Pistìn, Barbera d'Alba, Giacomo Grimaldi.
La "soluzione" di questo nome è semplice: la spiega il produttore, in breve, nel proprio sito web raccontando che Nonno Ernesto diceva sempre che "bisogna essere pistìn (pignoli in piemontese) per fare la barbera buona". Storia e tradizione, costume e territorio, tutto in una parola, dialettale, che per fortuna in questo caso è semplice, breve e foneticamente valida. Quindi "accessibile" in un certo senso, anche a chi piemontese non è. Suscita infatti simpatia con quel tal senso di diminutivo ammiccante. Insomma "suona bene". Quale occasione migliore per approfondire quel'aspetto dei nomi (in Italia soprattutto) che pesca a piene mani nella cultura regionale e contadina in generale? Basti pensare che le origini dell'accezione "pistino" sono tutt'altro che conclamate. Certo, ci sono numerose testimonianze che in Piemonte venga tutt'ora utilizzato per indicare una persona precisa, in senso positivo, pignola quindi, che fa le cose per bene, come è bene fare con il Barbera (diceva appunto Nonno Ernesto). Qualcuno dice che "pistìn" è una variante del toscano "pestino" da cui "pestinoso" (selvatico, che ha sapore forte, e quindi di carattere, per una persona che sa il fatto suo, che sa far valere le proprie ragioni). Mentre a Verona l'espressione corrispondente è "pilumino" (persona che cerca il pelo nell'uovo). Il web riporta anche che in Monferrato "pistà" è il sale grosso ridotto in fino e il mortaio con annesso pestello si chiamava "pistin", da questo il sospetto che il non lasciar uscire nemmeno un grano di sale (anticamente molto prezioso) era operazione da "pistìn", da precisini, insomma.