Il Nebbiolo Aiuta a Sognare Sotto le Stelle
L’Estro Che Fa da Maestro
Estrosa, Viognier,
Cos’è l’estro? Parola desueta che però ogni tanto emerge dalle parlantine, soprattutto di chi frequenta il mondo dell’arte o della scrittura. L’estro creativo è una caratteristica personale che probabilmente non si può apprendere, risulta innata. Ma le ricerche in questo campo sono complesse e sono ancora in corso. Se ne occupano, ad esempio, i ricercatori del Mental Research Institute (MRI) di Palo Alto in California. Noi, più umilmente, ma ugualmente con piglio professionale, ci limitiamo a osservare le creazioni del packaging e del naming. Questo vino si chiama “Estrosa”. Fa chiaro riferimento a una impersonificazione del prodotto con una ipotetica donna, dal fascino esuberante, eclettico, fantasioso. Non è un vino frizzante, quindi l’estro non viene riferito alle bollicine. Estrosa è anche l’etichetta in senso estetico: abbiamo un fondo verde psichedelico con trame grafiche che ripropongono i petali della rosa protagonista del marchio aziendale. Lo vediamo in alto, in piccolo, come uno stemma, in color rame rilucente. Tutto sommato un packaging ordinato, elegante, sia pure otticamente molto vistoso grazie al croma catarifrangente. L’azienda si presenta anche nel sito web con molte cromie e fa del colore una delle proprie caratteristiche comunicative. Estrosi ed efficaci.
Lo Spumante di Bertoldo
Un Frizzantino e il Suo Contrario
Anablà, Bianco Frizzante, Tre Monti.
Il nome di questo vino potrebbe sembrare una specie di formula magica, un “abracadabra” più sintetico e diretto, oppure una forma dialettale, un modo di dire, l’inizio di una filastrocca… e invece è molto più semplice, si tratta di “Albana” (il vitigno) scritto al contrario (e con l’aggiunta di un accento). Si sa che i romagnoli sono scherzosi, giocano con allegria e con le parole (visitare il sito aziendale, sezione “gli uomini” per credere). E di fatto anche il prodotto in questione è giocoso: un “frizzantino” con il tappino che invita alla bevuta rapida e gioiosa. Magari con qualche gnocco fritto e salumi. Anche il design dell’etichetta si inserisce nel filone “easy life”: etichetta “nuda”, super trasparente, con delle bolle evanescenti sulla sinistra (che potrebbero essere anche acini) e il nome del vino scritto con un carattere fumettoso e spigliato. Il produttore è Tre Monti, composto da un papà e due figli, ognuno con le proprie mansioni e responsabilità. Forse i tre monti sono proprio loro, oltre a una effettiva morfologia di zona che evidenzia tre colline. Tradizione e innovazione qui vanno a braccetto. Anche per quanto riguarda le etichette.
Autoctono Come Sinonimo di Originale
Panzale, Berritta.
Questa volta il nome a cui prestare attenzione è quello del vitigno (che corrisponde a quello del vino in questione). Infatti si tratta di un caso particolare: Berritta (nomignolo del produttore Antonio Fronteddu) è l’unica azienda in Italia a vinificare queste uve autoctone della zona di Dorgali in Sardegna (ma presenti anche in Spagna). Il nome “Panzale” (detto anche “Pansale”) potrebbe avere affinità con “Pascale” ovvero pasquale, dove per Pasqua si intende in generale un giorno di festa. Oppure, ancora più verosimile, si tratterebbe di “un vitigno ottimale per farne uvetta (passa)”, dal catalano “panses”. Queste uve in passato venivano utilizzate a tavola o fatte appassire per ricavarne un nettare dolce e festoso, quello delle occasioni speciali. Per la cronaca ampelografica in Sardegna viene chiamato anche Monica Bianca. A parte tutto questo, doveroso in termini storico-culturali, l’etichetta si fa notare per uno stile artistico attenzionale e simpatico: vediamo la sagoma di un pesce collocato su un altro ovale arancione che potrebbe essere un sole piuttosto che la forma di un mascherone tipico sardo. L’illustrazione è stata realizzata ad opera di un artista locale, Maurizio Brocca. Si tratta di un packaging semplice, diretto, lineare, ordinato. Che presenta però una nota creativa (l’illustrazione) che domina e conduce il gioco della comunicazione.
Altezze che Contano e che Fanno i Numeri
N°1 - Numero Uno, Nebbiolo, Plozza.
E’ possibile essere un “numero uno” senza doverlo affermare? In certi casi si direbbe di sì. Ma proclamandolo con forza funziona ancora di più. E’ il caso di questo Igt (un quasi Sfursat di Valtellina) di Plozza Wine Group che esce allo scoperto con una livrea preziosa ed essenziale, un design di sintesi che dimostra un’eleganza “armaniana”. Certo non dev’essere stato facile decidere di autoaffermarsi come il non-plus-ultra (che sarebbe stato proprio un bel nome). Ci vuole una certa dose di autostima, nonché il coraggio delle proprie azioni, che in questo caso si sono manifestate con la produzione di un vino che ambisce chiaramente ad essere un top di genere, oltre che un top di gamma. I colori dell’eleganza, qui utilizzati, sono il nero e l’oro. Sobrietà e ricchezza allo stesso tempo. Ma l’espressione, la comunicazione più incisiva è quel “N°1” così presente, così protagonista, così “unico”. Si potrebbe dire che l’uno (l’1) è il Re dei Numeri. Ed è anche trino: in primis esprime la propria unicità, troneggia una ipotetica classifica e infine è anche di forma stilosa, per quanto è filante, alto e magro, perfetto sotto ogni angolatura. Per quanto riguarda il packaging “delle forme”, anche la bottiglia si distingue con grande slancio. E la confezione abbinata diventa oggetto di desiderio per la sua carismatica altezza. Tutto sommato siamo nella zona del Nebbiolo della Alpi: l’eleganza del packaging non è scontata, l’altezza delle cime e dei vini, invece, viene naturale.
