Etichette misteriose, etichette da interpretare, etichette forse mistiche. Ma un'etichetta che non riesce a comunicare con il proprio "pubblico" è lavoro sprecato. Questo luminescente packaging (la preziosità della carta argentata e la qualità di stampa non si discutono) è di difficile leggibilità e ancor prima (di tentare di leggere) risulta difficile la visione d'insieme, la percezione, la comprensibilità. Cerchiamo di illustrare meglio i contenuti: nella parte superiore dell'etichetta c'è un bollo che fa riferimento all'azienda (l'antica Certosa dei Frati di Pontignano), un disegno del complesso religioso sullo sfondo e quindi le scritte che definiscono la tipologia di vino, riportate in primo piano. Il tutto realizzato con diversi "livelli" di cromìe argentate che di fatto impediscono una immediata fruizione dell'etichetta e dei suoi contenuti. Pace agli uomini di buona volontà!
Dentro è Molto Meglio
Chorus, Fiano di Avellino.
Molti "difetti" nell'etichetta, molti pregi in bottiglia. Dicotomie che in Italia spesso si manifestano in ogni regione e per ogni tipologia di vino. Siamo di fronte a un valido Fiano di Avellino, venduto dalla Gdo con un ottimo rapporto qualità-prezzo. Ma l'etichetta non gli rende onore e merito: sia pure che il colore giallo risulti molto visibile in scaffale, quella forma rotonda che ricorda banalmente un adesivo non è certo valorizzante. Un grappolo d'uva stilizzato in modo decisamente anonimo (ricorda piuttosto le sfere dell'albero di Natale), contiene il nome, in parte scritto su un acino, "Cho" e in parte fuori di esso, "rus", davvero poco visibile per il colore bianco del carattere che va a perdersi un un mare di giallo. Idem per la denominazione scritta in basso a destra, vittima del medesimo problema. Il nome sarebbe anche di un certo "tono" culturale (anche se più adatto per un vino in assemblaggio, concettualmente), se solo si riuscisse a leggere bene (le interruzioni cromatiche di una parola, in ogni caso non agevolano la leggibilità). Un'etichetta, quindi, che vuole essere moderna ma riesce solo ad essere confusa.
Triangolare Ancestrale
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All'Avanguardia dell'Arretratezza
Moscato d'Asti, Bera.
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Spesso il Packaging dà i Numeri
1909, Lugana, La Ghidina.
Ancora un'etichetta, un'azienda, con la passione per i numeri. In questo esempio si suppone (non viene rivelato nel sito aziendale) che il numero possa essere la data di nascita dell'azienda o della avita fondatrice. La data in questione, in questo caso diventa nome (ci risiamo: poco memorabile, dispersivo, comunque non caratterizzante, come quando Nokia si intestardiva a chiamare i propri telefoni 3310, 4650, 6690 etc etc... oggi ha imparato, li chiama Lumia). La data protagonista di questa etichetta in particolare è anche icona, immagine, visual "a tutto campo". Elegante l'uso del nero e dei contrasti (opzione comunque azzardata, il nero, per un vino bianco), lascia invece perplessi la scelta del carattere di stampa dei numeri: uno stile dark-metropolitano-postatomico che probabilmente non si addice a un vino e che contrasta nettamente con lo stile della scritta superiore in graziato. La valorizzazione di un vino passa attraverso codici classici che quando vengono "modernizzati" rischiano lo squilibrio. Come nell'architettura quando al restauro conservativo di un antico palazzo si vanno ad aggiungere elementi stilistici di design. Non è facile renderli compatibili e omogenei.
Specialmente Niente
Cosa c'è di speciale in questa etichetta? Niente. Probabilmente è questo il problema. Vediamo nel dettaglio: il colore di fondo è abbastanza comune per un vino, è quindi coerente con il prodotto ma è in grado di "stagliarsi" poco sullo scaffale e in generale agli occhi degli acquirenti; l'immagine principale ritrae un tipico casale toscano (facile che sia la sede del produttore, logico e lineare) che è poco visibile, non valorizzato, in quanto il tratto è poco contrastato e sparisce nel tono cromatico scuro dello sfondo; emerge un piccolo logo bianco (troppo piccolo per essere evidente e anche fastidioso, perché "chiareggia" su un totale scuro dell'etichetta); una anonima cornice racchiude dei testi centrati per i quali viene utilizzato un carattere tipografico molto generico; il nome del vino sembra essere Vigna Poggio del Sole, ma chissà quanti poggi al sole ci sono in Italia (inoltre il messaggio anche in questo caso è generico, parla di una vigna ben esposta... so what?). Il suo lavoro questa etichetta lo fa. Ma lo potrebbe fare molto meglio con qualche intuizione in più, con qualche guizzo creativo, insomma con qualche buona idea di quelle cha fanno del naming e del packaging un'arte figurativa e comunicativa molto raffinata.
