Uno Champagne del Sud, Forte e Delicato (con Cappello)


Osmose Rosé, Champagne, Mademoiselle Marg’o.

Un’etichetta che invita all’assaggio. Spumeggiante, primaverile, leggiadra, certo anche molto femminile. Una figura di donna con un copricapo a falda larga. Fiori, vegetazione, foglie che volano. Sguardo e cappello molto sfiziosi. Molto francese, insomma. E anche per i nomi l’immagine del produttore è andata verso il classico, l’intrigante, il romantico: “Mademoiselle Marg’o” è il nome dell’azienda guidata da Aurelie e Sonia, “Osmose Rosé” è il nome di questa cuvée a base Chardonnay con un pizzico di Pinot Noir vinificato in nero. Tutto insomma ruota attorno a una immagine bucolica, piuttosto stereotipata, certo, ma resa molto bene dall’illustrazione in etichetta e dalla delicatezza dei suoi particolari. Compresa la goffratura (lo spessore, in rilievo) della carta che sullo sfondo ripropone il tema vegetale. Insomma molto candore (di colore) con un po’ di malizia che male non fa. Bollicine birichine che allietano la tavola anche con la loro presenza scenica. Il resto lo farà il calice (rigorosamente in cristallo di Boemia).

Il Gallo Nero Sorveglia il Terreno


Le Tre Vigne, Chianti Classico, Terreno.

In questo packaging molto “casereccio” (o quanto meno così vuole apparire) troviamo l’elemento “nome dell’azienda” molto importante, come presenza. Al punto da poter sembrare il nome del vino. “Terreno” è quindi l’azienda, mentre “Le Tre Vigne” è il nome del vino (un po’ nascosto anche dalla traccia rossa che in realtà sarebbe servita ad evidenziare). A seguire la denominazione “Chianti Classico” e il nome della titolare dell’azienda: “Sofia Ruhne”. Sopra al nome aziendale troviamo uno scudo, un marchio, uno stemma, che riporta tre foglie di vite, una stella, un grappolo d’uva e una “R” al centro (iniziale del cognome della famiglia proprietaria). L’etichetta dunque è semplice, di quelle fintamente compilate a mano, che fa molto artigianalità, attività umane dirette. L’azienda risale al 1988 e dal 2014 è diventata biologica. L’impressione è quella di un Chianti (inteso come zona) contadino che ha ricevuto la spinta di investimenti importanti. E che si colloca a metà tra una logica tradizionale e un marketing attuale. Il Gallo Nero, sul collarino della bottiglia, veglia sulla genuinità del tutto. 

Il Grillo in Spagna Non è un Vitigno


Hop Hop, Syrah e Garnacha, El Grillo Y la Luna.

Una piccola azienda spagnola, quasi famigliare, nella zona del Somontano de Barbastro, alle pendici dei Pirenei, si diverte a creare etichette bizzarre che hanno sempre per protagonista un grillo (stilizzato). In questo caso, un vino rosso a base Syrah e Garnacha, il nome effettivo sembrerebbe essere “Hop Hop”. A simboleggiare in modo onomatopeico (diciamo così) il saltellare del celebre e simpatico insetto parlante estivo. Si tratta di una bottiglia decisamente giocosa che lascia poco spazio a nozioni e sensazioni tecniche, enologiche, gustative. C’è solo la simpatia, che cattura, certo, ma che non trasmette valori relativi ad affidabilità e competenza dell’azienda produttrice. Fino a che punto è giustificabile sacrificare la credibilità in favore dell’ allegoria? Non lo sappiamo. La misura è diversa per ognuno. Certamente il packaging di questa bottiglia è stato studiato bene e realizzato con eleganza e chiarezza. Il resto lo saltiamo, un po’ come fa il grillo, senza troppi complimenti. N.B.: il Grillo in Italia, e in particolare in Sicilia, è un vitigno. Tant’è che in prima battuta abbiamo pensato che ci fosse proprio quello in questa bottiglia!

Madre Terra, Creatrice della Semplicità


Gea, Pinot Nero, Il vino e le rose.

L’azienda che ha dato alla luce questa etichetta si trova sulle colline tortonesi, tra Tortona e Varzi, ed esattamente a Momperone. Si chiama “il vino e le rose” nome poetico, romantico, evocativo. E nel proprio sito internet si definisce come “produzione di vino e ospitalità rurale”. Nella sede vi sono infatti anche camere per la permanenza notturna. Il packaging design di questa bottiglia di Pinot Nero è molto interessante, a partire dal nome del vino, “Gea”, la trasposizione italiana del greco “Gaia” cioè terra. La Madre Terra è raffigurata in etichetta nelle sembianze di una donna mediterranea, mora. Dalle sue vesti, o propaggini, scaturisce un panorama fatto di campi, colture, vegetazioni. Il mood della grafica è molto semplice, “casereccio”, la donna non è particolarmente bella o sensuale, le scritte che accompagnano l’elaborato illustrato sono molto “di stampa”, piuttosto disordinate, diciamo più funzionali che eleganti. Ma il tutto ha una propria dimensione, un proprio stile anche se molto spartano. In alto a destra il simbolo chimico della SO2 viene barrato per narrare lavorazioni dure e pure. 

