Le Famose e Formose Pesche dell’Idaho

Ida Peach, Sangria, Holesinsky Winery.

Questo produttore di vini ha sede in Idaho, uno degli Stati Uniti meno conosciuti. Si trova nel Nord-Ovest e confina con il più noto (anche per il vino) Oregon. Questa azienda si chiama Holesinsky, dal cognome della famiglia che tutt’ora la gestisce. Produce Viognier, Sirah, Pinot Gris, Chardonnay e altri nettari da vitigni vari, ma ha in gamma anche questa curiosa Sangria a base di pesche. Curiosa innanzitutto come tipologia di prodotto, ma soprattutto per la sua etichetta, molto, per così dire, campagnola. Nell’illustrazione che domina il packaging, una giovane donna stivalata “cavalca” la sagoma dello stato dell’Idaho, reggendo tra le mani due enormi pesche. Va da sé che l’allusione è dietro l’angolo. Anzi, è proprio davanti agli occhi. Lo stile provocatorio continua e viene così confermato nella scheda relativa a questo “succo” che troviamo nel sito internet del produttore, che recita così: “Step right up and enter the world of rebellious peaches! Ditching the cans, these bottled peaches offer a wild and juicy adventure, with no judgment for letting their sweet nectar dribble down your chin. Embrace the liberation, savor every drop, and toast to the sticky, delicious mess they create!”. La bottiglia reca il nome “Ida Peach”, probabilmente da “Idaho” e non dal nome proprio che si usa anche in Italia “Ida”. L’etichetta, certamente, si fa notare. L’eleganza della comunicazione si fa un po’ desiderare. Ma probabilmente per il target preposto l’attrazione è fatale.

Colori e Sapori si Mescolano in una Spiaggia dell’Oregon

Big Salt, Orange Wine, Ovum Wines.

Molta sintesi e anche tanta originalità nell’etichetta di questo “orange” che viene dall’Oregon (Usa). A dire il vero i suoi produttori lo qualificano come un “orange-rosé”, stabilendo una peculiarità aggiuntiva (forse davvero unica al mondo) a quanto già di sorprendente si può trovare in questo prodotto. Ecco come viene definito questo vino, dall’azienda produttrice (nata nel 2011 ad opera di Ksenija e John House), nel suo retro-etichetta: “Big Salt ‘Orange Rosé’ is a dry wine that captures the feeling of a sunset at the beach - vibrant colors rising with the perfume of the salty air. The wine is blended from white varieties that are fermented on their skins, which impart colors and flavors that range from hibiscus to tangerine. The combination of orange and rosé wine adds diversity of aromatics and texture, while creating a flavour profile that tastes similar to how the wine looks. Salud!”. Veniamo al nome e alla grafica, molto semplici ma anche molto impattanti: “Big Salt” sa di titolo di film americani, e sottolinea certamente la salinità del vino. La grafica evidenzia colori da tramonto sullo sfondo di un’onda stilizzata che fa molto estate e battigia (la cresta dell’onda potrebbe sembrare anche la pinna di un pescecane, ma questo aggiunge opportunamente tensione alla comunicazione).

Grappoli Siciliani da Riconoscere a Occhi Chiusi

A occhi chiusi, blend di bianchi, Alberia.

