal nome dell’azienda, “Rapitalà”, laddove il rapimento non è criminale ma romantico. Narra di una donna rapita da un tramonto stellare e forse anche dall’amore per un cavaliere (anch’esso nero, viste le dominazioni che la Sicilia ha dovuto subire nei secoli). Ed ecco il nome del vino, “Nuhar”, nel racconto del produttore che troviamo nel sito internet nella scheda del prodotto: “Nel cuore del monte che domina la Tenuta, sono coltivati i vigneti dove selezioniamo le uve per la produzione del Nuhar, “fiore” in arabo. Questo vino nasce dall’unione di due grandi vitigni neri, il Pinot Nero, re di Borgogna, che al caldo di Sicilia risponde con colore, dolcezza e spessore improbabili altrove, e il Nero d‘Avola che in queste condizioni si arricchisce di tannino e corposità”. Molto bello il design dell’etichetta con un elemento figurativo in alto, articolato, prezioso, artistico, evocativo e storico; il nome del vino in chiaro al centro, scritte in colore violaceo in basso, che emergono bene dal contesto. Carta di tipo “tattile”. Preziosità percepita: alta. Ottimo lavoro.

Vetro Verde, Vino Rosso

Bufferìa, Chianti, LU.CE.

Questa azienda toscana diretta da Jacopo Rossi ha deciso di caratterizzare le proprie bottiglia con un nome che non è solo topografico. Nel retro etichetta infatti si legge tutta la storia che qui sintetizziamo: “Le vetrerie di Bufferìa per tutto il XIX secolo, e almeno sino alla prima metà del ‘900, rappresentavano l’attività predominante delle fornaci situate in Valdelsa e nel Valdarno e, in senso più generale, nell’intera Toscana. Producevano vetro per uso comune, ossia quello destinato ad usi domestici, alla tavola e soprattutto all’imbottigliamento e alla commercializzazione del vino e dell’olio. Le vetrerie fabbricavano fiaschi, ampolle da olio, levaolio, imbuti, canne per infiascare, colmatori per botti, con il caratteristico vetro di colore verde”. Il vetro infatti è sempre stato un “prodotto gemello” del vino: è andato di pari passo il loro sviluppo qualitativo e commerciale. Ancora oggi i nuovi materiali fanno molta fatica a scalzare le classiche bottiglie in vetro (che oggi non sono più solo verdi ma anche marroni o incolori). In questa etichetta, di fianco al nome del vino troviamo un disegno con il classico fiasco e un grappolo d’uva. Apprezzabili le scritte in corsivo e in basso la carta sagomata tipo pergamena.

Un Trisnonno Tardivo, Come il Suo Passito


Tardivo (Bianco), Grillo Passito, Foderà.


Nella descrizione di questo vino, ad opera del produttore nel proprio sito internet, troviamo una parola desueta che ha attirato la nostra attenzione: “La storia di Cantina Foderà inizia nel 1849, quando il nostro bisarcavolo Matteo Foderà cominciò a vinificare le uve delle proprie vigne in Contrada Giardinello, a Marsala. Il vino ottenuto da lui e dalle quattro generazioni successive è stato venduto, per oltre un secolo, ai tavernari e alle ditte locali che lo utilizzavano come base per il vino Marsala”. Si tratta della parola “bisarcavolo” che non è una parolaccia. La base è quella di “arcavolo” che significa “trisavolo” (cioè trisnonno, ovvero il padre del bisavolo). Insomma, bisarcavolo sarebbe il padre del terzavolo. Un bel dilemma! Siamo nella Sicilia storica e tradizionale (i termini come “bisarcavolo” e “tavernari” lo confermano) a nord di Marsala, dove un giovane discendente ha iniziato (nel 2001) a produrre vino in bottiglia invece di fornire semplicemente uva ai produttori locali di marsala (il noto vino liquoroso). Il passito a base Grillo qui raffigurato è il risultato di una piccola vendemmia da 900 bottiglie. E di tanto orgoglio territoriale, storico, culturale e anche e soprattutto personale. Il vino si chiama “Tardivo”, una dichiarazione che riguarda il tipo di lavorazione (le uve vengono appassite oltre ad essere raccolte tardivamente). L’etichetta si presenta con una texture di fondo goffrata e nera, elegante e sincera. Il cognome del produttore e della famiglia è Foderà con l’accento sulla “a”. Nell’etichetta non si vede bene, ed è un peccato, perché l’accento viene stampato in oro. Il logo sembrerebbe uno stemma araldico sormontato da un sole radioso.