Otto Decadi Infinite


Otto Decenni, Uvaggio di Rossi, Barbanera,

Non vi sono dubbi che il nome di questo vino, in qualche modo, tira in ballo il numero 8, cifra che può essere anche interpretata (ruotandola) come simbolo dell’infinito. Otto decenni, come recita l’etichetta in lettere, sono tanti, come dire 80 vendemmie. Le spiegazione aziendale per questo vino celebrativo infatti è questa: “Da oltre 80 anni “Barbanera” produce vini di livello mondiale. Otto Decenni (otto decadi) è un complesso Super Tuscan che celebra questa storia. Nel 1938, Altero e Maria Franceschini acquistarono terreni nella zona di Piazze, in Toscana, per produrre vino per la famiglia e gli amici. Il figlio, Luigi, ampliò l'attività, passandola a sua volta ai figli Marco e Paolo. Sotto la loro cura, la tenuta è diventata una delle più rinomate della Toscana. Prodotto da Sofia (figlia di Marco), quarta generazione, Otto Decenni unisce Sangiovese, Merlot, Petit Verdot e Cabernet. Lungamente invecchiato in botte, è ricco di note di frutti di bosco e spezie”. Molto importante, graficamente, cioè davvero molto presente, il grande numero 8 stampato con inchiostro dorato e in rilievo. Si fa notare con grazia nonostante le dimensioni un po’ invadenti. Firma del produttore in corsivo in basso a destra e alla base la dicitura “Toscana” (di legge) che male non fa, anzi, in una regione che conta moltissimo sull’enoturismo queste scelte sono importanti.

La Forza del Terrano, Anche in Etichetta


Terrano, Bajta Salez.

Questa fattoria, completa di vigne e allevamento di maiali si chiama proprio “Bajta”, con la “j”. Siamo al confine con la Slovenia, vicino a Trieste, dove le autonomie e i linguaggi si mescolano da decenni. Come si descrive la proprietà? “La Fattoria Carsica Bajta è una azienda agricola sita a Sgonico, sull’altipiano del Carso in provincia di Trieste. È un’azienda a conduzione familiare, che opera nel settore vitivinicolo, zootecnico ed agrituristico. La filosofia principale dell’azienda è quella di seguire tutta la filiera nell’ ottenimento dei propri prodotti, ricercando un punto d’incontro fra artigianalità e tecnologia. In particolare nel proprio allevamento, dove i suini nascono e crescono all’aperto, sul altipiano carsico. In vigna invece, le moderne tecniche di gestione vengono integrate con la tradizione territoriale”. Ma veniamo all’etichetta di questo vino rosso tipico della zona: si tratta del vitigno Terrano detto anche Teran o Refosk (apparentato con il più noto Refosco, in particolare con il Refosco dal Penduncolo Rosso). Il packaging non lascia dubbi: il nome del vitigno viene “speso” su tutta l’ampiezza disponibile della grafica, spezzando in due la parola, ma riproponendola completa, in piccolo, al centro. Una scelta d’effetto che riduce l’eleganza in favore della visibilità. A lato, poco visibile, con un inchiostro dorato, leggiamo il nome dell’azienda. Bello forte, il tutto, un po’ come il vino che veste, del resto. P.S.: peccato per quella strana “n” che sembra una “m”. Ma probabilmente viene ritenuta una originalità.

La RossaraTrentina, Ripescata e Ri-Amata


Legiare, Rossara, Zeni.

In questo rosso del Trentino il nome del vitigno prende il sopravvento rispetto a quello del vino: si chiama Rossara (mentre il vino, con un artificio letterale, si chiama Legiare, cioè come dire “le Giare” ma tutto di seguito). Ma torniamo al vitigno che merita un racconto/descrizione, ben delineato nel sito del produttore: “Rossera, "Geschlafene" (Goethe, 1876). La "Rossara" che qui si descrive e che è tipica del Trentino, abbiamo preferito definire quest'ultima come "Rossara trentina" per evitare ogni confusione con la "Rossara" del Veronese - "Molinara", che non ha nulla in comune, ne nell’ampelografia ne come risultato finale vinificato. (Principali vitigni da vino coltivati in Italia - Volume II, Ministero dell'Agricoltura e delle Foreste, 1962). Con questo progetto abbiamo valorizzato il nostro lavoro di vignaioli e custodi di varietà antiche e rare. Varietà coltivata da sempre nel Campo Rotaliano, negli ultimi quarat’anni è stata lentamente abbandona per lasciar posto al Teroldego. Il colore rosso chiaro della buccia a maturazione accomuna la Rossara trentina ad alcuni vitigni con la stessa origine semantica del nome (Rossana, Rossanino, Rossola, Rossetta, Rossolina ) ma geneticamente sono molto distanti. La Fondazione E. Mach nei primi anni 2000 ha esposto una ricerca di vitigni antichi e noi incuriositi , ci siamo imbattuti in un contadino proprietario di una parcella abbandonata del vitigno in questione. Era un vigneto dai sesti d’impianto ampi, con ceppi vecchi di più 100 anni a piede franco . Nel 2003 portammo in cantina 10 quintali di Rossara vinificandola come un Teroldego di pronta beva e ne abbiamo capito la potenzialità. Eseguita una selezione massale dal vigneto d’origine, siamo riusciti mettere a dimora delle nuove piante di Rossara, recuperando così ben 36 diversi soggetti, affinché questo vitigno, che fa parte della cultura trentina, non venga perso“. Tutto ciò detto e scritto, a buona firma di Roberto Zeni, titolare dell’azienda.

Un Antico Vitigno tra Iran e Armenia


Molana, Rasheh, Vahe Keushguerian.