Questa piccola e recentissima cantina siciliana di Marsala, si chiama “Alberia”. Gli alberi non c’entrano se non i tralci di vite, naturalmente. Il nome deriva dall’unione dei due nomi di battesimo dei titolari, Alberto e Nuria, che così si raccontano nel loro sito internet: “Siamo approdati al mondo del vino alla soglia dei cinquanta anni, quasi per caso, e ne siamo rimasti rapiti. Abbiamo iniziato da zero, senza terra. Al momento collaboriamo con alcuni produttori di fiducia che ci forniscono uva coltivata nel rispetto della natura e del territorio. Il Catarratto viene da Alcamo ed il Grillo da Marsala. Facciamo il vino con uve raccolte a mano, fermentate da lieviti indigeni, che si trovano sull’uva e nell’atmosfera di cantina. L’unica cosa che aggiungiamo all’uva nella vinificazione è il nostro lavoro e la conoscenza, con i quali cerchiamo di interpretare l’annata. Vogliamo fare un vino sincero, senza alcun tipo di artificio”. Fin qui il progetto. E per far nascere un progetto serve innanzitutto un’etichetta, una bella etichetta. E Alberto e Nuria l’hanno fatta: sfondo bianco con una spruzzata di colori, di macchie, che rappresentano un grappolo. Semplice, artistico e bello. E anche originale se non fosse che il grappolo d’uva sulle etichette viene comunicato spesso. Ma la modalità che ha scelto Alberia, per queste e per le altre etichette in gamma (con altri colori) è davvero originale. E il nome del vino? “A occhi chiusi” vuole esprimere il desiderio di rendere il territorio riconoscibile al gusto e all’olfatto. Ed ecco qui realizzati un packaging e un concetto che meritano di essere complimentati e incoraggiati. Avanti così!

Un Refosco Diabolico ma Anche Simpatico

Ronc dal Diaul, Refosco (dal Peduncolo Rosso).

Attorno al nome di questo produttore (che diventa anche nome di linea per una serie di vini) si avviluppa una leggenda locale. Inizia tutto dal Ponte del Diavolo (Puìnt dal Diàul in dialetto) di Cividale del Friuli, e inizia tutto nel lontano 1442! Il ponte, che attraversa il fiume Natisone, è diventato un simbolo di quella zona. Narra le leggenda che gli abitanti del luogo, per facilitare la costruzione del ponte (alto oltre 22 metri e che presenta una ardita architettura che poggia su un grande masso al centro del fiume) si rivolsero al Diavolo che chiese in cambio di poter prendere l’anima del primo essere vivente che avesse attraversato quel ponte. Gli abitanti del paese fecero transitare un maiale e così ingannarono il Diavolo. L’azienda produttrice di questo vino stabilisce i propri vigneti proprio nei pressi del ponte e per questo decide di chiamarsi “Ronc del Diaul” laddove “ronc”, in dialetto friulano è la sommità collinare meglio esposta del vigneto. In etichetta, sotto al nome scritto con un carattere medievale, troviamo un mascherone diabolico che incute terrore ma al tempo stesso fa anche simpatia: una specie di maschera carnevalesca. La spigolosa etichetta può contare su una carta di fondo spessa al tatto e su inchiostri in rilievo. Alla base l’annata e il nome del vitigno. Nel complesso il packaging frontale attira l’attenzione e può vantare quindi un’ottima memorabilità.

Da Troia alle Coste Pugliesi è un Volo

Nero di Troia, Dacastello.

Come accade ancora spesso in Italia, il nome di questo vino corrisponde al nome del vitigno (o viceversa): “Nero di Troia”. Partiamo quindi da qui, riportando il breve racconto che troviamo nel sito internet dell’azienda proponente: “La leggenda narra che Diomede, il mitico eroe greco, di ritorno dalla guerra di Troia navigò per il mare Adriatico fino a raggiungere il fiume Ofanto, dove ancorò la nave con alcune pietre della fortezza troiana. Trovando il luogo piacevole e fertile, Diomede decise di piantare i tralci di vite portati con sé a ricordo dalla lontana città di Troia. E fu così che in Puglia prese vita il Nero di Troia”. Si tratta di uno dei vitigni autoctoni simbolo della Puglia. Dove, nonostante la latitudine, nel profondo sud d’Italia, dominano i vini rossi (e anche i rosati, a dire il vero). Originale la conformazione dell’etichetta: la carta è “strappata” in alto e in basso, il fondo è un grigio-perlato-argentato dal quale emerge una antica mongolfiera (che non collima con i racconti della mitologia greca, però è bella). In evidenza in rosso l’Igt Puglia e in basso il nome/logo dell’azienda, in oro, poco leggibile. Non si tratta di un produttore vero e proprio, bensì di un selezionatore che poi rappresenta e commercializza in Italia e nel mondo. Vino di consumo quotidiano, ma con un suo stile.

