Il Falchetto, azienda vitivinicola di Santo Stefano Belbo, ha chiamato il Moscato d'Asti ivi prodotto, Ciombo. Proprio così: "Ciombo". L'abbiamo scritto due volte per consentire alla mente di ognuno (meglio ancora pronunciarlo "a voce") di analizzare le sensazioni "fonetiche" che la dizione trasmette. "Ciombo", un po' come "tonfo" e come "floscio", ma anche, per etimo "indotto", come "inetto": tipo "quel tuo amico mi sembra un po' ciombo". Ma si potrebbero fare molti altri esempi e derivazioni. Serve anche aggiungere, quindi, che il nome "Ciombo" non collima per niente con l'eleganza del vino che viene chiamato a nominare: si tratta di un gentile, profumato, suadente Moscato d'Asti, come la descrizione del produttore, nel sito aziendale, conferma: "...al naso ha grandi sentori di fiori freschi...", Ciombo; e "nel finale una vena citrina rinfrescante...", Ciombo. "La sua dolcezza e aromaticità di sposano bene con dolci e paste...", Ciombo. Insomma, ogni volta che si pronuncia "Ciombo" il castello di carte cade. E questo, di certo, non è un buon viatico per una comunicazione emotivamente pregnante. A latere aggiungiamo altri due "sorprendenti" nomi rinvenuti nella gamma di questo produttore piemontese: Soulì Broida (!), Pian Scorrone (!!) e tra gli altri anche "Incompreso". che in un certo senso chiude il discorso.