Uno Zibibbo che Vola Via


Ad Majora, Zibibbo, La Vecchia Tine.

Di questo nome di vino, “Ad Majora”, l’intelligenza artificiale racconta che “… è una locuzione latina che significa "verso cose più grandi" e si usa come augurio per successi sempre maggiori in qualsiasi campo della vita. Si utilizza spesso per congratularsi con qualcuno dopo il conseguimento di un traguardo, come la laurea, una promozione o un matrimonio. “Ad meliora et majora sempre” è la forma più completa che sarebbe: (brindiamo) “a cose sempre migliori e maggiori”. Un brindisi quindi, con un vino bianco tipicamente siciliano, lo Zibibbo, noto anche come Moscato d’Alessandria e imparentato (figlio e cugino) con il Moscato Bianco e il Moscato Giallo, pur essendo più aromatico di essi. Nell’etichetta di questo piccolo produttore marsalese, in alto e in basso, notiamo una corona di voglie di vite, stampate con un inchiostro metallico verde. Al centro un disegno acquarellato dove una “macchina volante” di un tempo (una specie di dirigibile ante litteram) attraversa il cielo con spirito d’intraprendenza. Belle soluzioni grafiche che con semplicità catturano l’attenzione e trasmettono sensazioni di purezza e sogno. L’azzurro, anche se poco utilizzato nel packaging alimentare, dona in questo caso, grazie anche alle nuvole, una percezione di leggerezza a tutto vantaggio di un consumo estivo.

La Felicità di Iniziare Tutto da Zero


Felicitas, Müller Thurgau, Mai Domi.

Innanzitutto il nome dell’azienda, che incuriosisce: “Mai Domi”. Esprime già una forza e una passione particolari, in due brevi parole. Alex Salvi è il titolare di questa piccola azienda che nasce dalla sua esperienza come “tutto fare” presso una nota azienda della Valle d’Aosta, Maison Anselmet. Bella e orgogliosa l’affermazione che si legge in home page del sito aziendale: “Nessun terreno ereditato, nessuna azienda viticola di famiglia. Nasce tutto da zero. Quasi per gioco”. L’etichetta che riveste questa bottiglia di vino bianco (100% Müller Thurgau, insolito per questa zona) è bizzarra: macchie gialle e rossastre su una carta preziosa, ruvida al tatto. Al centro il nome del vino: “Felicitas”, a proposito del quale il produttore scrive: “La felicità nel bere un buon bicchiere di vino, questo è Felicitas. Un Müller Thurgau diverso, intenso. Un mix di profumi di frutta matura che accompagna una beva elegante e golosa. Vino dai più disparati abbinamenti, trova il suo connubio perfetto con il risotto alla crema di porri”. In alto, sopra al nome del produttore (curioso il carattere di scrittura con la “A” aperta) troviamo il logo, che potremmo definire “tribale”. Comunque molto di sintesi e accattivante.

La Coerenza tra Etichetta e Racconto del Vino


Lamettino, Marzemino (Merlot e Sangiovese), Tenuta La Vigna.


