Felicitas, Müller Thurgau, Mai Domi.
IL NOME DEL VINO
L’etichetta è la PRIMA e più IMMEDIATA comunicazione del VINO.
La Felicità di Iniziare Tutto da Zero
Felicitas, Müller Thurgau, Mai Domi.
La Coerenza tra Etichetta e Racconto del Vino
Lamettino, Marzemino (Merlot e Sangiovese), Tenuta La Vigna.
Cento Anni (e Forse più) di un Vino Vulcanico
Parole d’Italia, la Francia s’è desta
Invitare, Viogner, Chapoutier.
L’inequivocabilmente francese Monsieur Michel Chapoutier, il noto produttore della Valle del Rodano (Condrieu), ha deciso di dare un nome in italiano a uno dei suoi vini di riferimento. E’ tutto molto classico, nella modalità francese di fare le etichette (che anche in Piemonte adottano spesso): uno stemma in alto, ben evidente (tre botti, un alfiere, un luna, un sole, le colline…), il nome del produttore in basso (che ripropone lo stemma già citato) con il motto “fac et spera”: un po’ come dire “aiutati che il ciel t’aiuta” in italiano. Ma a noi interessa prevalentemente il nome del vino, al centro, con un’ottima rilevanza (in termini di gradezza): “Invitare”. C’entra con la buona tavola e il buon vino: se io ti invito a cena, l’atto dell’invitare è necessario, allora devo premurarmi di poterti offrire qualcosa di speciale (altrimenti ognuno a casa propria). Stupisce l’utilizzo dell’italiano in un luogo così profondamente francese come la Valle del Rodano. Invitare in francese si dice “inviter” e quindi la parola è facilmente interpretabile in entrambi i paesi. Un guizzo di italianità, insomma. E noi ne siamo fieri.
Uno Champagne del Sud, Forte e Delicato (con Cappello)
Osmose Rosé, Champagne, Mademoiselle Marg’o.
Un’etichetta che invita all’assaggio. Spumeggiante, primaverile, leggiadra, certo anche molto femminile. Una figura di donna con un copricapo a falda larga. Fiori, vegetazione, foglie che volano. Sguardo e cappello molto sfiziosi. Molto francese, insomma. E anche per i nomi l’immagine del produttore è andata verso il classico, l’intrigante, il romantico: “Mademoiselle Marg’o” è il nome dell’azienda guidata da Aurelie e Sonia, “Osmose Rosé” è il nome di questa cuvée a base Chardonnay con un pizzico di Pinot Noir vinificato in nero. Tutto insomma ruota attorno a una immagine bucolica, piuttosto stereotipata, certo, ma resa molto bene dall’illustrazione in etichetta e dalla delicatezza dei suoi particolari. Compresa la goffratura (lo spessore, in rilievo) della carta che sullo sfondo ripropone il tema vegetale. Insomma molto candore (di colore) con un po’ di malizia che male non fa. Bollicine birichine che allietano la tavola anche con la loro presenza scenica. Il resto lo farà il calice (rigorosamente in cristallo di Boemia).
Il Gallo Nero Sorveglia il Terreno
Le Tre Vigne, Chianti Classico, Terreno.
In questo packaging molto “casereccio” (o quanto meno così vuole apparire) troviamo l’elemento “nome dell’azienda” molto importante, come presenza. Al punto da poter sembrare il nome del vino. “Terreno” è quindi l’azienda, mentre “Le Tre Vigne” è il nome del vino (un po’ nascosto anche dalla traccia rossa che in realtà sarebbe servita ad evidenziare). A seguire la denominazione “Chianti Classico” e il nome della titolare dell’azienda: “Sofia Ruhne”. Sopra al nome aziendale troviamo uno scudo, un marchio, uno stemma, che riporta tre foglie di vite, una stella, un grappolo d’uva e una “R” al centro (iniziale del cognome della famiglia proprietaria). L’etichetta dunque è semplice, di quelle fintamente compilate a mano, che fa molto artigianalità, attività umane dirette. L’azienda risale al 1988 e dal 2014 è diventata biologica. L’impressione è quella di un Chianti (inteso come zona) contadino che ha ricevuto la spinta di investimenti importanti. E che si colloca a metà tra una logica tradizionale e un marketing attuale. Il Gallo Nero, sul collarino della bottiglia, veglia sulla genuinità del tutto.
