B3, Spumante Metodo Classico,
Bosco Divino.
Bosco Divino.
L’etichetta di questo spumante veneto è molto avanti. Certo sarebbe necessaria una definizione di “avanti”. Ma quel tipo di definizioni sfugge, come l’arte moderna (cosa è moderno? Qual è il punto di vista temporale?) o il vino naturale (cosa è naturale? E via dicendo). In realtà questo vino è anche “naturale”. Pensate (e leggete) che in etichetta viene scritto “veganOk”. Ce ne sarebbe da dire riguardo una moda che sta già rotolando via, come quella dei vini vegani. Ma torniamo all’essere “avanti”. Graficamente vediamo forme nette, colori secchi, forme di sintesi. Una sterilità di packaging, diciamo “rigidità”, che ricorda certi annual tedeschi con le raccolte di design degli anni ‘80 (forse ‘90, forse dopo, i tedeschi non cambiano molto il loro modo di vedere, sono rigidi anche nel prendere la vita).
Notiamo: la scritta “spumante metodo classico” in verticale e in corsivo, non molto leggibile e il nome del vino in forma di sigla: “B3”. Una formula. Che certamente non vuole (o non vorrebbe, questo il punto) essere chimica, visto che l’azienda, che si chiama Bosco Divino, ha impostato tutto il discorso del concept e del marketing sul biologico e sul rispetto della natura (il claim che accompagna il logo aziendale recita: “la natura è innocente”, il vetro della bottiglia, la carta dell’etichetta e perfino la capsula superiore sono riciclabili, un gran lavoro). Cosa c’è che non va? Essenzialmente il nome. Troppo sterile, troppo sigla, troppo “nucleare”. Sembra che il 3 stia per i tre vigneti che apportano le uve per produrre questo spumante. Tre anche i vitigni che lo compongono: Pinot Noir, Chardonnay, Vespaiola. E anche per quanto riguarda lo stile generale del packaging diciamo che non contribuisce a trasmettere quel senso di genuinità campagnola che forse si vorrebbe.
Notiamo: la scritta “spumante metodo classico” in verticale e in corsivo, non molto leggibile e il nome del vino in forma di sigla: “B3”. Una formula. Che certamente non vuole (o non vorrebbe, questo il punto) essere chimica, visto che l’azienda, che si chiama Bosco Divino, ha impostato tutto il discorso del concept e del marketing sul biologico e sul rispetto della natura (il claim che accompagna il logo aziendale recita: “la natura è innocente”, il vetro della bottiglia, la carta dell’etichetta e perfino la capsula superiore sono riciclabili, un gran lavoro). Cosa c’è che non va? Essenzialmente il nome. Troppo sterile, troppo sigla, troppo “nucleare”. Sembra che il 3 stia per i tre vigneti che apportano le uve per produrre questo spumante. Tre anche i vitigni che lo compongono: Pinot Noir, Chardonnay, Vespaiola. E anche per quanto riguarda lo stile generale del packaging diciamo che non contribuisce a trasmettere quel senso di genuinità campagnola che forse si vorrebbe.