Spesso il problema delle etichette dei vini è quello della coerenza con il contenuto della bottiglia. Cioè il (dover) ritrovare una certa corrispondenza “caratteriale” (che diventa percettiva) tra il vino, la sua storia, il suo racconto e quello che di fatto sono gli elementi del packaging. Utilizziamo questa etichetta dell’azienda Tenuta La Vigna di Capriano del Colle (Brescia) di proprietà di Anna Botti (nomen omen). La narrazione (nel sito internet aziendale) dice: “Leggiadria e freschezza, il Marzemino avvolge i sensi con i suoi profumi fruttati, la sua contenuta freschezza e il suo delicato carattere. Un vino vivace, fragrante, elegante, di grande equilibrio”. In etichetta vediamo colori tenui, riconducibili al violetto (con un po’ di verde), disegni armoniosi, gentili, sfumati, con l’immagine stilizzata di un uccello acquatico (sembra essere un Cormorano, chiamato anche “Lamettino”, nome che viene dato a questo vino). Si può dire che c’è corrispondenza. L’essenza del vino, le sue caratteristiche, sono rispecchiabili nell’etichetta. E questo aggiunge equilibrio, cioè credibilità, alla comunicazione. Nel complesso molta eleganza. Uno stile distinguibile che “fa squadra” con tutto il resto.

Cento Anni (e Forse più) di un Vino Vulcanico


Centorami, Aglianico del Vulture, Tenute Agricole Santojanni.

L’Aglianico del Vulture viene considerato come il Barolo del Sud Italia. Vino di grande spessore in tutti i sensi. In particolare, questo top di gamma dell’azienda Santojanni nasce da uve maturate il altura, a 721 m. Il suo nome è originale e attira l’attenzione: “Centorami”. E non si riferisce al ceppo della vite che pure di diramazioni ne ha moltissime (se non si frenano con una adeguata potatura). Come spiega il produttore nel proprio sito interet: “Quercia secolare, albero padre di questo territorio, Centorami è il maestoso spettatore della storia che mantiene in vita il legame con il nostro passato. Tre fratelli ritrovano la cura e la passione per un vino intenso, robusto, longevo come il Centorami”. Centorami e cento anni (come minimo) verrebbe da dire. E aggiunge sempre il produttore: “Ottenuto dalle migliori uve DOP di Aglianico del Vulture del nostro vigneto affinate in legno per 13 mesi, Centorami è un vino intenso, robusto e longevo come l’arbusto monumentale di cui prende il nome”. Interessanti due particolari grafici di questa etichetta: il perimetro superiore ed inferiore della carta, seghettato, e una stampa in oro attorno al fusto rappresentato in etichetta (dove dei bambini giocano ad arrampicarsi). Interessante anche l’analisi del logo (quello stemma rosso che si trova in basso a sinistra: mostra la Torretta di San Zaccaria che fa parte della masseria di famiglia, accompagnata da un muro che rappresenta le case rurali tipiche di quella zona e dalla stilizzazione di un bosco, quello della pineta del Malandrino, che circonda le proprietà agricole dell’azienda. Nel complesso un packaging originale che attira l’attenzione con elementi costruttivi.

Parole d’Italia, la Francia s’è desta


Invitare, Viogner, Chapoutier.

L’inequivocabilmente francese Monsieur Michel Chapoutier, il noto produttore della Valle del Rodano (Condrieu), ha deciso di dare un nome in italiano a uno dei suoi vini di riferimento. E’ tutto molto classico, nella modalità francese di fare le etichette (che anche in Piemonte adottano spesso): uno stemma in alto, ben evidente (tre botti, un alfiere, un luna, un sole, le colline…), il nome del produttore in basso (che ripropone lo stemma già citato) con il motto “fac et spera”: un po’ come dire “aiutati che il ciel t’aiuta” in italiano. Ma a noi interessa prevalentemente il nome del vino, al centro, con un’ottima rilevanza (in termini di gradezza): “Invitare”. C’entra con la buona tavola e il buon vino: se io ti invito a cena, l’atto dell’invitare è necessario, allora devo premurarmi di poterti offrire qualcosa di speciale (altrimenti ognuno a casa propria). Stupisce l’utilizzo dell’italiano in un luogo così profondamente francese come la Valle del Rodano. Invitare in francese si dice “inviter” e quindi la parola è facilmente interpretabile in entrambi i paesi. Un guizzo di italianità, insomma. E noi ne siamo fieri.