Ebbene sì, anche in Iran si producono vini. Anzi, a dire il vero, è proprio lì che il vino nasce, migliaia di anni fa. Quindi il rispetto per gli “antichi” qui ci vuole tutto. Ma veniamo all’etichetta di questo vino rosso che viene prodotto in quantità limitata da un vitigno che cresce su suolo vulcanico nella regione di Sardasht. Il produttore innanzitutto ci dice che “Il nome dato a questo squisito vino ha un profondo significato, rendendo omaggio al leggendario poeta persiano Rumi, noto anche come Molana o "nostro maestro". Inoltre: “L'influenza di Rumi si estende ben oltre i confini nazionali e trascende le divisioni etniche. Le sue parole e la sua saggezza hanno toccato i cuori e le anime di individui in tutto il mondo, unendoli nella ricerca condivisa di pace interiore, armonia e un mondo libero da ostilità e animosità. Ottenuto dall'antico vitigno persiano Rasheh, da viti coltivate in vigneti ad alta quota (1.480 m) in Iran, contrabbandato e vinificato in Armenia... di produzione estremamente limitata (solo 1.200 casse prodotte) questa bottiglia rappresenta una rara occasione per immergersi nella storia del vino iraniano…”. Tecnicamente vediamo un massiccio utilizzo di inchiostro dorato, molti inserti in rilievo che compongono una vite artizzata, altri particolari di notevole finezza, in un complesso molto arcaico ma anche elegante e valorizzante. Un’etichetta vintage di sicuro impatto.

Il Resinato più Famoso di Grecia (e del Mondo)


Retsina of Attica, Savatiano, Kourtaki Wines.

Questo vino non si chiama “Retsina” per caso. Il suo nome (di categorica, come vedremo in seguito) è facilmente riconducibile alla parola “resina” in italiano. E’ un vino tradizionale, prodotto in tutta la Grecia preparando una miscela di uve Savatiano con l’aggiunta al mosto di una piccola percentuale di resina di pino marittimo, affinché il sapore balsamico venga assimilato durante la fermentazione. Fa parte così di una categoria di vini molto particolare: i resinati. La cantina che produce questo resinato, attualmente si chiama Greek Wine Cellars che sarebbe la precedente “Kourtaki Wines” fondata nel 1895 da Vassilis Kourtakis. In seguito il figlio Dimitris Kourtakis, dopo gli studi a Parigi, ha reso la cantina Kourtaki famosa nel mondo. In etichetta, molto spartana a proposito di Grecia Antica, vediamo il nome della cantina in alto e una descrizione al centro che vanta la tradizionalità di questo preparato (5000 anni!). Il cromatismo giallo limone (molto forte) aiuta sicuramente a rendere la bottiglia molto visibile, distinguibile e memorabile. Sul sapore del vino, invece, non mettiamo la mano sul fuoco (sacro).

Un Brodo Dolce, dalla Storia Antica


Il Giuggiolone, Giuggiola e Trebbiano, SiGi.

Per commentare il nome di questo vino “lasciamo la parola” al testo pubblicato nel sito internet del produttore, davvero esaustivo: “ “Andare in brodo di giuggiole” è un proverbio molto conosciuto in Italia. In riferimento al contenuto zuccherino delle giuggiole, frutto commestibile, il proverbio viene usato per indicare chi prova, per merito proprio o di altri, la dolcezza di un forte godimento. Il Giuggiolo Ziziphus zizyphus, noto anche come dattero cinese, è una pianta a foglie decidue della famiglia delle Rhamnaceae. Sovente viene utilizzato come pianta ornamentale. Si ritiene che il giuggiolo sia originario dell’Africa settentrionale e della Siria, e che sia stato successivamente esportato in Cina e in India, dove viene coltivato da oltre anni. I romani la importarono per primi in Italia, e la chiamarono “Zyzyphum”. Narra Omero Libro IX dell’Odissea che Ulisse e i suoi uomini, portati fuori rotta da una tempesta, approdarono all’isola dei Lotofagi secondo alcuni l’odierna Djerba, nel Nord dell’Africa. Alcuni dei suoi uomini, una volta sbarcati per esplorare l’isola, si lasciarono tentare dal frutto del loto, un frutto magico fece loro dimenticare mogli, famiglie e la nostalgia di casa. È probabile che il loto di cui parla Omero sia proprio lo Zizyphus lotus, un giuggiolo selvatico, e che l’incantesimo dei Lotofagi non fosse provocato da narcotici, ma soltanto dalla bevanda alcolica che si può preparare coi frutti del giuggiolo. proprio come quella che dopo tanti anni siamo riusciti a riportare in vita. Pare infine che per gli antichi Romani, il giuggiolo fosse il simbolo del silenzio e come tale adornasse i templi della dea Prudenza. In Centro Italia in molte case coloniche era coltivato adiacente alla casa nella zona più riparata ed esposta al sole e si riteneva che fosse una pianta portafortuna. Ma la giuggiola, oltre ad essere tanto stuzzicante per il palato, ha anche ottime proprietà medicinali. Contiene infatti saponine triterpeniche, piccole quantità di alcaloidi, glicosidi flavonoidici, ma soprattutto vitamina C. Infatti le giuggiole equivalgono alle arance. Le loro principali proprietà terapeutiche sono le seguenti epatoprotettive, ipocolesterolemiche, antipiretiche, antinfiammatorie, emolliente ed espettoranti. Nella medicina popolare è considerata uno dei quattro frutti “pettorali” con fichi, datteri e uvetta. Il Giuggiolone è ottenuto dalla macerazione del frutto della giuggiola con vino trebbiano in un procedimento molto particolare che dura quasi tre anni e che permette di estrarre il succo oleoso del frutto. Il Giuggiolone è una bevanda a base di vino di un colore oro intenso. Al naso regala tutto il profumo del frutto della giuggiola matura e il gusto conferma in pieno il naso mostrando anche di essere ben bilanciato”. Possiamo solo aggiungere che, sorprendentemente, “Bacco non lo sa”!