Il Grillo in Spagna Non è un Vitigno
Hop Hop, Syrah e Garnacha, El Grillo Y la Luna.
Una piccola azienda spagnola, quasi famigliare, nella zona del Somontano de Barbastro, alle pendici dei Pirenei, si diverte a creare etichette bizzarre che hanno sempre per protagonista un grillo (stilizzato). In questo caso, un vino rosso a base Syrah e Garnacha, il nome effettivo sembrerebbe essere “Hop Hop”. A simboleggiare in modo onomatopeico (diciamo così) il saltellare del celebre e simpatico insetto parlante estivo. Si tratta di una bottiglia decisamente giocosa che lascia poco spazio a nozioni e sensazioni tecniche, enologiche, gustative. C’è solo la simpatia, che cattura, certo, ma che non trasmette valori relativi ad affidabilità e competenza dell’azienda produttrice. Fino a che punto è giustificabile sacrificare la credibilità in favore dell’ allegoria? Non lo sappiamo. La misura è diversa per ognuno. Certamente il packaging di questa bottiglia è stato studiato bene e realizzato con eleganza e chiarezza. Il resto lo saltiamo, un po’ come fa il grillo, senza troppi complimenti. N.B.: il Grillo in Italia, e in particolare in Sicilia, è un vitigno. Tant’è che in prima battuta abbiamo pensato che ci fosse proprio quello in questa bottiglia!
Madre Terra, Creatrice della Semplicità
Gea, Pinot Nero, Il vino e le rose.
L’azienda che ha dato alla luce questa etichetta si trova sulle colline tortonesi, tra Tortona e Varzi, ed esattamente a Momperone. Si chiama “il vino e le rose” nome poetico, romantico, evocativo. E nel proprio sito internet si definisce come “produzione di vino e ospitalità rurale”. Nella sede vi sono infatti anche camere per la permanenza notturna. Il packaging design di questa bottiglia di Pinot Nero è molto interessante, a partire dal nome del vino, “Gea”, la trasposizione italiana del greco “Gaia” cioè terra. La Madre Terra è raffigurata in etichetta nelle sembianze di una donna mediterranea, mora. Dalle sue vesti, o propaggini, scaturisce un panorama fatto di campi, colture, vegetazioni. Il mood della grafica è molto semplice, “casereccio”, la donna non è particolarmente bella o sensuale, le scritte che accompagnano l’elaborato illustrato sono molto “di stampa”, piuttosto disordinate, diciamo più funzionali che eleganti. Ma il tutto ha una propria dimensione, un proprio stile anche se molto spartano. In alto a destra il simbolo chimico della SO2 viene barrato per narrare lavorazioni dure e pure.
Otto Decadi Infinite
La Forza del Terrano, Anche in Etichetta
La RossaraTrentina, Ripescata e Ri-Amata
Un Antico Vitigno tra Iran e Armenia
Il Resinato più Famoso di Grecia (e del Mondo)
Un Brodo Dolce, dalla Storia Antica
L’Agricoltura della Luce e del Carbonio
Attraverso il Fiume e Oltre
Roncaglie, Barbaresco, Socré.
