Iolai, Merlot, Il Calamaio.
Diciamo pure che questo è probabilmente il caso più sorprendente e a tratti divertente (e dissacrante) di naming incontrato in questo blog e in generale in anni di osservazione, professione, analisi. Il Calamaio (nome dell'azienda) è una piccola realtà vitivinicola sulle colline di Lucca, inventata e gestita da un giovane e appassionato viticoltore. Recentissimo il lancio di un nuovo vino (non nuovo il vitigno, soprattutto per le terre toscane, il merlot) al quale il titolare decide di dare nome "Iolai". Nome che appare subito strano, certamente morbido (foneticamente) ma di difficile intelleggibilità. La spiegazione è semplice (fino a un certo punto): si tratta di una espressione tipica (gergale) della provincia di Lucca. Quindi ancora più "geolocalizzata" rispetto al dialetto e alla cadenza toscana in generale. Potrebbe trattarsi quindi di un problema: lo si comprende fino in fondo solo se si è della zona. Ma la portata dell'esperimento (una volta spiegato, per soddisfare la comprensibile crusiosità di chiunque si trovi ad imbattersi in questo nome) è tale da annullare i dubbi geografici. Veniamo alla semantica, imbarazzante se vogliamo: l'enorme ego dei lucchesi li porta ad accorciare la parola "Dio" in "Io". Insomma si proclamano dèi e per equilibrare le cose aggiungono una sorta di imprecazione che in questo caso sarebbe "laido" o "ladro", cioè "lai". Risultato: Iolai. Lungi dalle meningi di alcuno sospettar la blasfemìa: il lucchese dice "Io" (non "Dio") cioè che egli stesso è un ladro (o un laido). E poi non lo dice nemmeno di se stesso, essendo a tutti gli effetti "Iolai" una allitterazione, un'enfasi, un motto, un sonetto, un inno alla proverbiale affabilità (e affabulità) toscana. Tutto questo per dire infine che ci vuole comunque estro, coraggio, simpatia e anarchia per dare questo nome a un vino. E Samuele Bianchi l'ha fatto.