Eclettico a Tutti i Costi
Sembra che per giustificare le cifre astronomiche richieste, i produttori di Champagne siano disposti a farne di tutti i colori, con il vino e con le etichette. La valorizzazione della mitizzata (anche troppo) bevanda frizzantina d'oltralpe si spinge ben oltre i canoni del cru in vigneto o delle "mescolanze" segrete di alcoli e zuccheri. Ecco allora che la competizione (e l'illusione) si spinge fino alla progettazione di confezioni stravillanti, strabilianti, strabordanti. Forse per il mercato asiatico, e russo in particolare, queste esagerazioni funzionano ancora. Certo hanno un costo significativo che di sicuro non viene assorbito dai produttori, bensì "fatto pagare" agli incauti (e spendaccioni) clienti. La vita è rosa e lo Champagne è sempre una gran "bella gioia" (e un ottimo giro d'affari).
L'Universo del Vino in un Passito
Bambulè, Verdicchio Passito, Fattoria Coroncino.
Dicono gli esperti che il bambulè è un simbolo "mantrico", chiamato più frequentemente Om (o Aum o Ohm). Significa "eterno" e in pratica rappresenta la ripetizione, il ciclo infinito dell'universo. Nell'induismo ha un significato spirituale molto profondo: sarebbe il suono primordiale dell'universo. Per altri il bambulè è una danza africana molto euforica e movimentata. Fatto sta che la Fattoria Coroncino ha chiamato così il suo Verdicchio Passito, "vestendolo d'infinito", grazie anche a una colorata rappresentazione di grappoli baciati dal sole. Un'etichetta molto originale, con cromatismi insoliti (azzurro e arancio) dall'effetto euforizzante. Coraggiosa e anche un po' psichedelica.
3 Nomi: Fortuna, Toponomastica, Creatività
Chiarofiore, Chiassobuio, Cantomoro, Tunia.
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8 Colombe per Volare Alto
Il Drago e le 8 Colombe, Igt Toscana, Fattoria del Colle.
Il sito di questo intraprendente produttore toscano, riguardo a questo vino Igt recita così: "con l'arrivo dell'enologa Valerie Lavigne (un nome, un destino!) lo staff tutto femminile delle cantine di Donatella Cinelli Colombini aumenta di organico: le colombe in volo, simbolo del Progetto Prime Donne, diventano 8. Ecco dunque che il vino Il Drago e le 7 Colombe..." aggiorna il suo numero e arriva a 8. E lo fa, notiamo noi, con una simpatica soluzione grafica, collocata in ogni caso all'interno di una etichetta insolita e quindi molto originale, in grado di farsi osservare e ricordare, grazie anche a una scelta cromatica di forte impatto. Bella anche l'illustrazione e la cartotecnica. Criticabile forse il carattere di scrittura prescelto, soprattutto per le diciture legali in basso. Un progetto comunque che denota estro imprenditoriale e creativo. 8 donne (e 1 Drago, maschio, il marito della titolare) alla conduzione di una azienda vinicola, a partire dall'enologo, non si vedono tutti i giorni.
Primo e non Sempre Unico
Il nome di questo vino "primeggia" in quando volontà di essere unico e originale. Vuole comunicare leadership di prodotto per qualità e preziosità. Nel dettaglio (cliccare sull'immagine per ingrandire) la scelta di inserire il numero 1 al posto della lettera "i" rappresenta un ottimo vezzo (e gesto) creativo, ma in generale le denominazioni legate a concetti come primo, unico, numero uno, et similia, sono inflazionate in ogni parte del mondo. Sarà forse questo un tentativo di emulare Opus One, il celebre vino californiano? Il nome di questo vino argentino è comunque breve e incisivo, l'etichetta che lo "sostiene" è elegante, preziosa, ben progettata negli spazi, nella cartotecnica e nelle cromìe. Nel complesso questa bottiglia si presenta molto bene e riesce a valorizzare il vino che contiene. Il riferimento, direttamente sul fronte dell'etichetta in basso, al numero limitato della produzione aggiunge ulteriore "valore" alla percezione. Siamo quindi di fronte ad un ottimo esempio di packaging.
Grato allo Stomaco, Giocondo al Palato
Il nome di questo vino si ispira a un filosofo italiano del 1500, tale Ortensio Lando che tra altri scritti affermò che "...bevei un vino che credo fermamente ch'egli sia il miglior che al mondo si beva". Questo in occasione di una sua visita a Teglio nella zona di produzione di quel "Nebbiolo di Montagna" chiamato localmente Chiavennasca, in Valtellina. Un omaggio all'antenato letterato, quindi, che ai tempi, di questo vino disse anche "...grato allo stomaco, utile ai nervi, giocondo al palato...". Una scelta originale quella del produttore, quella di agganciarsi a un nome storico con la conseguenza di valorizzare l'aneddoto relativo al personaggio e di darsi quindi una immagine storico-culturale. Inoltre un artista ha dato compimento all'etichetta creando la raffigurazione del personaggio in questione, nel bollo centrale. Il risultato complessivo può considerarsi originale, pregnante e anche visivamente (oltre che concettualmente) impattante.
