Blend di Rossi
(Toscana Igt), Fattoria Kappa.
Il primo vino di questa giovane azienda di Castellina Marittima (Pisa), prodotto nel 2007, si chiama “Kappa” (blendone di rossi in tema di internazionalità). In questo caso non ci si riferisce alla narrativa in stile “Cappa e Spada”, cioè a quei romanzi avventurosi di cavalieri (soprattutto francesi) che vestivano mantelli (le “cappe”) e brandivano spade, qui la “K” è proprio la lettera, o meglio la proposta di una grafica del lettering in stile, questo sì, Suprematismo Russo (si dice questo in rete).
Poi, nel tempo, grazie all’opera instancabile (e a quanto pare encomiabile dal punto di vista qualitativo) dell’enologo Andrea Di Maio, sono arrivati anche i vini che si chiamano “Lambda” e “Etabeta”, anch’esse lettere dell’alfabeto greco. Il fatto più evidente di questo packaging è che la rotondità della bottiglia impedisce la lettura completa di questi nomi redatti con lettere decisamente maiuscole. Per cui la sensazione è quella di essere di fronte a fonemi dalle caratteristiche gutturali. Andando oltre e prendendo in visione l’etichetta come entità di design, quello che traspare con forza quasi imperativa è uno stile che vuole essere moderno, di rottura, alternativo, avanguardista, sfrontato, ma che infine risulta poco adatto al prodotto vino, non affine, non amalgamato ad una attività, sia pure recente e gestita da giovani, che pesca pur sempre nel retaggio culturale della vite in una delle regioni, letteralmente “storiche”, d’Italia. Si vuole forse dipingere una Toscana emancipata, dimenticando che il prodotto vino rimane un terminale di desiderata tradizionalisti. E quindi lo “sparo” modernista potrebbe non funzionare a dovere.
Poi, nel tempo, grazie all’opera instancabile (e a quanto pare encomiabile dal punto di vista qualitativo) dell’enologo Andrea Di Maio, sono arrivati anche i vini che si chiamano “Lambda” e “Etabeta”, anch’esse lettere dell’alfabeto greco. Il fatto più evidente di questo packaging è che la rotondità della bottiglia impedisce la lettura completa di questi nomi redatti con lettere decisamente maiuscole. Per cui la sensazione è quella di essere di fronte a fonemi dalle caratteristiche gutturali. Andando oltre e prendendo in visione l’etichetta come entità di design, quello che traspare con forza quasi imperativa è uno stile che vuole essere moderno, di rottura, alternativo, avanguardista, sfrontato, ma che infine risulta poco adatto al prodotto vino, non affine, non amalgamato ad una attività, sia pure recente e gestita da giovani, che pesca pur sempre nel retaggio culturale della vite in una delle regioni, letteralmente “storiche”, d’Italia. Si vuole forse dipingere una Toscana emancipata, dimenticando che il prodotto vino rimane un terminale di desiderata tradizionalisti. E quindi lo “sparo” modernista potrebbe non funzionare a dovere.