Vino Rosso, Gatta ci Cova

Branding winedesign
Gattabuia, Cabernet e Merlot, Tenuta Moraia (Piccini).

Il nome di questo vino è una parola in ampio disuso ma che si porta dietro diverse sfumature semantiche. Vediamo cosa dice Treccani: “Fra le diverse denominazioni alle quali è possibile fare ricorso per indicare il luogo in cui vengono rinchiuse le persone private della libertà personale, quelle più connotate, quanto a registro d’uso, sono le meno frequentemente passibili di usi estensivi: carcere, di uso comune, gabbio, gergale, galera, di uso comune, gattabuia, di registro scherzoso, guardina, familiare, prigione, di uso comune, reclusorio, non comune. Incerta è la trafila etimologica di gattabuia. Due, in particolare, sono le congetture più frequentemente proposte: la prima ipotizza un’alterazione del sostantivo gattaiola (“apertura fatta nella parte inferiore di un uscio perché vi possa passare un gatto”) incrociato con l’aggettivo buia; la seconda, invece, prospetta un rifacimento del latino parlato catugiam, derivato a sua volta dal greco katogeia “sotterranei”, da connettersi, probabilmente, anche con una serie di forme dialettali e gergali dello stesso significato (catoia, catuia, catorbia)”. Ma veniamo al design complessivo di questa etichetta. Molto scura, non tradisce l’accenno all’oscurità da parte del nome del vino. Risulta quindi piuttosto lugubre. Al centro vediamo un gatto nero (che non porta buono, nella tradizione popolare) rinchiuso in una gabbia dorata. Sensazioni disagevoli. Mistero e circospezione. Magia nera? Forse per “gattabuia” i creatori di questa etichetta intendevano proporre una versione romanzesca di una cantina (il Conte di Montecristo potrebbe dirci qualcosa al riguardo)?