L’Agricoltura della Luce e del Carbonio


Bolle di Magenta, Garganega Frizzante, Nous.

Questa piccola cooperativa formata da una decina di soci, produce una serie di vini locali (siamo in Veneto, vicino a Soave) adottando i principi della coltivazione biodinamica. I vini in gamma vengono definiti dal produttore come: “i Vini di Luce” e il tipo di agricoltura “della Luce  e del Carbonio”. Di cosa si tratta? In breve ecco la descrizione che si trova nel sito internet: “I nostri vini utilizzano il Metodo Vini di Luce. L’uva ottenuta con questo Metodo è naturalmente ricca di antiossidanti che preservano il gusto e gli aromi grazie a vinificazioni naturali, con bassi dosaggi di solfiti in tutto il processo produttivo. Inoltre escludiamo l’utilizzo di lieviti che alterano i gusti e le caratteristiche aromatiche delle nostre uve, gli enzimi industriali, i chiarificanti e le filtrazioni invasive così da fornire al consumatore non solo un vino buono e piacevole, ma anche sano, vitale, biodisponibile e con tutto il gusto del territorio!”. Parliamo dell’etichetta: curioso il nome del vino, “Bolle di Magenta”, laddove si tratta proprio dell’omonima cittadina a sud di Milano, che ha dato il nome al colore stesso, il magenta appunto, una tonalità di rosa acceso, diciamo pure fucsia, che in questo caso fa da sfondo nel packaging. Il fiore rosa in etichetta, invece, non è ben definito: dobbiamo accontentarci della macchia di colore. In basso il nome del vitigno, in alto il nome del produttore e il logo. Si tratta di una stilizzazione di un pampino incastonato dentro a un acino d’uva. O almeno così sembra. In generale siamo di fronte a un buon lavoro di grafica, dotato di originalità.

Attraverso il Fiume e Oltre



Roncaglie, Barbaresco, Socré.

In primo luogo è bene spiegare il nome aziendale, Socré, che potrebbe sembrare un francesismo per “zuccherato”. Ma questo vino di sicuro zuccherato non è, anche perché si tratterebbe di una pratica enologica vietata dal disciplinare (i francesi, invece, a volte zuccherano). Inoltre stiamo parlando di un Barbaresco, vino rosso a base Nebbiolo, che sicuramente si manifesta in una modalità asciutta, elegante ma austera, lontano da amabilità tipicamente da vini bianchi alsaziani. Sucré, dicevamo. Il significato viene dall’antico proprietario dei terreni che faceva lo zoccolaio (in dialetto piemontese del luogo). Il nome del vino, invece, in basso nell’etichetta, è “Roncaglie”, riferito al nome storico della vigna dalla quale viene ottenuta l’uva per produrre questo vino. Ma l’attenzione primaria per questo packaging va a quel bollo blu che troviamo, molto presente, in alto: “Citra Flumen et Ultra” che in latino significa “Attraverso il fiume e oltre”. Inteso come il fiume Tanaro, che separa la zona eletta delle Langhe da una regione geologicamente diversa ma ugualmente molto adatta per coltivare uva (e nocciole). Nel complesso si tratta di una etichetta molto spartana, sia nella grafica che nei cromatismi. Caratterizzata unicamente dal cerchio con la massima latina. Certo che il solo nome “Barbaresco” è in grado di nobilitare il tutto.

Una Poetica Vulcanica Egoriferita


Soave, Garganega, Sandro De Bruno.

Un’etichetta semplice, dove trionfa il nome del proprietario nonché vignaiolo e produttore di questa azienda veneta, che opera alle pendici di una zona vulcanica ancora oggi sottovalutata. Breve racconto per inquadrare la situazione: “A circa 600 metri d'altitudine sul Monte Calvarina, dopo una serie di sinuosi tornanti, si aprono alla vista i nostri vigneti, estesi su 11 ettari di superfice in lunghi filari sviluppati su terreni vulcanici. Il Monte Calvarina è infatti uno dei maggiori edifici vulcanici subaerei del veronese, parte di un maestoso complesso vulcanico attivo che emergeva dall'antico mare della Tetide, circa 40 milioni di anni fa. Ci troviamo di fronte ad un panorama mozzafiato: la Pianura Padana si distende innanzi a noi accompagnata a sud dagli Appennini Emiliani e a nord dal Monte Baldo e dal Monte Pasubio”. Il racconto è denso ed emozionale, mentre l’etichetta, come si diceva all’inizio, è parca e lineare. Oltre al nome del produttore, troviamo unicamente le diciture di legge che riguardano il vitigno e la Doc. Mentre sullo sfondo, abbastanza sfumata, vediamo la sagoma di una punta di lancia di epoca paleontologica, probabilmente risultante dai ritrovamenti di antichissima età di quelle zone che riguardano anche fossili di vario genere e natura. Interessante il testo che sta nella parte bassa dell’etichetta e che riportiamo qui: “Ti porterò qui, dove le nubi sono le regine del cielo. Respirerai aria fresca e ti sentirai sovrano della pianura. Il tuo sguardo non avrà impedimenti fino all’infinito orizzonte. Il tuo animo poetico si colmerà di gioia allo spettacolo del vento che compie il suo percorso,sulle creste, laddove l’universo, pian piano, si tramuta in terra”. Autore anonimo, dedicato al Monte Calvarina. Etichetta quindi dagli elementi insoliti. Che certamente si distingue, ma attraverso un semplicità che diventa complessità nel momento in cui si decide di approfondire leggendola nella sua interezza.

