Nibiò, Nibiö da a Picùla Rùsa (Dolcetto), Cascina degli Ulivi.
Questo nome, che a causa della sua assonanza con il Nebbiolo sta provocando discussioni, è relativo a un vitigno autoctono piemontese della zona di Tassarolo (vicino alla più nota Gavi, provincia di Alessandria). La dizione si rifà alla forma dialettale "Nibiö da a Picùla Rùsa" che significa "Nibiò (Nibbio? Nebbioso?) dal peduncolo rosso" (un po' come il più noto Refosco friulano, insomma, che ha il graspo rossiccio). Il problema non è di poco conto: Nibiò assomiglia senza dubbio a "Nebbiolo", ma è anche vero che si tratta di una accezione storica, riscontrabile negli archivi comunali da tempo immemore. Vero anche che, soprattutto per il mercato estero, la confusione dei nomi, generata dagli innumerevoli vitigni autoctoni italiani e dalle variegate forme dialettali che spesso cambiano di valle in valle, può essere un ostacolo alla comprensione, diffusione, notorietà dei vini stessi. In attesa che qualche organismo superiore (Ministero?) prenda una posizione, in ambito locale le diatribe sono destinate a rinfocolarsi, tra chi difende il "buon nome" (e l'acquisita notorietà) del Nebbiolo e chi vuole promuovere la nuova vita del Nibiò. Volendo fare un'analisi scevra da influenze geopolitiche bisogna dire che "Nibiò" è proprio un bel nome: breve, sincopato, morbido, memorabile, ammiccante. Il suo "problema" è che si tratta di un Dolcetto (della famiglia) e non di un Nebbiolo. E il Dolcetto, si sa, soffre di sudditanza nei confronti di Re Nebbiolo. Una sudditanza dalla quale sta cercando di uscire anche grazie a nuove iniziative come quelle legate alla particolarità del "Nibiò".