Sylvaner, Kuen Hof.
Cosa si può dire del carattere degli altoatesini? Essenziali, rigorosi, geometrici. E delle loro etichette? Si direbbero le medesime cose. Prendiamo come esempio virtuoso (nel senso che è in grado di confermare le nostre elucubrazioni) l’etichetta di questo Sylvaner della piccola ma prestigiosa cantina Kuen Hof: nulla viene lasciato al disordine creativo. Su un tassello grigio, in verticale, leggiamo il nome dell’azienda. Disassato sulla destra. In alto a sinistra alberga un rombo dorato in prossimità dell’annata di vendemmia. Alla base le scritte di legge con la Doc (in tedesco) e le altre consuete diciture. Tutto molto lineare, inquadrato, graficamente pulito. E l’eleganza? Probabilmente risiede tutta nel vino, e questo va molto bene per il concetto di qualità che da quelle parti è molto elevato. Si tratta quindi di un packaging che appaga le aspettative di chiarezza e serietà, ma che sullo scaffale stenta a farsi notare. I colori tenui non colpiscono, se non le parti in oro. La composizione e disposizione delle forme non colpisce, anzi disturba un po’ quella voglia di non centrare gli elementi per vezzo realizzativo ma senza un vero strappo creativo. Arte moderna? Possibile. Visioni futuribili? Probabile. Ma è come se si percepisse la mancanza di qualcosa. Un elemento non certo riempitivo, laddove la semplicità paga sempre. Bensì la mancanza di un’idea, di un sostegno comunicativo, di un fulmine a ciel sereno. Ah, già, siamo in quella parte d’Italia che non fa troppo parte dello stivale, inteso come fucina di genio e sregolatezza.