Un Abbraccio Virtuoso al Vino Bergamasco
Ars Magna Per Bere Bene
Sull’Onda di un Design Innovativo
MareMosso, Bombino, Torrevento.
Secondo quanto affermato dal produttore nel proprio sito web, “MareMosso” è una “linea di vini frizzanti dal packaging giovane e innovativo”. E siccome in questo blog si parla proprio di packaging… parliamone. Innanzitutto notiamo la simmetria fonetica tra MareMosso (nome di linea) e Torrevento (nome del produttore): due parole composte a loro volta da due parole. Nella prima al mare viene affiancata la caratteristica “mosso”, nella seconda a una torre viene abbinato il vento. Si tratta di due conseguenze logiche che funzionano bene anche nella pronuncia. Inoltre, il mare mosso stimola ricordi e quindi genera memorabilità: in etichetta il processo cognitivo viene facilitato dalla presenza di un’onda (grafica) molto visibile, collocata su un design particolare, trasparente, che lascia la bottiglia quasi nuda. L’effetto è un po’ quello delle bottiglie di acque minerali ma diciamo pure che riesce a sorprendere, ad attirare l’attenzione. Si diceva all’inizio di questo post che il packaging di questi vini è “giovane e innovativo”. Possiamo dire che è più innovativo che giovane, ma di fatto questi due aggettivi si rincorrono e si confermano a vicenda. Con un nome così ne consegue un preciso indirizzo di consumo: estate, mare, pesce, easy going. Il marketing è servito e, quando ben pensato, funziona.
Perle Nascoste Destinate ai Fortunati
Sigle da Codice Segreto in Alto Adige
Come Shine or Come Rain alle Cinque Terre
Burasca e Bunassa, Cinque Terre,
Facile e al tempo stesso simpatico il gioco interpretativo di questi due nomi di vini bianchi liguri. Siamo nelle Cinque Terre dove Albarola, Bosco e Vermentino la fanno da padroni sulle scoscese vigne sul mare. “Burasca e Bunassa”, sia pure di origine dialettale, sono due nomi facilmente intercettabili e traducibili come burrasca e bonaccia, situazioni marittime estreme e agli antipodi. La simpatia dei nomi è dovuta anche al buffo personaggio fumettato che è protagonista al centro delle etichette. Evidentemente si tratta del viticoltore, in una delle sue vigne a picco sul mare, che con ogni tipo di condizione meteorologica accudisce i tralci per ottenere a fine stagione l’agognato risultato: il vino. Anzi, un ottimo vino. La burrasca viene rappresentata da colori forti e cromatici, il rosso su tutti. La bonaccia con colori freddi e pacati, come l’azzurro. L’effetto è quello desiderato: comunicare con allegria un prodotto, il vino, che è proprio figlio e fonte di convivialità e serenità. O almeno così dovrebbe essere. E se non è un cuor contento, in partenza, il viticoltore, come potrà essere buono e gaudente il vino?
Maccheroni e Montepulciano Sotto al Gran Sasso
Campo Affamato, Montepulciano d’Abruzzo, Inalto.
Il concetto di vini d’altura viene subito espresso nel nome dell’azienda: Inalto (tutto attaccato). Certo manca un po’ di poesia, la comunicazione è diretta, non lascia spazio a interpretazioni diverse da quello che è. A volte è un pregio, essere diretti. Siamo in Abruzzo, nel comune di Ofena (L’Aquila) sotto al Gran Sasso. Le vigne sono posizionate tra i 400 e gli 800 mt. slm, quindi si può davvero parlare di vini che nascono in alto, peculiarità che sta diventando pregio, visti i cambiamenti climatici in atto. Il vino che andiamo a rappresentare e a commentare si chiama “Campo Affamato”, nome che incuriosisce. Si potrebbe pensare a un legame con la tavola, con la pasta in particolare, visto che il titolare dell’azienda è Adolfo De Cecco, sì proprio i De Cecco che dal 1886 producono pasta di grano duro (a partire dal fondatore, Filippo De Cecco, che impiantò il primo laboratorio a Fara San Martino). E invece Campo Affamato non c’entra con i maccheroni: si tratta dell’antico nome del vigneto, attribuito dai vecchi contadini del luogo, dove crescono le uve di Montepulciano d’Abruzzo impiegate per questo vino. Il sito web in proposito dice “un vigneto particolarmente espressivo, chiamato così per via del terreno poco concessivo per altre colture ma ideale per la vite”. L’etichetta, che deve rappresentare, va detto, un vino piuttosto costoso, sui 40 Euro, è tutto sommato semplice: fondo scuro, il nome del vino in alto in grande evidenza, il nome dell’azienda in basso seguito dalla dicitura: “vini d’altura di Adolfo De Cecco”. Spicca la frase in rosso che specifica il vitigno e la Doc. Viene infine comunicato il numero di bottiglie prodotte. Senza infamia e senza lode.