Il Lampo dell’Assoluto nelle Sfumature di un Prosecco Particolare


Ramatodorè, Fondante Integrale (Spumante), Cima del Pomer.

La definizione che sta alla base di questo vino e del metodo con il quale viene prodotto non è nota ai più. Si tratta di una piccola produzione che trae origine da antiche modalità. Ma veniamo prima alla spiegazione di questo termine (fornita dall’azienda nell’ottimo e descrittivo sito internet): “Venivano chiamati fondanti, non tanto nel senso dei moderni ‘col fondo’ o ‘colfondo’ ma poichè allora nelle nostre zone, questo metodo di produzione familiare era ‘fondativo’, originario. Era l’unico procedimento possibile per ottenere il vino ‘mosso’ secondo i tempi della natura: imbottigliato ancora fresco di spremitura, con il freddo invernale riposava per poi risvegliarsi con i tepori primaverili e riprendere a fermentare. Ancora oggi realizziamo così il nostro spumante fondante che definiamo integrale perchè non togliamo il suo naturale sedimento costituito da soli lieviti. E sono proprio i lieviti a restituire aromi e sapori autentici di questo territorio, a rendere i nostri vini vivi e mutevoli, ma anche invitanti e molto appaganti, freschi e, caratteristica fondamentale, cosi digeribili da non presentare fastidiose conseguenze”. Si tratta pur sempre di Prosecco, certo, e di Glera (il vitigno) ma con un’attenzione produttiva (e narrativa) particolari e davvero unici nel panorama vinicolo di quelle zone. In questa etichetta, molto classica, elegante ed equilibrata, troviamo i 4 famosi cavalli di San Marco, anche in questo caso proponiamo la spiegazione del produttore: “Il colore intenso di questo spumante unico, ci ricorda la finitura preziosa dei cavalli della Basilica di San Marco, un’opera straordinaria contesa molte volte. Ai quattro destrieri indomiti, simbolo di forza e di indipendenza della venezianità, è dedicato il nostro spumante Ramatodorè, un vino dal colore buccia di cipolla che riporta nel calice il profumo dei suoi aromi di bacca rossa”. E infine cosa dire di quella frase che troviamo in etichetta: “Infondata, indiscutibile e soggiogante, come una  formula matematica, la bellezza è il lampo dell’assoluto nella miseria del tempo”. Favoloso, applausi.

Un Chiaretto Pallido ma Molto Espressivo


Il Rosé, Chiaretto di Bardolino, Giovanna Tantini.

Sulle rive del Lago di Garda vengono prodotti vini fin dai tempi degli Antichi Romani. Ma oggi la fama di questi vini è decisamente scarsa. Certo, il Bardolino si conosce. Ma non è stimato come altri vini italiani. Qui abbiamo il Chiaretto di Bardolino, un rosato prodotto con uve Corvina, Rondinella e Molinara, dall’Azienda Vinicola che fa capo a Giovanna Tantini. L’azienda fa leva soprattutto sul colore, rosa tenue, di questo vino, ottenuto con una delicata lavorazione. Logicamente questo è un segno di qualità oltre che puramente estetico. Qualità che viene riflessa in tutto il processo produttivo. 10 ettari vitati e grande attenzione per ogni passaggio che riguarda la creazione dei vini in gamma. Vediamo l’etichetta: il vino si chiama semplicemente “il Rosé”, scelta piuttosto anonima che si scontra con tutta una serie di nominazioni, molto simili, che riguardano i vini rosati. Ma è inevitabile per questa categoria di prodotto.  Graficamente emerge immediatamente un volto di donna, quello della titolare dell’azienda. Con un cromatismo rosa salmone che pervade tutta la bottiglia. L’espressione del viso è solare, vivace, accogliente, felice. Presenta bene, in armonia, la bottiglia. E’ piuttosto egoico ma vincente, se pensiamo al concetto di “metterci la faccia”. In basso, alla base del packaging, il nome e logo aziendale. Il logo è una specie di grappolo molto stilizzato. Funziona. Sintesi e impatto. 

I Vini dell’Etna Vanno Veloci Come un Treno


Fermata 125, Carricante, Baglio di Pianetto.

La bella illustrazione che domina questa etichetta si fa notare per gli intensi cromatismi ma anche per il tema che tratta: la locomotiva di un treno che vede sullo sfondo un fumante Etna. Il vino nasce infatti alle pendici del vulcano, “a muntagna”, come lo chiamano da quelle parti. Ma è nel nome del vino, “fermata 125”, che scopriamo  la particolarità di questo branding. Come riferito dal produttore: “Di fronte alla fermata 125 della storica Ferrovia Circumetnea sorge la cantina dove nascono i vini dell’Etna di Baglio di Pianetto. Il treno rappresentato (nel disegno) è il modello ALN56 degli anni ‘30”. Vengono così coinvolti anche i collezionisti di modellini di treni, tutta una cultura giocosa che in Italia ha sempre tenuto banco. L’originalità di questa etichetta nasce quindi dal racconto, dalla storia e anche dalla voglia di enoturismo che negli ultimi anni l’Etna ha coltivato e fatto crescere. Proprio come la qualità dei vini prodotti in quel panorama geologico e naturalistico davvero unico. Per la cronaca, oggi la Ferrovia Circumetnea è attiva descrivendo un semicerchio attorno al vulcano, partendo da Giarre, transitando da Randazzo e Bronte (tra le altre località) fino a Paternò. Le particolarità si concludono facendo notare che sotto al nome/marchio del produttore, in alto, Baglio di Pianetto, viene integrata la distintiva dicitura “vini d’altura” (la rima non è voluta ma gradita). Le vigne dell’azienda infatti, oltre che sull’Etna, si trovano a 900 mt. s.l.m. anche nell’altra zona coltivata in Provincia di Palermo.