Il Vermut (o Vermouth) che sa di Antico

Antich, Vermouth.

Chissà se è proprio vero che questo è il “primo vermouth di Barcellona”. Sarà stato il primo in ordine temporale (1850) oppure “il primo” viene inteso come leader delle vendite? Non sappiamo, ma potrebbe essere un valido equivoco di marketing. Etichetta dagli stilemi antichi, e come negarlo se questo prodotto, per di più, si chiama “Antich”? A prima vista tutto è collegato (il riferimento all’antichità, alla tradizione, alla storia). Poi leggendo bene si scopre che il nome è dovuto al fondatore dell’azienda, Anton Antich. Anche in questo caso l’equivoco è dietro l’angolo. Quello che importa è che questa, nel suo genere, è una bella etichetta. Studiata nei minimi particolari. Possiamo accennarne qualcuno: in alto vediamo uno stemma con una grande “A”, logo dell’impresa; sotto al nome (cognome del fondatore) viene evidenziato che la Casa è stata fondata nel lontano 1850 (ottimo), nella cornice arabescata, in basso a sinistra, scorgiamo un grappolo d’uva (il Vermouth o Vermut è un vino liquoroso, per cui c’entra sempre l’uva, di base). In basso nella parte argentata del packaging vediamo la riproduzione della firma autografa del fondatore poco sopra alla precisazione “Vermouth Original”. E infine tre tranquillizzanti parole: Bio - Organic - Eco (per chi fosse duro d’orecchi). Nel complesso un bel lavoro di precisione che unisce una ricerca concettuale di marketing con la sua effettiva manifestazione in etichetta. L’allure di Barcellona fa il resto.

Un Guerriero Orgoglioso della Sua Terra

Guerriero della Terra, 
Montepulciano e Sangiovese, 
Az. Agr. Guerrieri.

Il “gioco” creativo di questo nome, Guerriero della Terra, nasce logicamente dal nome stesso dell’azienda, cioè dal cognome della famiglia fondatrice e proprietaria: Guerrieri. In questo caso il Guerriero della Terra è un vino rosso, da Montepulciano (d’Abruzzo) e Sangiovese, mentre in gamma abbiamo anche, specularmente, un Guerriero del Mare a base Bianchello. Sono due vini che vengono prodotti in edizione limitata, da vigne vecchie, solo in annate particolarmente favorevoli e con vendemmie tardive. L’analisi dell’etichetta a prima vista sembra facile: carta di fondo spessa al tatto, colore avorio, il nome del vino in alto (con un carattere corsivo, anticante), il millesimo della vendemmia al centro in rosso, e in basso il nome dell’azienda (da notare “agraria” invece del consueto “agricola”). Etichetta efficace? Si fa notare? Oppure la sua semplicità conduce a una eccessiva sobrietà di sensazioni e di intenti? L’eleganza c’è, non vi è dubbio. Certo che mancano elementi (grafici, illustrativi) emozionali che vengono rimandati al solo nome del vino, che sicuramente è evocativo. Il suo nome dice che questo vino è forte e fiero, e appartiene alla terra, a quella terra dove matura l’uva che lo compone. Il tutto con orgoglio contadino, certo, ma anche con un alone di storia e tradizione che in questi casi non guasta.


Un Fiore Canterino dall’Australia con Fulgore

Spring Release, Cabernet Franc, 
Penley Estate.