In primo luogo è bene spiegare il nome aziendale, Socré, che potrebbe sembrare un francesismo per “zuccherato”. Ma questo vino di sicuro zuccherato non è, anche perché si tratterebbe di una pratica enologica vietata dal disciplinare (i francesi, invece, a volte zuccherano). Inoltre stiamo parlando di un Barbaresco, vino rosso a base Nebbiolo, che sicuramente si manifesta in una modalità asciutta, elegante ma austera, lontano da amabilità tipicamente da vini bianchi alsaziani. Sucré, dicevamo. Il significato viene dall’antico proprietario dei terreni che faceva lo zoccolaio (in dialetto piemontese del luogo). Il nome del vino, invece, in basso nell’etichetta, è “Roncaglie”, riferito al nome storico della vigna dalla quale viene ottenuta l’uva per produrre questo vino. Ma l’attenzione primaria per questo packaging va a quel bollo blu che troviamo, molto presente, in alto: “Citra Flumen et Ultra” che in latino significa “Attraverso il fiume e oltre”. Inteso come il fiume Tanaro, che separa la zona eletta delle Langhe da una regione geologicamente diversa ma ugualmente molto adatta per coltivare uva (e nocciole). Nel complesso si tratta di una etichetta molto spartana, sia nella grafica che nei cromatismi. Caratterizzata unicamente dal cerchio con la massima latina. Certo che il solo nome “Barbaresco” è in grado di nobilitare il tutto.
Una Poetica Vulcanica Egoriferita
Il Lampo dell’Assoluto nelle Sfumature di un Prosecco Particolare
Un Chiaretto Pallido ma Molto Espressivo
Il Rosé, Chiaretto di Bardolino, Giovanna Tantini.Sulle rive del Lago di Garda vengono prodotti vini fin dai tempi degli Antichi Romani. Ma oggi la fama di questi vini è decisamente scarsa. Certo, il Bardolino si conosce. Ma non è stimato come altri vini italiani. Qui abbiamo il Chiaretto di Bardolino, un rosato prodotto con uve Corvina, Rondinella e Molinara, dall’Azienda Vinicola che fa capo a Giovanna Tantini. L’azienda fa leva soprattutto sul colore, rosa tenue, di questo vino, ottenuto con una delicata lavorazione. Logicamente questo è un segno di qualità oltre che puramente estetico. Qualità che viene riflessa in tutto il processo produttivo. 10 ettari vitati e grande attenzione per ogni passaggio che riguarda la creazione dei vini in gamma. Vediamo l’etichetta: il vino si chiama semplicemente “il Rosé”, scelta piuttosto anonima che si scontra con tutta una serie di nominazioni, molto simili, che riguardano i vini rosati. Ma è inevitabile per questa categoria di prodotto. Graficamente emerge immediatamente un volto di donna, quello della titolare dell’azienda. Con un cromatismo rosa salmone che pervade tutta la bottiglia. L’espressione del viso è solare, vivace, accogliente, felice. Presenta bene, in armonia, la bottiglia. E’ piuttosto egoico ma vincente, se pensiamo al concetto di “metterci la faccia”. In basso, alla base del packaging, il nome e logo aziendale. Il logo è una specie di grappolo molto stilizzato. Funziona. Sintesi e impatto.
I Vini dell’Etna Vanno Veloci Come un Treno
Fermata 125, Carricante, Baglio di Pianetto.
La bella illustrazione che domina questa etichetta si fa notare per gli intensi cromatismi ma anche per il tema che tratta: la locomotiva di un treno che vede sullo sfondo un fumante Etna. Il vino nasce infatti alle pendici del vulcano, “a muntagna”, come lo chiamano da quelle parti. Ma è nel nome del vino, “fermata 125”, che scopriamo la particolarità di questo branding. Come riferito dal produttore: “Di fronte alla fermata 125 della storica Ferrovia Circumetnea sorge la cantina dove nascono i vini dell’Etna di Baglio di Pianetto. Il treno rappresentato (nel disegno) è il modello ALN56 degli anni ‘30”. Vengono così coinvolti anche i collezionisti di modellini di treni, tutta una cultura giocosa che in Italia ha sempre tenuto banco. L’originalità di questa etichetta nasce quindi dal racconto, dalla storia e anche dalla voglia di enoturismo che negli ultimi anni l’Etna ha coltivato e fatto crescere. Proprio come la qualità dei vini prodotti in quel panorama geologico e naturalistico davvero unico. Per la cronaca, oggi la Ferrovia Circumetnea è attiva descrivendo un semicerchio attorno al vulcano, partendo da Giarre, transitando da Randazzo e Bronte (tra le altre località) fino a Paternò. Le particolarità si concludono facendo notare che sotto al nome/marchio del produttore, in alto, Baglio di Pianetto, viene integrata la distintiva dicitura “vini d’altura” (la rima non è voluta ma gradita). Le vigne dell’azienda infatti, oltre che sull’Etna, si trovano a 900 mt. s.l.m. anche nell’altra zona coltivata in Provincia di Palermo.
