Questo curioso nome risulta essere relativo a una particolare tecnica costruttiva (di una volta) per muri a secco, in questo caso in terra battuta. Si tratta di una modalità "antica" che, riproposto in una parte della cantina del produttore, vuole rappresentare la volontà di rimanere nella tradizione, sia pure rivolgendo lo sguardo verso il futuro (alle nuove tecnologie). Il concetto è importante, condivisibile, coerente, soprattutto per una azienda biodinamica come quella in questione. Ma c'è un "ma". Pisè, fuori dalla ristretta zona dove la popolazione locale (forse) sa cosa significa, potrebbe portare ad altre interpretazioni: piselli, pisarei, pisolini... Tra l'altro, sull'etichetta, scura, spicca un uccello in oro su vegetazione al tratto e, decisamente troppo in evidenza, il nome aziendale "La Raia" che cannibalizza il resto con un peso visivo esagerato.
La Mensa è Finita, Andate in Pace
Amen, Sangiovese di Romagna, Carbognano.
Riportiamo dal sito del produttore: "Amen significa 'così sia', corona la fine della nostra lunga attesa e la gioia nel produrre la prima annata di Riserva." Certamente si tratta di un appellativo di grande effetto, soprattutto nella cattolica e papal penisola. Amen è una parola che appartiene al parlare di tutti i giorni oltre che ai testi sacri. Breve, evocativa, sacrale, forse anche santificante, tanto che il vino ha sempre avuto una parte da protagonista sulla "tavola" del sacerdote, l'altare, e su quella che in ogni casa viene eletta a luogo dedicato, ogni santo pasto. In più, come scritto all'inizio di questa breve analisi, il produttore attribuisce a questo nome un significato chiaro e sincero legato alla produzione del vino. Di dubbio gusto la grafica: il tassello dove è iscritto il nome del vino ricorda una croce. Inoltre lo sfondo, la texture, dell'etichetta non è certo un fulgido esempio di design creativo. Amen.
8 Capitani Coraggiosi
8, Carignan e Grenache, La Vinya del Vuit.
Otto coraggiosi vignaioli decidono di ridare vita a 4 ettari di vecchie vigne per produrre 2500 bottiglie l'anno con metodi artigianali. Ogni anno le bottiglie hanno una etichetta diversa, che però mantiene come costante, da qualche parte, il numero 8 a simboleggiare l'unione e l'amicizia dei soci. Siamo in Spagna e l'etichetta qui raffigurata, tra tutte le varie edizioni la più colorata e fantasiosa, ricorda certe opere di Antoni Gaudì. Ha quindi valore da collezionismo, un valore anche artistico, oltre che commerciale. Attira l'attenzione e crea aspettativa. Quanto a valorizzare il vino contenuto nelle bottiglia, abbiamo qualche dubbio.
Senza Nome ma con Ingegno
Questo vino si chiama "Vigna Senza Nome", con una G in chiara evidenza. L'etichetta, elegante, di "stampo" moderno, contiene anche un palindromo che il produttore spiega così: "Sator Arepo Tenet Opera Rotas, significa 'il contadino all'aratro dirige i lavori' adottata perché nel 1990 divenuti proprietari del vigneto". Insomma, il nome "non nome" si fa notare, anche graficamente, e incuriosisce. Ancora di più attira l'attenzione il quadrato in basso dove i giochi di parole esprimono il bel concetto relativo al contadino che diventa proprietario e non più conferitore (metamorfosi in atto in molte regioni italiane). Altri nomi dei vini di questa azienda: La Regina, Il Fiore, Asso di Fiori, Re di Fiori (bianchi), La Monella, Il Bacialè, Bricco della Bigotta (rossi) oltre al già analizzato in questo sito e molto noto Bricco dell'Uccellone. Complimenti per la creatività, sobria ma impattante. E le vendite sicuramente lo confermano.
Un Tesoro di Semplicità
Tesoro, Gamay e Merlot, Esterházy.
Un
nome che fa l'occhiolino (anche graficamente) all'Italia se è vero che
all'estero è destinato a risuonare come un moda. Sono quelle parole che nei
paesi stranieri riescono a identificare un certo modo di vivere all'italiana.
