Tribàle, Blend Rifermentato, Tosca.
Il produttore definisce questo vino come “divertente”. Dice che si sono divertiti a realizzarlo e che immaginano il divertimento al consumo, conviviale e spensierato. Da parte nostra ci siamo divertiti ad analizzare il nome del vino. Questo “rifermentato naturale”, prodotto con tre vitigni bianchi, si chiama “Tribàle”. Per chi non conosce il dialetto bergamasco (siamo in zona Valcalepio) la parola porta a qualcosa relativo ad antiche tribù, a religioni agnostiche, e anche a tutta l’area dei tatuaggi. Ma… sopra al nome in questione notiamo tre “palle” (tre sfere che rappresentano tre acini d’uva) e se scopriamo che in dialetto bergamasco “tre palle” si dice “tri bàle”, il gioco è fatto. Proprio così, perchè di gioco di parole si tratta. Forse poco elegante ma efficace nell’accostare il significato alla modalità produttiva (tre diversi vitigni bianchi). Certo che le sfumature legate alle “bàle” possono essere anche altre, soprattutto se le sfere dovessero essere due (ma qui sono tre, quindi stiamo tranquilli). Del resto l’etichetta è pulita, ben impaginata, costituita da pochi elementi d’impatto: una “stracciatura” in alto, originale, i tre acini dorati (in forma illustrativa grezza), il nome del vino (che volutamente, con dimensioni diverse delle lettere, fa notare il gioco di parole) e infine la dicitura “frizzante col fondo” alla base. Stop. Tappino d’ordinanza in metallo e fascetta con logo aziendale sul collo della bottiglia. Naming e packaging giocherelloni ma con un buon senso, considerati la basicità del prodotto e il target di consumo di stampo birraiolo.