Danzatori Folli dal Canada al Messico
Champagne Esoterico Quanto Basta
Ai Pirati di Pesaro Piace il Pinot Noir
Il T14 e le DInamiche Barocche Tradite
T14, Trebbiano, Guccione.
Questo piccolo produttore siciliano, con sede e vigne in Contrada Cerasa a Monreale (Palermo), ha una passione per il biodinamico e anche una, evidente, per le sigle. Diversi vini in gamma infatti vengono contraddistinti da lettere e numeri. E’ il caso di questo Trebbiano che si chiama T14 laddove la “T” sta per il nome del vitigno e il 14 per l’annata di vendemmia (dopo la quale sono seguiti 6 anni di affinamento in botte grande). Nell’offerta dei vini di Francesco Guccione troviamo altri nomi “robotici”, diremmo anche adatti più a delle autovetture o a degli scooter: P16 è un Perricone di lungo corso, RC è il Rosso di Cerasa, NM il Nerello Mascalese e così via. La sigla letterale e numerica si scontra un po’ con la grafica arcaica e tradizionale di una Sicilia barocca. In etichetta infatti vediamo un fondale molto decorato, con stilemi floreali color nocciola e carta da zucchero. In alto uno stemma che richiama i temi nobiliari di casate antiche che nel racconto del Gattopardo hanno fatto della vita reale un romanzo, e viceversa. In basso la dicitura “Vino Bianco”, di norma, e una frase non scontata: “Prodotto in Italia”. A nostro parere, considerato il giusto orgoglio regionalista, ci sarebbe stato anche “Prodotto in Sicilia”. L’isola triangolare amata dal resto d’Italia e dal resto del mondo, infatti, può essere considerata praticamente una nazione a sé. L’etichetta nel suo complesso è bella, si fa notare, ha carattere… se non fosse per quella sigla al centro. Ma nessuno è perfetto. Anzi, nel mondo del vino la perfezione è noiosa e ritenuta poco naturale.
Una Connessione con la Natura non Molto Affidabile
Reliance, Champagne, Franck Pascal.
Una grande lettera “R” accoglie lo sguardo che si rivolge a questa bottiglia di Champagne (Brut Nature) che viene prodotto nella Valle della Marna, a base Pinot Meunier, secondo i crismi della biodinamica. Ma veniamo al nome del vino, “Reliance”, dai molteplici significati. Siamo sicuri che il produttore, in prima battuta, intendesse dire “connessione”, quindi fiducia e affidabilità, che nel settore enologico, per il consumatore, significa molto. Ma anche connessione con la natura, vista l’assenza di trattamenti per la coltivazione delle uve atte a produrre questo Champagne. La traduzione di questa parola dall’inglese si presta invece ad altre interpretazioni. Ad esempio può significare fiducia ma che dipendenza, che nel mondo dell’alcol, sopratutto anglosassone, non è una cosa buona. Il mercato dello Champagne ha infatti molti sbocchi in paesi di lingua inglese (Stati Uniti, Gran Bretagna, Australia, etc.), oltre al fatto che l’inglese ormai viene considerata lingua internazionale molto più del francese. Per il resto l’etichetta si presenta con stili classici. Sotto alla grande “R” troviamo la stilizzazione di una pianta, probabilmente la rappresentazione di un giovane tralcio con i pampini della vite. In alto a destra il nome (e cognome) del produttore sormontato da una decorazione grafica abbastanza scontata. Nel complesso un’etichetta che annega un po’ nel mare magnum dell’offerta di bollicine francesi.