Comunque bello, pregnante, breve, pronunicabile, memorabile. E anche
l'etichetta si difende bene con una propria dignita elegante e qualche
particolare di pregio, come la corona dorata in alto a destra e quel baffo che
somiglia a un sorriso al centro. Semplicità che si erge a protagonista,
soprattutto su scaffali anonimi e senza guizzi creativi.
Un Progetto Chiaro e Contrastato
Nerello Mascalese e Grillo, Cantina Ottoventi.
Un progetto chiaro e sincero quello di questa cantina siciliana, a partire proprio dalle etichette dei vini. In queste due in particolare, quella del Nerello e del Grillo, si scorge la volontà di attenersi a un certo rigore grafico, ad una idea di eleganza senza fronzoli né compromessi. Non c'è un nome di prodotto, tant'è che figura in etichetta il nome aziendale, ma questo gioco di bianco e di nero, il richiamo al vento tra la vegetazione rappresentato nel visual e l'essenzialità dei toni contrastati, contribuiscono a fornire una sensazione di pulizia e qualità di percezione molto netta.
Etichette con Simpatia
Furtarello, Rosso Piceno, Croce del Moro.
Cha nome simpatico, veloce, ruffianello... Furtarello. Un modo diverso, crediamo, di accennare al merlo furtivo che ruba maturi chicchi di Merlot e perché no, anche delle altre due uve che compongono questo vino marchigiano (Sangiovese e Montepulciano). Simpatico e coraggioso, empatico e giocoso. Il risultato è che si fa notare. Così ben accompagnato da una illustrazione di stampo Luzzatiano, attenzionale ma equilibrata nelle cromìe, giustamente protagonista della scena comunicativa complessiva che una buona etichetta dovrebbe sempre offrire al suo pubblico.
Un Brivido di Passione (per il Nome)
Brivido, Trebbiano di Romagna, Poderi Morini.
Un brivido che corre non lungo la schiena ma dentro al "gargarozzo". Anche se prima l'occhio vuole la sua parte. E qui la parte da protagonista la fanno delle illustrazioni molto colorate e decisamente riuscite dal punto di vista iconografico. Eleganti, fantasiose, attraenti. Non di meno "Brivido" (a sinistra) che fa bene il proprio lavoro di nome promettendo emozioni, sensazioni, piacere, esperienza gustativa. L'insieme rende una comunicazione schietta, pulita, moderna, attenzionale, dinamica. Da notare anche i nomi degli altri vini della produzione Morini: Zeffiretto, SetteNote, CuoreMatto, Innamorato (bianchi) e Morosè, Beccafico, Traicolli (alcuni tra i rossi) infine Papageno il distillato di Centesimino (a destra).
Vino Turrito, Sempre Piaciuto
Bianco della Torre, Collina del Milanese, Poderi di San Pietro.
Torri, castelli, poderi, ville e cantine, terreni e manieri. C'è tutta una serie di icone storico-culturali che ispirano i nomi dei vini. Si tratta di riferimenti geografici e paesaggistici, spesso simboli dei luoghi di produzione, emblemi di generazioni che si susseguono. Nomi come "il Bianco della Torre" ci possono stare, sono "solidi", in un certo senso dovuti. In questo caso il visual e lo stile dell'etichetta confermano la centralità di suddetta torre e comunicano territorialità, genuinità, tradizione. Ottima la scelta cromatica d'insieme, un po' "stantii" i caratteri di stampa. In generale questa etichetta risulta "datata": di questo se ne può fare un pregio o un difetto. È doveroso però considerare, sia pure in questi tempi "digitali", che in Italia e Francia il classico ha sempre un proprio pubblico e una certa dignità. Il difficile è innovare restando nella tradizione.
Il Novello non è Fine, Fine del Novello
Novello, Teroldego, Mezzacorona.
A parte che anche questa volta la leggibilità non è di quelle esemplari. Forse dedicato al mercato estero, una nota cantina trentina si lancia in esperimenti cromatici "giovanilistici" proponendo con un vitigno dalla fama territoriale e antica, il Teroldego. Di fatto si tratta di un Novello, il nome è proprio quello. Proprio generico e ultimamente anche non più di moda: presentarsi a casa di amici con un Novello non è gran cosa, se poi il nome lo sottolinea, il gioco (in negativo) è fatto. Insomma, il mondo del vino italiano va ancora molto per tentativi.
