Karana, Colli del Limbara, Cantina Gallura.
Lo "strano" di questa bottiglia inizia dal vino, da quello che c'è dentro, prima ancora di quello che si vede fuori. Perché si tratta di un vino prodotto con uve Nebbiolo per il 90% (che di solito sta di casa in Piemonte centrale, nelle Langhe, nell'Altro Piemonte e in Valtellina, mentre qui siamo in Sardegna) e non solo: c'è anche una partecipazione di altri due vitigni, il Sangiovese (che di solito sta in Toscana o in Romagna) e del raro Caricagiola (questo sì, è vitigno autoctono sardo) in minima parte. Anche la denominazione è di quelle poco note "Colli del Limbara" (nome di un monte della Gallura). Ma veniamo al nome del vino: "Karana". Il produttore non ci aiuta con una definizione ufficiale e quindi andiamo a cercare da "mamma Wikipedia" e scopriamo che la parola Karana, in sanscrito, significa "fare" o "facendo" e che in particolare "sono detti Karana i 108 movimenti combinati di mani e piedi nella danza classica indiana... sono movimenti che coinvolgono l'intero corpo ma in maniera indipendente. Queste posture e unità di movimento costituiscono il vocabolario di base di una serie di sequenze nel teatro indiano". Probabilmente qui le intenzioni semantiche del produttore sono inspirate al "fare", al fattuale, che nel lavoro in vigna e in cantina ha ancora oggi, nonostante l'avvento di nuove tecnologie, un'importanza determinante. E il design dell'etichetta? Senza infamia e senza lode ma comunque equilibrata e di bella presenza.