Pallido, Montepulciano Rosato, Simone Capecci.
Proprio così: questo vino si chiama “Pallido”. Non vi sono molti dubbi, da subito, sulle intenzioni di questo nome e di chi lo ha pensato. Pallido come il vino che nomina e rappresenta. Certo non siamo di fronte a un complimento. Quando si dice di qualcuno che sia pallido, di solito non significa niente di buono. In generale anche nell’ambiente più tecnico dei colori, qualcosa di pallido allude a una modalità di comunicazione timida, remissiva, introspettiva. Ed è forse in quest’ultima accezione che possiamo trovare qualcosa di positivo: un rosato con uno stile dimesso ma elegante, almeno per quanto riguarda il cromatismo. Ma vediamo cosa dice il produttore, riguardo a questo nome: “Vino rosso vestito di pallido. Pallido è il colore del vino, il massimo del pallido di cui può vestirsi un’uva rossa, guardando all’incontrario un grappolo di uva Montepulciano, vinificato in assenza di ossigeno”. Evince ma non convince, a nostro modesto parere: il pallidume è comunque una nota “grigia”. Analizzando più in generale le etichette di questo stimato produttore di Ripatransone (nelle Marche) vediamo che sono di buona fattura, pulite, eleganti, abbastanza distintive.
Al centro di ognuna di esse campeggia un simbolo rotondo che viene così spiegato dall’azienda, nel proprio sito internet: “Pochi elementi di straordinario impatto contribuiscono a definire, anche graficamente, la filosofia ed il pensiero di Simone Capecci: l’Armilla Picena, posta al centro dell’etichetta e sovrastata dal nome del prodotto rimanda, a colpo d’occhio, ad una composizione tanto essenziale quanto equilibrata, equa, armoniosa, proprio come il naturale divenire delle cose. Tracciando, immaginariamente, due rette simmetriche ed oblique che a partire dai due estremi del nome del prodotto convergono sull’Armilla Picena si crea, inoltre, una celebre figura simbolica, cara alle religioni arcaiche, che, con la sua forma ad imbuto, rappresentava per gli antichi il simbolo del ventre materno, il cosiddetto Femminino Sacro, metafora spirituale associata appunto al culto della Dea Madre e al concetto di fertilità”. Abbiamo cercato il “Femminino Sacro” in rete ma senza risultati eclatanti: molto spesso si tratta di varie rappresentazioni di un semplice triangolo. Infine ha attirato la nostra attenzione anche un altro nome di un vino di questo produttore, quello del Pecorino “Mvria”, scritto così, con la “v” all’uso di “u”, come insegnavano i latini, o meglio gli Antichi Romani (testo del produttore): “Con il termine Mvria i Romani identificavano un vino minerale e sapido, caratteristiche rigorose e preziose che contraddistinguono questo vino bianco dalle spiccate peculiarità”. Per la precisione, dicono alcuni dizionari, “mvria” starebbe per “sale marino”. Fatto sta che tra pallore e “muria” (come si dovrebbe leggere questo nome, mutando la “v” in “u”) la percezione non può essere totalmente positiva. Meglio gli altri nomi dei vini aziendali: Ciprea (Pecorino), Picus (Rosso Piceno), Tufilla (Passerina), Fedus (Sangiovese), Qvinta Regio (Montepulciano).