Stiamo parlando di un produttore lontano, molto lontano (dall’Europa). Questa azienda infatti si trova nel sud dell’Australia, tra Adelaide e Melbourne. Laggiù si danno da fare per cercare di uguagliare la qualità enologica del Vecchio Contienente. E a volte ci riescono molto bene. In questo caso abbiamo un Cabernet Franc vinificato da una enologa giovane ma già molto nota nella sua terra: Kate Goodman. L’etichetta di questo vino colpisce. Per la forte nota cromatica di un rosso acceso su fondo blu cielo, certo. Ma anche per la forma della fustella (la carta dell’etichetta, in pratica), perfettamente tonda (tra le forme più difficili da incollare sulla bottiglia). Il nome del vino è semplice: “Spring Release” che sicuramente fa riferimento al periodo dell’anno in cui il vino viene imbottigliato e “rilasciato”, cioè messo in vendita. Tornando alla grafica, come si può evitare di notare quel fiore scarlatto che assume sembianze umane e parla e grida o ride e canta con una bocca femminile? Nello stelo, in basso, accenna anche a delle snelle braccia con movenze danzanti. E’ la danza e il canto della primavera che ogni anno suona la sveglia alla natura e agli uomini e alle donne che amano il buon vino e la convivialità. P.S.: il nome dell’azienda, Penley è una fusione dei cognomi dei due fondatori: Judith Anne Penfold e Reginald Lester Tolley.

Profumo di Champagne dalle Parti di Mailly

N.5, Champagne, Lucien Roguet.

Non stiamo parlando di un famoso profumo, anche se la sobria ma elegante etichetta potrebbe appartenere a quella categoria. Il nome del vino, poi… è proprio “N.5”! A discolpa del produttore di questo Champagne Rosé possiamo dire che nella propria gamma propone anche un N.1, un N.2, un N.3 e così via fino al N.6, secondo tipologia. Tornando all’etichetta troviamo un valido collegamento cromatico-produttivo nel colore di fondo (quasi un salmone, ma tendente al carminio), sul quale vengono impressi i caratteri del nome del produttore, in primo piano e nella parte bassa il nome del vino con la specifica “rosé”): questo Champagne infatti viene prodotto con i classici vitigni della tradizione, Pinot Noir, Chardonnay e Pinot Meunier, ai quali viene però aggiunto il 10% di Pinot Noir vinificato in rosso e affinato in legno. Ad ottenere quindi in questo modo la colorazione rosata di queste bollicine. Un’altra particolarità di questo produttore è che in origine, quando l’attuale erede Samuel, che ha ripreso in mano le redino dell’attività di famiglia, avrebbe voluto chiamare l’azienda, Pol Roguet, onorando il nome di suo padre. Ma in questo modo ci sarebbe stata una indubbia somiglianza con il celebre marchio di Champagne Pol Roger, e probabilmente qualche noia legale. Si decise quindi di andare a ripescare il nonno Lucien per battezzare l’azienda “Lucien Roguet”. Curiosità, tecniche e aneddotiche, che contribuiscono al racconto e alla memorabilità del prodotto, unitamente a quello che a livello qualitativo e gustativo riuscirà a imprimere.

Una Leggerezza che Vola Alto

GioCa, Roero Arneis, Az. Agr. Rabino.

Si tratta di un’azienda famigliare che affonda le proprie radici nel Piemonte del Roero, alla sinistra geografica del Tanaro, il fiume che “decide” dove è Nebbiolo e dove il resto del mondo. Ma insomma anche il Roero, al di là del fiume, come vini e paesaggi, si difende bene. E propone, in contrappunto con le Langhe, un bianco che si sta sempre più affermando, l’Arneis. Bella questa etichetta che fa volare e sognare: una flottiglia di mongolfiere colorate si perde nel cielo di uno sfondo cartaceo (l’etichetta vera e propria). Al centro troviamo il nome del vino: “GioCa”, volutamente con la “G” e la “C” maiuscole per dedicare l’opera vinicola di oggi ai due antenati Giovanni (1930) e Carla (1933). Bello il rispetto per gli avi che viene a creare un altrettanto bel significato, l’invito a giocare, a vivere e godere la vita in leggerezza (“che leggerezza non è superficialità, ma vedere le cose dall’alto…” - Italo Calvino). Per questo le mongolfiere, che danno ugualmente un senso giocoso e gioioso. Sotto al nome del vino e a quello del vitigno, troviamo lo stemma di famiglia, riguardo il quale il produttore scrive: “La nostra storia ha un ruolo centrale nel definirci, perché riecheggia il “buon senso” contadino, un legame con il territorio che dura da secoli. Per questo motivo in etichetta abbiamo scelto di mantenere lo stemma della nostra famiglia. Al centro, tre colline simboleggiano i tre fratelli fondatori dell’azienda. Sopra un elmo e un’alabarda ricordano invece le nostre origini medievali. Lo stemma è rappresentato anche sul muro della cantina, assieme al nostro motto storico: “Docet Ducit”, insegna e conduci.” Tutto molto bello e sincero.

