Non avrebbe bisogno di visibilità e di celebrità questa "colonna" del Barolo, produttore delle Langhe noto e apprezzato in tutta Italia e nel mondo. Ma ci prendiamo volentieri la briga di analizzare la sua comunicazione "labellare", cioè la sua collezione di etichette che in fin dei conti è come lui ha deciso di presentarsi ai consumatori del suo prezioso nettare. Si nota subito la "deriva azzurra" della gamma Barolo con il logo in alto e il nome del vigneto "cru" al centro. Un azzurro ciano, come tecnicamente si chiama l'azzurro acceso, nemmeno un blu di quelli "contenuti". Merita una riflessione questa nota cromatica azzurra, insolitamente abbinata al re dei vini austeri d'Italia. Inoltre il nome del "cru" in azzurro chiaro (di fatto il nome del vino, il nome con il quale distinguere proprio quella bottiglia) può creare problemi di leggibilità in luce moderata. Salta anche all'occhio, al conscio e all'inconscio della percezione intellettiva, la violazione di una delle principali "raccomandazioni" del design grafico, quella di non cambiare il colore al marchio aziendale, mantenendo per esso una rigorosa identità, per ogni tipo di sua "manifestazione". Il marchio in questo caso è la vittima sacrificale di una variabilità cromatica (qui probabilmente dettata dalla volontà di distinguere le varie famiglie della gamma) che sarebbe bene evitare. Ci sono altre modalità per differenziare le varie serie di etichette. Ultima osservazione: tutto il resto dell'etichetta è visibilmente fin troppo "normale" e "classico". Ma tutto sommato è comprensibile visto l'ambito super-tradizionalista nel quale si colloca il produttore in oggetto.