Primaluce, Tai e Pinot Bianco, La Costa.
Ha un bel nome questo vino. Nel significato, nella fonetica, nell’enfasi, appaga. Peccato per quello “spezzato”. E per le cromìe azzurrissime che tanto vinose (alimentari) non sono. Ma restiamo ai fatti, cioè a quello che ci racconta l’etichetta. Sulla sinistra vediamo dei tratti sottili a formare un cerchio aggrovigliato: una specie di gomitolo che ricorda il sole. Affermiamo questo anche perché siamo andati a leggere nel sito aziendale la descrizione del prodotto: “La raccolta viene effettuata alle prime luci dell’alba, quando i grappoli sono ancora freschi, in questo modo è possibile lavorare il prodotto ad una temperatura più bassa, preservandone la carica aromatica e conservandone la freschezza. Da qui l’etichetta Primaluce”. Un sole che sorge. Un sole che ha già donato i suoi raggi alle uve, nei mesi precedenti alla vendemmia, e che nel momento topico della raccolta non deve più nuocere con il suo calore. Da qui, come spesso accade con i vitigni bianchi, la raccolta all’alba, quando la frescura non compromette la freschezza del vino nascituro. Al centro dell’etichetta il nome del vino. In grande. Diviso in sillabe e separato anche dall’azione cromatica del nero e dell’azzurro. I tratti terminali della “M”, della “A” e della “U” sembrano note musicali. Donano decoro e dinamicità. Però il nome è pur sempre spezzato e questo gli impedisce di “danzare” (traduzione: vengono ostacolate la lettura e la memorizzazione). Alla base dell’etichetta, a destra, il logo e nome del produttore (La Costa, interrotto graficamente da una piuma). Riassumendo: nome molto bello, sole aggrovigliato, lettering disordinato. Ma si fa notare.