Il Canto del Gallo
Il simbolo di questa cantina cooperativa che opera sul confine Italo-Svizzero di Tirano in Valtellina, è un gallo tipicamente francese. Sì proprio il gallo che i francesi hanno eletto a simbolo nazionale, proprio quel galletto lì. In questo caso la scelta (e anche il nome di uno dei vini della gamma, Gallo) è riconducibile al nome di una vigna storica dove maturano le uve aziendali. Etichette molto essenziali, quasi tipografiche, che non si diffrenziano molto una dall'altra (e questo può essere un problema "da scaffale") se non per il nome (l'altro vino qui esposto si chiama Incanto). Leggibilità ai limiti del consentito. Sensazione generale di arretratezza. Chiamiamola storicità per salvare il salvabile.
Un Nome Proprio? Proprio No.
Red E.Motion, Merlot/Cabernet F., Luisa.
La presunta eleganza "dark" di questa "stilosa" etichetta prende forse abbrivio dai "ghirigori" delle sue decorazioni e dal carattere di stampa graziato (quello che, ad esempio, allunga la L di Luisa). Ma rimaniamo sul territorio del naming: abbiamo il nome del produttore, Luisa, elevato a nome distintivo della bottiglia, cioè riportato in grande evidenza. Poi il nome del vino specifico, Red E.Motion. Non ci siamo. Nel primo caso, Luisa, appartiene alla sfera di nomi propri, problema già analizzato in altri post, che non fornisce personalità al marchio generando, inoltre, in questo caso, un corto circuito mentale: Luisa, chi? Una tua amica? No, è il nome del produttore. E' una donna? No sono tre uomini (si vedono nell'effice: padre e due figli maschi). Quindi il nome del vino, Red E.Motion (c'è anche in gamma un White E.Motion) che sfrutta un ambito "internettiano" con una scelta ormai inflazionata e per di più esageratamente "modernista".
In pratica, molti produttori, con in vini "da giovani", maketizzati come "spligliati e informali" (che spesso sono vini secondari, seconde spremiture di uve non selezionate), vogliono fare i grintosi con l'inglese e con denominazioni web-oriented. L'esercizio semantico del tecnicismo modernizzante è un equilibrismo che richiede estro e sensibilità, e non velleitari azzardi.
In pratica, molti produttori, con in vini "da giovani", maketizzati come "spligliati e informali" (che spesso sono vini secondari, seconde spremiture di uve non selezionate), vogliono fare i grintosi con l'inglese e con denominazioni web-oriented. L'esercizio semantico del tecnicismo modernizzante è un equilibrismo che richiede estro e sensibilità, e non velleitari azzardi.
Nomi che Evocano, Negativamente.
Come in molti altri casi il nome di questo vino trae origine (e originalità, nelle intenzioni del produttore) dal nome dialettale-storico del vigneto di riferimento. Seccal. Con tutto (davvero tanto) rispetto per il "territorio", per la storia, le tradizioni, le origini, etc etc, i difetti di questa definizione stanno nella eccessiva "regionalità" (e questo è già stato più volte detto) e soprattutto nel significato evocato dalla semantica: Seccal ricorda secco, asciutto, arido. Che per la vite va anche bene in determinate circostanze, ma in generale il secco, inteso come siccità, non evoca immagini positive. Volendo trovarci qualcosa di buono possiamo dire che l'immagine eventuale e l'idea di "gola secca" potrebbe invogliare alla beva. E questo naturalmente è molto positivo. Analizzando il resto, la grafica dell'etichetta è pulita, essenziale, ma nel suo complesso certamente migliorabile.
Può un Lambrusco chiamarsi Marcello?
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La Cura dei Particolari

Wessa (Wildlife and Environment Society of South Africa) ha commissionato a un produttore locale un vino rosso in edizione speciale per promuovere la raccolta fondi per le proprie iniziative. Bravi anche i designer che hanno interpretato l'anima del Sud Africa in modo creativo, minuzioso e graficamente elegante. La "Cura" che fa del nome del vino un punto cardine del concetto, si ritrova nell'accuratezza dell'illustrazione centrale in grado di generare attenzione verso la difesa dell'ambiente naturale, attività primaria del committente. Cura che siamo certi sia stata riposta anche nella creazione del vino, a base Shiraz, con il contributo di altri 4 vitigni (Mourvèdre, Carignan, Petit Verdot, Viognier). Maggiori informazioni sull'iniziativa, cliccando qui.
La (Tipo)Grafica "Moderna" del Vino
Dolcissimo e Rosato, Viniterra.
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