Lo Spumante per Tonni
Gli spagnoli producono Cava, la loro espressione di vino spumante. E ci può stare. In Spagna ci sono molte coste e quindi la pesca è fiorente. Anche qui ci siamo. Ma da qui a creare un "vino da pesce" con questa etichetta ci dovrebbe invece stare del pensiero. Probabilmente anche il tonno raffigurato in grafica avrebbe un sussulto, sia pure già cucinato, alla vista di questa sarabanda di bianco e d'azzurro che somiglia a una bandiera o a un decoro per cabine da spiaggia. Il tema è indovinato, ma da un punto di vista non condivisibile per eleganza e coerenza. Il nome: Blue Fin, ci sta anch'esso, nel complesso, ma purtroppo di fine qui non rimane molto.
Il Terroir nel Senso di Sotterraneo
Esoterico, sotterraneo, oscuro, tombale, a tratti inquietante, certo. La scelta di questo produttore della Sonoma Valley cade su un nome originale che unisce il suffisso "sub" e sull'ormai internazionale "terra" e soprattutto sul senso volutamente "terrificante" del design in etichetta. Si astengano i superstiziosi, non è un vino che fa per le loro tavole. Doveroso dire però che si tratta di una scelta coraggiosa, attenzionale, ardita, forse azzardata. Difficile acquistare questa bottiglia per portarla a casa di amici. Salvo per scherzose intenzioni. Ma con il vino non si scherza.
Vino e Arte, Unione d'Intenti
Questo produttore della Napa Valley ha puntato tutto sulle etichette. Ogni anno propone un nuovo stile che nasce da una accurata ricerca storico artistica. In questo specifico caso la collezionabilità delle bottiglie, logicamente, è un argomento di vendita molto valido, al di là della qualità del vino, che auguriamo possa essere ugualmente apprezzabile. Per il 2009 la Darioush Winery propone arte persiana del 17° secolo: decorazioni floreali con uccelli ("bird were especially prominent, symbolizing the union of heaven and heart "). Il risultato è certamente di effetto.
Volete del Ghiaccio nel Vino Rosso?
L'etichetta richiama certi manifesti di stampo rivoluzionario: caratteri grandi, forti, neri e rossi, molto visibili. L'impatto non è certo elegante, gioca su intenzioni "alternative". Il nostro focus è anche in questo caso sul nome, che dichiaratamente deriva dalla vicinanza dei vigneti con antiche rovine etrusche chiamate Forte Ghiaccio, nome a sua volta originato da un valoroso guerriero che si distinse per il coraggio e per le libagioni atte ad infonderlo. Bella storia, ma non basta. La parola "ghiaccio" porta subito alla mente sensazioni che con il vino rosso non c'entrano. La parola "forte" contribuisce a deviare ulteriormente l'attenzione verso il settore dei superalcolici. Sensazioni confermate dall'insolita (e probabilmente azzardata) grafica in etichetta. Il tutto per un Morellino di Scansano che qualcosa da spartire con la tradizione potrebbe pure averlo.
La Matematica non è un'Opinione
Montepulciano, 1,618, Fattoria Colmone.
Matematica, Aritmetica, Numerologia o Scienza? Possiamo trovare un po' di tutto questo, nel vino. Soprattutto in questo vino della recente Doc Terreni di San Severino, nelle Marche, provincia di Macerata. E' il frutto di una "vendemmia aurea" dice il produttore, Giovanni Meschini, tanto che ha deciso di chiamare l'edizione speciale e limitata di questo Montepulciano con il numero che distingue il "rapporto aritmetico tra due lunghezze disuguali, delle quali la maggiore è medio proporzionale tra la minore e la somma delle due". Complicato? La chiamano sezione aurea ed è stata oggetto di studio e rappresentazione da artisti come Leonardo da Vinci, Piero della Francesa, Sandro Botticelli. Insomma una specie di numero magico dell'equilibrio universale. Cosa dire? Nobile e concettualmente valido l'intento, probabilmente poco efficaci il nome (il numero) e l'etichetta, se non per una operazione di immagine destinata più a far notizia mediatica che altro. Ma anche questa è comunicazione.
