Chardonnay, Canonica Vini.
Quando abbiamo visto questa etichetta la prima intenzione è stata quella di passare oltre. Poi è subentrata la tentazione. L’irrefrenabile tentazione di cercare di analizzare gli elementi che la compongono. Ed eccoci qua. Si nota subito una fotografia, al centro. Molte persone attorno a un carro tirato da buoi, in una vigna. Una scritta in alto a destra (una didascalia, di fatto) recita: “la vendemmia del nonno Venanzio”, testuale. Testimonianza storico-culturale che potrebbe anche piacere. Ma il meglio deve ancora venire. La fotografia è contornata da un getto di colore (a sinistra) che va a finire sul logo/nome dell’azienda. Osservando bene, si può notare una linea di separazione in oro che scaturisce da un grappolo d’uva. Con un acino di questo grappolo viene formata l’iniziale (non una “O”, bensì una “C”) di Cavalier, seguito da Cesare Canonica, il fondatore (che subentra agli avi nella più recente storia aziendale). In alto le scritte di legge e la precisazione “Vino Biologico”. Non possiamo pronunciarci sulla reale efficacia di un’etichetta di questo tipo perché non abbiamo dati commerciali effettivi. Certo che l’impatto visivo è di quelli che trasmette una certa “anzianità”, definibile anche come “arretratezza”, ove il restare indietro significa non riuscire a sfruttare (o rinunciare scientemente a farlo) le potenzialità che comunque la tradizione e la cultura contadina popolare potrebbero apportare. In questo modo si perpetuano le parti deboli di questo aspetto e non quelle positive che potrebbero incidere nella costruzione di una efficace identità aziendale.