L’Extra Brut degli Extra Terrestri

Ultreïa, Cremant de Limoux, Baptiste Gazeau (Maison Antech).

Stiamo parlando di bollicine, per semplificare. Metodo Champenoise, insomma come lo Champagne ma in una zona molto più a sud (Francia) e con un vitigno semi-sconosciuto e tipico unicamente della zona di Limoux, il Mauzac (sfumature mediterranee con ricordi di cedro, finocchio e anice… ma queste sono cose da sommelier impallinati). Il vino è fresco e “scorrevole”, dice chi lo ha assaggiato. Ma noi, in sostanza, qui ci occupiamo del suo vestito, del suo nome e della sua etichetta. Il nome del vino è “Ultreïa” cioè “avanti con coraggio, fino alla meta”, un’espressione latina di gioia ed incoraggiamento che veniva rivolta ai pellegrini durante il Cammino di Santiago (che si può trovare anche scritto come Ultreya e Suseya o Ultrella et Susella). Limoux infatti è una delle tappe del percorso in territorio francese, dove Baptiste, figlio di vigneron che producono dal 1860, ha scelto di puntare sulla freschezza e sulla nobiltà contadina delle bollicine. La gran parte dell’etichetta è occupata da una illustrazione molto cromatica ma anche enigmatica. Tre sagome in cammino (camminatori verso Santiago? Extraterrestri?) sovrastate da palloni aerostatici (meduse? Pianeti lontani?) e inserite in un ambiente post-atomico. Bisogna avere fede. E versare il vino.

Il “Milanese di Collina”, Campione Olimpionico di Spada

Franco Riccardi, Merlot e Cabernet,
Nettare dei Santi.

Questo vino è una rarità per diverse ragioni: viene prodotto al massimo (nelle annate migliori) in 14.000 bottiglie, le uve provengono dalle vigne di una piccolissima Doc in provincia di Milano (I,G,P. “Collina del Milanese”) ed è dedicato a un grande campione (che è stato il fondatore della cantina stessa). Nella scheda del produttore che troviamo nel sito internet dell’azienda, leggiamo: “Questo grande vino è stato prodotto per celebrare il centenario della nascita di Franco Riccardi, Campione Olimpico di spada nel 1928, 1932 e 1936, fondatore dell’Azienda Nettare dei Santi”. Un omaggio a uno sportivo che amava il vino. In etichetta infatti troviamo i cinque cerchi olimpici, quattro medaglie, la firma autografa del campione e la dicitura “olimpionico medaglia d’oro di spada”, in rosso, sotto al suo nome. Alla base, in oro su fondo nero, l’evocativo nome dell’azienda, laddove il nettare è sempre stato qualcosa di succulento e i Santi qualcosa di molto rispettabile (almeno in Italia). Il vino, per di più, si dimostra alquanto nettarino, con un residuo zuccherino superiore alla media (per quanto riguarda la categoria dei vini rossi corposi). Etichetta insolita, celebrativa, ma con un cura e una percezione di storicità, preziosità e tradizionalità.