Danzatori Folli dal Canada al Messico


Fandango, Albariño e Verdejo, Terravista Vineyards.

Anche se può sembra strano, due vitigni tipicamente spagnoli sono stati piantati in Canada da questa giovane (come fondazione) e piccola azienda. Il risultato è questo vino bianco molto pallido al calice (dicono) ma molto colorato in etichetta. Parliamo del nome del vino, “Fandango”. Nella memoria collettiva Fandango è un film del 1985, scritto e diretto da Kevin Reynolds e prodotto da Steven Spielberg. Il film, che narra il viaggio di un gruppo di amici che dagli Stati Uniti si reca in Messico per ritrovare e stappare una bottiglie di Dom Pérignon seppellita nel deserto anni prima, si conclude con una festa dove due dei protagonisti ballno il fandango, una danza spagnola dai movimenti frenetici e improvvisati, che filosoficamente indica qualcosa di folle e bizzarro, Il nome di questo vino è quindi un omaggio al film, alla danza, ma soprattutto a uno stile vita che fa del -qui e ora- il sunto del senso della vita. Il nome, in alto,  lo troviamo scritto con un carattere che rispecchia la dinamicità della danza, rappresentata, subito sotto al nome e al centro dell’etichetta, con due figure, uomo e donna, con vestiti molto colorati, che danzano indiavolati. Le due figure vengono raffigurate con uno stile grafico molto originale anche se davvero abbozzato. Si potrebbe anche dire “raffazzonato”. L’impressione è che si potrebbero assimilare a due bamboline voodoo. Il colore comunque attira lo sguardo e il nome incuriosisce anche chi non conosce né la storia del film, né quella della danza. E per quanto riguarda il Dom Pérignon forse meglio poterselo gustare con la vista sulla Torre Eiffel.

Champagne Esoterico Quanto Basta


Shaman 22, Campagne Rosé Brut Nature, Marguet.

Cos’è esattamente uno sciamano? Abbiamo diverse definizioni… secondo Treccani: “Sciamano (dall'ingese shaman, adattamento del tunguso (Siberia) samān, probabilmente dal pali-samana "prete buddista", attraverso il cinese sha men): individuo che, praticando la meditazione, può raggiungere stati di estasi e assumere nella comunità il ruolo di tramite con le entità soprannaturali”. Wikipedia in pratica conferma alcune di queste supposizioni: “La prima attestazione in lingua occidentale del termine schamane ("sciamano") è databile al 1698, quando il mercante di Lubecca Adam Brand lo riporta nel suo diario riguardante il viaggio compiuto tra Mosca e Pechino. Il termine "sciamano", quindi "sciamanesimo", entra nella lingua italiana nel 1838. Il termine italiano e il suo corrispettivo tedesco schamane, nonché quello inglese shaman, risultano adattamenti del russo šaman, a sua volta resa del tunguso šamān. Con ogni probabilità il termine tunguso šamān è la resa in quella lingua del sanscrito śrāmaṇa o śrāmaṇera, forse per mezzo di un possibile ricostruito cinese sha-men”. Insomma, come minimo mezzo giro del mondo . A noi piace ricordare anche il celebre e bellissimo album di Santana che porta questo nome: pubblicato nel 2002 con il contributo di diversi artisti Rap e Hip Hop. Ma torniamo al nome del vino, in questo caso uno Champagne Rosé formato per il 76% da Chardonnay e per il restante 24% da Pinot Noir: etichetta pulita, semplice, ordinata, ma dotata di originalità grazie al nome e al simbolo soprastante. Ma soprattutto per quel particolare carattere di scrittura del nome stesso che fa molto mistero, oriente, fugacità dell’essere (come delle bollicine, del resto). Il 22 invece è l’anno in cui è stato posto in vendita il vino (e si torna con i piedi per terra).

Ai Pirati di Pesaro Piace il Pinot Noir


Focara Rive, Pinot (Noir) Nero, Fattoria Mancini.

