Come Non Farsi Capire Bene
Una Sabbia che Diventa Bollicine: Tutto Torna
Sablà. Ribolla Gialla, i Clivi.
Il nome di questo vino, che potrebbe sembrare un riferimento al “sabrage”, termine francese che indica la pratica di stappamento violento a mezzo di una sciabola di un vino spumante (da “sabre”), si riferisce invece e molto probabilmente al tipo di terreno dove radicano le viti di Ribolla Gialla che lo compongono: si tratta di roccia arenaria formata da granuli assimilabili a una sabbia. Ed ecco qua il nome: come dire “dalla sabbia, oplà”, sintetizzando, “Sablà”. Il nome risulta compatto, simpatico, memorabile, attinente. Ma anche la grafica dell’etichetta ha uno svolgimento interessante. Su fondo nero molto charmant, spiccano delle grosse bolle, forse acini, forse entrambi. Guardando bene il packaging si notano delle sinuosità stampate con inchiostro lucido. Sono le colline friulane dove matura l’uva che serve a produrre questo Brut. Il risultato è molto impattante: abbiamo la nota cromatica, arancione, che attira molto l’attenzione (anche il tassello alla base spicca, e il nome si legge in modo chiarissimo), abbiamo pochi elementi ma molto distintivi (le bolle, il nome, il nero dello sfondo), abbiamo infine la “finezza” di quelle colline appena accennate, che letteralmente sbucano, discrete ma a loro modo protagoniste, fornendo all’elaborato un equilibrio invidiabile, tra impatto ed eleganza. Il vino, come promesso dal produttore, è morbido, l’esperienza cognitiva (che di fatto inizia quando l’occhio incontra l’etichetta) è completa.
Un Orange Tagliente dalla Sicilia Nord-Occidentale
Katamacerato, Catarratto, Elios.
Il nome di questo vino è di facile interpretazione, essendo il vitigno che lo compone il nobile, sia pure molto diffuso, Catarratto di Sicilia. “Kata” dalla prima parte del nome del vitigno, e quindi “macerato” per via della modalità di produzione che prevede 1 settimana di macerazione sulle bucce. Ma kata, dal giapponese (significa forma, modello, esempio), sta a indicare anche una serie di movimenti che servono per le varie tecniche di combattimento. In effetti nell’etichetta, con uno stile molto dinamico, si vede una figura vagamente orientale che con una katana (con la “n”, poi ci arriviamo) divide in due parti un acino d’uva. E qui giungiamo ad un ulteriore significato, forse il più importante visto che nella grafica il nome del vino viene proprio suddiviso così: “katama” poi “cerato”. La katana (ribadiamo, con la “n”) è una spada giapponese curva, a taglio singolo, utilizzata anticamente dai Samurai e oggi oggetto ornamentale (si spera). Certo che raccontare questa etichetta è un’operazione molto articolata. Catarratto + macerato + katana = Katama-cerato. Qualche perplessità, ma procediamo con i cromatismi che nel packaging sono molto aggressivi (come lo stile del disegno) grazie a un arancione molto pronunciato, su trame nere e bianche. Si tratta di un vino atipico, un “orange”, e anche l’etichetta si esprime in modo spregiudicato. Grazie alla giornalista del vino Sara Missaglia per la tagliente segnalazione!
Il Bianco e lo Spino a Montalcino
Biancospino, Blend di Bianchi, Fonterenza.
Siamo nelle famose e promettenti terre attorno a Montalcino, dove i vini rossi vendono cara la pelle, per così dire. Cioè rendono molto e sono, per questo, preferiti ad altre tipologie di raccolto. Qualche produttore, in questo caso due sorelle che da Milano si sono trasferite in Toscana, non disdegna la produzione anche di vini bianchi, seguendo trame antiche e vitigni quasi dimenticati. È il caso di questo “Biancospino” che nasce da una commistione di Trebbiano, Procanico, Malvasia e anche il raro Ravanese. Il nome del vino richiama quello di un alberello dai fiori eleganti e dai rami spinosi. Contiene non a caso la parola “bianco”, ad indicare la tipologia di vino. Nella gamma della stessa azienda infatti troviamo il “Pettirosso” (Sangiovese) che segue il medesimo schema comunicativo. Interessante l’impaginazione di questo packaging, in stile disegno amanuense, anche se la leggibilità viene compromessa dallo “spezzatino” verbale. Interessante anche il logo dell’azienda che a prima vista potrebbe sembrare un albero dalle alte fronde, invece, a guardar meglio si scorgono i profili di due donne, Francesca e Margherita Padovani, titolari dell’impresa, con la rispettive “chiome”. Nel complesso si tratta di una etichetta che sa farsi notare, con originalità, sia pure con semplicità e un approccio naturale.
Tralci Come Frecce per Comunicare il Vino
Un “Roggio” di Sole (e di Design)
Tutta la Pazienza che Serve
Tutto Perfettamente in Bolla
In bolla, Ansonica, Arrighi.
C’è ancora qualcuno che ha voglia di divertirsi. Fortunatamente. E che realizza etichette insolite e ironiche. L’efficacia, certo, è un altro aspetto che andrebbe esaminato a parte. Ma in ogni caso ci piace far notare questo packaging, per le sue caratteristiche un po’ folli. Il vino, un frizzante a base Ansonica che nasce all’Isola d’Elba, si presenta col nome “In bolla”. Notoriamente nello slang interregionale italico, forse di più al nord, si dice “bolla” per indicare un vino spumante, frizzante, sparkling. “Stasera ci beviamo una bella bolla…”. “Che ne dici di una bolla?”. Sono frasi ricorrenti. Dalle parole alle immagini: al centro dell’etichetta vediamo, con stile illustrativo-fumettoso, una bimba vestita di rosso, sdraiata e sognante dentro… una bolla! La forma è quella di una bolla di sapone, ma in questa situazione iconografica vale tutto, l’immaginazione viaggia. Nient’altro se non il logo aziendale in alto. Da notare che “in bolla” significa anche, in un linguaggio tecnico da carpentieri, essere in perfetto equilibrio orizzontale (la bolla è uno strumento che serve per attestare la perfetta linearità delle superfici). Ma “essere in bolla” significa anche essere un po’ ebbri. Insomma largo alle interpretazioni, fermo restando che la giocosa innocenza della bambina vestita di rosso ci porta un un mondo di simpatica convivialità.