I Nomi che non Suonano, Stridono.
Cosa può spingere un'azienda vinicola a chiamarsi "La Lastra"? (e di conseguenza a denominare il proprio vino in questo modo, vista l'assenza di altro nome di prodotto) Non lo sappiamo. Forse qualcosa di geologico, territoriale, morfologico (Lastra, secondo Treccani: "quella di pietra che forma il pavimento delle vie lastricate"). Fatto sta che la lastra stride. Per la fonetica (ripetizione "La" e "La", e la durezza di "str"). E per il significato, associabile a: lastroni di ghiaccio, di marmo, di vetro, di ardesia e, Dio non voglia, ad altre lastre più "definitive". L'etichetta, del tipo tipografico-semplicistico in stile "tutto centrato", presenta un originale (ma enigmatica) raffigurazione (il triangolo blu con simbologie ancestrali) e, invece di un nome, un claim che recita: "lo spirito del vino". Interessante gioco di parole che di fatto collide con spirito in senso di alcol, non sempre positivo e comunque codice semantico più utilizzato per i superacolici. Rimandati a settembre.
Una Regionalità Senza Ragione
Franciacorta, Salvadek, Monte Rossa.
Mettiamo da parte un attimo la grafica dell'etichetta, un mix tra lo zebrato-style e le cornici vittoriane, per analizzare il nome di questo spumante di Franciacorta. E' scritto in piccolo in basso, ma è il nome ufficiale del prodotto: Salvadek. Per interpretarlo bisogna essere originari di quella zona, in quanto si tratta di una parola in dialetto bresciano che significa "selvatico". In pratica al di fuori dei confini provinciali pochi saprebbero pronunciarlo con l'accento giusto (sulla "a") e nessuno saprebbe dire cosa significa. Una scelta molto "intimista" da parte del produttore. Piacerà in zona, ma probabilmente non è destinato ad essere memorabile nel resto del mondo. La bocciatura arriva per direttissima. Anche, come detto all'inizio, per il design in generale.
Uscire dagli Schemi (e dagli Scemi)
Ci sono molti elementi di originalità in questa etichetta che all'apparenza potrebbe risultare "normale". Questi elementi si fanno notare in modo "sottocutaneo", non urlato. Innanzitutto il nome, una intelligente interpretazione, diciamo neologismo, del nome del vitigno "Ribolla Gialla". Oggi tra brevetti e dominii di internet è quasi tutto già registrato. Trovare un nome ancora libero è spesso una sfida che si spinge fino a dover "storpiare" definizioni, aggiungere lettere insolite (in questo caso la "j"), cambiare insomma i connotati a parole di senso compiuto che risulterebbero già acquisite da altre aziende. Rjgialla riesce in questo intento, facendo capire il senso e preservando un proprio copyright. Inoltre la forma esagonale dell'etichetta, la modalità cromatica da "segnalazione" (i triangoli di intensità diversa all'interno dell'esagono), il particolare marchio al centro con la "T" e l'adozione di un generale giallo di tono, attribuiscono la giusta rilevanza alla bottiglia.
Tra il Greco (Antico) e il Moderno
Spesso il vino si colloca filosoficamente e commercialmente tra il sacro e il profano, questo si sa. Così come le etichette si ricavano uno spazio tra il classico e il moderno. Un piede nel passato e nelle zolle, e uno nel design e nelle tecnologie che guardano avanti. Questo Greco senza nome di un ottimo produttore campano (si chiama semplicemente Greco) si presenta con velleità antiche (la scritta e il "significato" di Greco) e al tempo stesso moderne: la parte visual somiglia a certe opere di arte moderna. Il risultato è comunque pulito, franco, diretto, con una sua eleganza. In questo e in molti altri casi si possono comprendere bene gli imbarazzi dei produttori nella scelta tra antico e moderno: chi rimante attaccato al passato, e chi, a volte, si lancia troppo avanti nel "futuro". Non sono scelte facili.
Forzature Naturali in Vista
NoSo2, Montepulciano d'Abruzzo, Zaccagnini.