Già parlare di Pinot Nero (Noir, troviamo scritto sull’etichetta) nelle Marche può risultare strano. Se poi vogliamo aggiungere che le vigne sono a 500mt (in linea d’aria) dal mare, la particolarità risulterà ancora più grande. Molto dettagliate le descrizioni di questo vino nel sito internet del produttore: “Vigna di Rive a Fiorenzuola di Focara - Parco Naturale del Monte San Bartolo - Comune di Pesaro, distanza dalla costa: 0,5 km, altitudine: 100/150m slm, terreni: limosi, profondi, calcarei, alta componente sabbiosa…”. E naturalmente è bene far notare alcune particolarità dell’etichetta: una banda rossa diagonale attraversa tutta la finestra del packaging ricordando certe etichette francesi e in particolare quella dello Champagne Mumm; quindi, come già detto, la decisione di scrivere “noir” in francese; poi l’idea di rappresentare nell’illustrazione una mappa del tesoro con la riproduzione della zona di origine. Alcuni particolari divertenti: una specie di mostro di Lockheed in basso a sinistra che emerge dai flutti adriatici; un galeone forse piratesco navigante proprio sotto alle scogliere delle Rive di Focara; altre imbarcazioni sulla destra in alto, presso la Baia di Vallugola. Nel nome del vino troviamo, oltre a Focara, la località dove allignano le viti, anche la parola Rive, molto utilizzata in zona (e Docg) Prosecco ad indicare vigneti di qualità (in quel caso le Rive sono collinari e pre-montane, in questo caso si tratta di vere e proprie scogliere sul mare). Alla base il logo e nome aziendale, molto “antico”, con il disegno di una pressa a mano e la locazione Pesaro in basso. Questa etichetta si fa notare? Sì. Andrebbe forse un po’ svecchiata, nonostante la simpatia dell’illustrazione? Ugualmente sì.

Il T14 e le DInamiche Barocche Tradite


T14, Trebbiano, Guccione.

Questo piccolo produttore siciliano, con sede e vigne in Contrada Cerasa a Monreale (Palermo), ha una passione per il biodinamico e anche una, evidente, per le sigle. Diversi vini in gamma infatti vengono contraddistinti da lettere e numeri. E’ il caso di questo Trebbiano che si chiama T14 laddove la “T” sta per il nome del vitigno e il 14 per l’annata di vendemmia (dopo la quale sono seguiti 6 anni di affinamento in botte grande). Nell’offerta dei vini di Francesco Guccione troviamo altri nomi “robotici”, diremmo anche adatti più a delle autovetture o a degli scooter: P16 è un Perricone di lungo corso, RC è il Rosso di Cerasa, NM il Nerello Mascalese e così via. La sigla letterale e numerica si scontra un po’ con la grafica arcaica e tradizionale di una Sicilia barocca. In etichetta infatti vediamo un fondale molto decorato, con stilemi floreali color nocciola e carta da zucchero. In alto uno stemma che richiama i temi nobiliari di casate antiche che nel racconto del Gattopardo hanno fatto della vita reale un romanzo, e viceversa. In basso la dicitura “Vino Bianco”, di norma, e una frase non scontata: “Prodotto in Italia”. A nostro parere, considerato il giusto orgoglio regionalista, ci sarebbe stato anche “Prodotto in Sicilia”. L’isola triangolare amata dal resto d’Italia e dal resto del mondo, infatti, può essere considerata praticamente una nazione a sé. L’etichetta nel suo complesso è bella, si fa notare, ha carattere… se non fosse per quella sigla al centro. Ma nessuno è perfetto. Anzi, nel mondo del vino la perfezione è noiosa e ritenuta poco naturale.

Una Connessione con la Natura non Molto Affidabile


Reliance, Champagne, Franck Pascal.

Una grande lettera “R” accoglie lo sguardo che si rivolge a questa bottiglia di Champagne (Brut Nature) che viene prodotto nella Valle della Marna, a base Pinot Meunier, secondo i crismi della biodinamica. Ma veniamo al nome del vino, “Reliance”, dai molteplici significati. Siamo sicuri che il produttore, in prima battuta, intendesse dire “connessione”, quindi fiducia e affidabilità, che nel settore enologico, per il consumatore, significa molto. Ma anche connessione con la natura, vista l’assenza di trattamenti per la coltivazione delle uve atte a produrre questo Champagne. La traduzione di questa parola dall’inglese si presta invece ad altre interpretazioni. Ad esempio può significare fiducia ma che dipendenza, che nel mondo dell’alcol, sopratutto anglosassone, non è una cosa buona. Il mercato dello Champagne ha infatti molti sbocchi in paesi di lingua inglese (Stati Uniti, Gran Bretagna, Australia, etc.), oltre al fatto che l’inglese ormai viene considerata lingua internazionale molto più del francese. Per il resto l’etichetta si presenta con stili classici. Sotto alla grande “R” troviamo la stilizzazione di una pianta, probabilmente la rappresentazione di un giovane tralcio con i pampini della vite. In alto a destra il nome (e cognome) del produttore sormontato da una decorazione grafica abbastanza scontata. Nel complesso un’etichetta che annega un po’ nel mare magnum dell’offerta di bollicine francesi.

Effimero Quanto Basta, Questo Champagne Atletico


Air, Champagne, Augustin.

Alcuni elementi insoliti per uno Champagne, appaiono in questa etichetta. Il tono generale è molto “modernista”: non vengono utilizzate le solite iconografie ed elementi decorativi stereotipati. Ma partiamo dal nome del vino, “Air”. che ricorda, sì, il nome di una celebre scarpa di Nike, ma che su una bottiglia di Champagne fa il suo buon gioco: evoca la leggerezza di bollicine sottili e quella evanescenza che solo questa mitica “bevanda degli Déi” può condurre e rappresentare. Inoltre è un nome molto breve e memorabile, coraggioso e originale, non in assoluto, ma nell’ambito dell’offerta di Champagne. Al centro del packaging troviamo un simbolo che integra l’iniziale del nome del produttore, Augustin, ma che riporta immediatamente all’icona dell’infinito. Un bel segno, realizzato con un inchiostro in evidente rilievo che si fa notare e ricordare. I caratteri di scrittura sono chiari, semplici, lineari, di ottima lettura. Una cornice in inchiostro argentato racchiude gli elementi dell’etichetta. Sulla carta, una quasi impercettibile goffratura romboidale racchiude ulteriormente gli elementi al centro dell’etichetta. Da notare che il nome del vino è realizzato con un inchiostro in oro, che si stacca da tutto il resto. Piccolo produttore famigliare, questo Augustin, ma che ci sa fare, con il packaging, a livello delle grandi case.