Uno Champagne del Sud, Forte e Delicato (con Cappello)


Osmose Rosé, Champagne, Mademoiselle Marg’o.

Un’etichetta che invita all’assaggio. Spumeggiante, primaverile, leggiadra, certo anche molto femminile. Una figura di donna con un copricapo a falda larga. Fiori, vegetazione, foglie che volano. Sguardo e cappello molto sfiziosi. Molto francese, insomma. E anche per i nomi l’immagine del produttore è andata verso il classico, l’intrigante, il romantico: “Mademoiselle Marg’o” è il nome dell’azienda guidata da Aurelie e Sonia, “Osmose Rosé” è il nome di questa cuvée a base Chardonnay con un pizzico di Pinot Noir vinificato in nero. Tutto insomma ruota attorno a una immagine bucolica, piuttosto stereotipata, certo, ma resa molto bene dall’illustrazione in etichetta e dalla delicatezza dei suoi particolari. Compresa la goffratura (lo spessore, in rilievo) della carta che sullo sfondo ripropone il tema vegetale. Insomma molto candore (di colore) con un po’ di malizia che male non fa. Bollicine birichine che allietano la tavola anche con la loro presenza scenica. Il resto lo farà il calice (rigorosamente in cristallo di Boemia).

Il Gallo Nero Sorveglia il Terreno


Le Tre Vigne, Chianti Classico, Terreno.

In questo packaging molto “casereccio” (o quanto meno così vuole apparire) troviamo l’elemento “nome dell’azienda” molto importante, come presenza. Al punto da poter sembrare il nome del vino. “Terreno” è quindi l’azienda, mentre “Le Tre Vigne” è il nome del vino (un po’ nascosto anche dalla traccia rossa che in realtà sarebbe servita ad evidenziare). A seguire la denominazione “Chianti Classico” e il nome della titolare dell’azienda: “Sofia Ruhne”. Sopra al nome aziendale troviamo uno scudo, un marchio, uno stemma, che riporta tre foglie di vite, una stella, un grappolo d’uva e una “R” al centro (iniziale del cognome della famiglia proprietaria). L’etichetta dunque è semplice, di quelle fintamente compilate a mano, che fa molto artigianalità, attività umane dirette. L’azienda risale al 1988 e dal 2014 è diventata biologica. L’impressione è quella di un Chianti (inteso come zona) contadino che ha ricevuto la spinta di investimenti importanti. E che si colloca a metà tra una logica tradizionale e un marketing attuale. Il Gallo Nero, sul collarino della bottiglia, veglia sulla genuinità del tutto. 

Il Grillo in Spagna Non è un Vitigno


Hop Hop, Syrah e Garnacha, El Grillo Y la Luna.

Una piccola azienda spagnola, quasi famigliare, nella zona del Somontano de Barbastro, alle pendici dei Pirenei, si diverte a creare etichette bizzarre che hanno sempre per protagonista un grillo (stilizzato). In questo caso, un vino rosso a base Syrah e Garnacha, il nome effettivo sembrerebbe essere “Hop Hop”. A simboleggiare in modo onomatopeico (diciamo così) il saltellare del celebre e simpatico insetto parlante estivo. Si tratta di una bottiglia decisamente giocosa che lascia poco spazio a nozioni e sensazioni tecniche, enologiche, gustative. C’è solo la simpatia, che cattura, certo, ma che non trasmette valori relativi ad affidabilità e competenza dell’azienda produttrice. Fino a che punto è giustificabile sacrificare la credibilità in favore dell’ allegoria? Non lo sappiamo. La misura è diversa per ognuno. Certamente il packaging di questa bottiglia è stato studiato bene e realizzato con eleganza e chiarezza. Il resto lo saltiamo, un po’ come fa il grillo, senza troppi complimenti. N.B.: il Grillo in Italia, e in particolare in Sicilia, è un vitigno. Tant’è che in prima battuta abbiamo pensato che ci fosse proprio quello in questa bottiglia!