Non ha solfiti aggiunti questo vino e si voleva mettere in evidenza proprio questo fatto. Il produttore ha deciso quindi di adottare un nome inequivocabile su questo punto: NoSo2. La lettura, la fruizione, la comunicazione di questo nome/concetto si fa subito difficile, contrastata. In prima battuta si legge "NonSo" poi vedendo il numero "2" si capisce che c'è dietro altro, una formula chimica. Lettura non facile, memorabilità latente, una negazione "No" (che mai è positiva) e una formula (che genera un "intruglio" verbale invece di "lavare via" ogni dubbio). Ne risulta una efficacia molto ridotta, dal punto di vista del nome. Peccato perché il resto è originale e attenzionale: grazie all'etichetta, caratterizzata dall'alberello con le foglie colorate (discutibile il fucsia), e al rilievo personalizzato in vetro, sulla parte alta della bottiglia.
Sfrutta la Frutta ma non Troppa
Nomi di vini, nomi di luoghi, nomi di vigneti. Molti produttori percorrono questa strada per caratterizzare il loro prodotti. In generale non sbagliato. Ma il nome del luogo, della collina, della zona, dovrebbero essere in linea con le caratteristiche e soprattutto con le esigenze comunicative del vino in questione. Facciamo un esempio: abbiamo un vino bianco, ottimo vino, un Roero Arneis, dal Piemonte, frutto del lavoro di un ottimo produttore. E lo chiamiamo Bricco delle Ciliegie, dal nome del vigneto storico dove vengono coltivate le uve "un puzzle di piccoli appezzamenti, un mosaico di suoli differenti" dice l'azienda. Ok, fin qui ci siamo. Ma c'è un ma. Le Ciliegie. Una tira l'altra, ma soprattutto ricordano sapori fruttati tipici di vini rossi. E qui abbiamo un bianco. Si genera un contrasto, un "conflitto" semantico che conscio e insconscio possono recepire. Questo perché il messaggio (il comunicare) dovrebbe essere univoco e unisono per essere incisivo ed efficace. Andando oltre il nome, l'etichetta è piacevole, ottima l'idea di collocare sulla sinistra una "rudimentale" mappa del territorio, bello il carattere di scrittura del nome in etichetta, criticabile il loghino superiore verde con casetta e alberello: troppo infantile nello stile proposto.
Tutti i Nomi di Angelo Gaja
Gli strani Nomi dei Vini Gaja.
A Cavallo della Storia sui Colli Morenici del Garda
Non c'è molto da dire su questa etichetta, semplice e stereotipata, ma sul nome sì. Potrebbe sembrare uno strano vezzo chiamare Amedeo un vino (si pensa subito a un fondatore antenato), così come chiamare Bruno un cane (e purtroppo se ne sentono). Ma in questo caso la ricerca storica e culturale, nonché il concetto stesso, territoriale ed epico, da trasmettere sono di maggior spessore rispetto al rievocare un avo. Sembra che nel lontano 1866, nel corso della Terza Guerra di Indipendenza, il Principe Amedeo di Savoia venne ferito proprio in prossimità del vigneto dell'azienda. Una insegna in ardesia ricorda ancora oggi l'episodio, all'ingresso della cantina. Certo che la storia andrebbe spiegata sul retro dell'etichetta o quanto meno nel sito o nel materiale di comunicazione di questo vino (consiglio che ci sentiamo di dare all'azienda).
C'è anche chi Beve (Beveva) Vino e Coca
French WineCoca, Nerve Stimulant.
Non si tratta di Coca-Cola. Forse di un suo derivato. Ma non abbiamo modo di sapere se tra gli ingredienti di questo incredibile vino "tonico" figuravano proprio le foglie della pianta miracolistica del Sud America. Di fatto questa vecchia etichetta è stata realizzata per essere molto esplicita. Il nome è WineCoca (French, viene precisato) e le "promesse" molto eloquenti: ideal nerve tonic, healt restorer, stimulant. Un cocktail rivitalizzante a base di alcol e altre sostanze puramente naturali. Altro che le bibite energetiche di oggi... con una bottiglia di queste si poteva volare davvero! (ai suoi tempi in modo del tutto legale, teniamo a precisare)
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