Fiero e Alato, Questo Sangiovese Bollicinato


Vìndice, Metodo Classico, Poggio della Dogana.

Per l’analisi e il commenti di questa bella etichetta ci viene in aiuto direttamente il produttore, che dimostra molta “agilità” creativa per tutte le etichette della gamma in opera. A noi piace prendere in esame questa, relativa a un Metodo Classico da vinificazione in bianco di vitigno Sangiovese (decisamente insolito come prodotto enologico). L’immagine (molto bella, evocativa) e il nome del vino (molto particolar) vengono così descritti nel sito aziendale: “L’etichetta è tratta da uno dei bozzetti di Silvio Gordini, trisavolo di Aldo e Paolo (i titolari, n.d.r.) famoso pittore romagnolo dei primi del ‘900. Il disegno è probabilmente uno studio preparatorio per la decorazione murale di una abitazione privata: una fiera alata composta da motivi floreali allegorici. La sinuosità delle forme e la vivacità dei colori rappresentano a pieno un vino fresco, deciso ma di grande finezza come Vindice. Questo Metodo Classico Pas Dosé prende il nome da uno dei cavalli da corsa della scuderia del nonno materno di Aldo e Paolo Rametta. Un grande campione, vivace e astuto ed elegante, ricordato con grande affetto dalla famiglia”. La descrizione che qui abbiamo riportato va di pari passo con l’eleganza dell’etichetta. Un packaging che attira l’occhio e che fa venire voglia di acquistare, di provare, di stappare, di assaggiare. Ed è proprio questo il compito tutt’altro che marginale dell’etichetta di una bottiglia di vino.

Le Sirene del Garda Guardano al Futuro


Sirenella, Custoza Doc, Villa Meneghello.

L’illustrazione che domina questa etichetta è sicuramente molto colorata (e per questo si fa notare), ma anche molto moderna come stile comunicativo. I colori sono “sfasati”, inaspettati, da arte contemporanea, diciamo così. Il busto di donna rappresentato in etichetta ci riporta a una figura fatale, altera, a suo modo affascinante. Potrebbe essere un tipico incontro da aperitivo serale sul Garda. L’azienda infatti ha sede vicino a Lazise, località turistica lacustre, e il mix di vitigni che danno luogo alla Doc Custoza è classicamente da pre-serata. Da finger food modaiolo. Forse anche da pesce di lago. Un altro particolare che distingue questa etichetta è la modalità in verticale con la quale viene scritto il nome del vino: “Sirenella”. Leggibilità contraffatta ma modernità grafica garantita. La sirenella in questione è naturalmente la signorina ritratta in questo packaging che si vuole garantire la peculiarità di essere “giovane”. La sirenella riguarda anche la leggenda riferita nel sito del produttore che qui riportiamo: “Nella mitologia del Garda le Sirene erano le antiche abitanti del lago. Si narra che in una notte d’estate esse si rivelarono ad alcuni pescatori, offrendo loro una bevanda miracolosa…”. Al di là delle necessità comunicative e di marketing diciamo che le sirene del lago oggi sono rappresentate dalla turiste tedesche, sempre in gran numero ad affollare le spiagge e i locali serali di tutto il circondario. Alla base della parte illustrativa di questa etichetta troviamo il logo e il nome del produttore: “Villa Meneghello”. Nel logo una stilizzazione della sede storica che si dice possa vantare una datazione secolare. 

Chi Dice Donna Dice Rosato


Donna (Francesca Di Vaira), Cerasuolo d’Abruzzo, Fattoria Di Vaira.

Etichetta molto vistosa per il Cerasuolo (Montepulciano d’Abruzzo il vitigno) di questa estesa fattoria (530 ettari: la più grande azienda agricola del Molise) che produce moltissimi prodotti dell’agroalimentare, poi veicolati (anche) attraverso la catena di negozi Natura Sì. Packaging molto attenzionale per diversi motivi: innanzitutto il colore fucsia che compone la grafica nella sua interezza; poi il profilo di una donna, sulla sinistra, “scavato” nel taglio dell’etichetta e contornato in oro; quindi il nome del vino che ufficialmente è “donna”, scritto in oro, sottolineando una femminilità in rosa che si rispecchia nella tipologia del vino (rosato). Il luogo è comune: il vino rosa, in tutte le sue declinazioni, è un vino adatto alle donne (e da loro molto richiesto, si presume). Stereotipo che più a nord viene rifiutato ma che nel sud Italia forse permane, come per altre tradizioni patriarcali. Ma non vorremmo inoltrarci in questioni politico-sociali che non attengono a questo blog (alla comunicazione, comunque, sì). Tornando alle tecniche di packaging e della comunicazione, questa etichetta sicuramente si fa notare. Può piacere sia agli uomini che alle donne. Può fare buon lustro sulla tavola di tutti i giorni come su quella di occasioni speciali. Diciamo che una certa ricercatezza non fa mai male. Ultima notazione ma non per importanza: il logo Demeter in basso a destra. Una garanzia in più (per molti ma non per tutti).