Azienda Agricola La Distesa.
Etichetta molto “naturale” per Corrado Dottori, una delle più recenti rivelazioni della viticoltura marchigiana. Il vino, a base Verdicchio, si chiama Terre Silvate (da “silva” in latino, foresta) e al centro dell’etichetta vediamo una bella raffigurazione di un tralcio. Ma è la filosofia di questo produttore che ci ha colpito, il suo modo di pensare e, di conseguenza, di produrre vino. Non ci rimane, per questo post, che lasciare spazio alle sue parole che dicono tutto: “A pensarci bene i miei vini sono solo un mezzo. Il mezzo con cui cerco di esprimermi, di rappresentarmi in questo mondo, di dare un senso al mio rapido passaggio sulla terra. Non ho mai smesso di vivere di sogni. La mia ambizione è quella di creare un luogo, uno spazio, che sia contemporaneamente fuori dal mondo eppure fortemente radicato nella contemporaneità. Che tra-passi certe contraddizioni solo apparenti: città e campagna, progresso e conservazione, lavoro manuale e intellettuale, tecnologia e umanesimo. Un luogo da dove poter guardare la realtà con la convinzione di stare su una strada differente. Non mi interessa solo fare una bottiglia di vino per venderla su un mercato. Mi piacerebbe, invece, con quella bottiglia di vino raccontare la storia dei contadini marchigiani, contribuire a veicolare biodiversità, ecologiche e culturali, tentare di indicare possibilità differenti. In questo senso il vino è uno strumento eccezionale. Può essere un vero paradigma di un "locale" culturale che si fa "globale" economico. Di un manufatto "originale", nel senso che non può prescindere da una specifica e costituente origine. Ma che viene scambiato su un mercato globale, nel senso meno deteriore del termine: non il grande mercato della finanza improduttiva. No. I mercati come scambio, contaminazione, dialogo delle identità e delle culture. Questo vorrei che fosse il mio vino. Qualcosa che parla dell’Italia, delle Marche, di Cupramontana, di me stesso. Qualcosa che si versa nel bicchiere per far stare bene la gente. Per farla ubriacare di vita. Per rendere un po’ più innocuo il vuoto”.