Si tratta di un vino spumante di quelli "non meglio identificati", che sul mercato italiano non risultano (e nemmeno nel sito del produttore). Vino da export che ben sopporta i mercati esteri. O viceversa. Il nome è curioso: "Kelbon". Una specie di "stranierizzazione" del dialetto veneto (siamo sulle colline di Conegliano, come provenienza). "Kelbon" infatti riconduce facilmente alla traduzione in "quello buono", alludendo logicamente al vino migliore della casa. Basta infatti una "K" per rendere una forma dialettale decisamente "appeal" dal punto di vista della percezione semantica. La scelta di spezzare il nome in tre sincopi e la scelta del tipo di carattere (il font, il tipo di lettere con le quali è scritto il nome) molto giocoso, quasi fumettoso, danno una connotazione giovane e scanzonata. La pulizia generale dell'etichetta, molto sobria, grande attenzione/presenza del nome, mentre le altre scritte, poche, sono molto più piccole, aiuta a generare una immagine moderna, a suo modo elegante e anche fuori dagli schemi. Certo un nome che nasce da una forma dialettale, proposto all'estero perde tutta la sua poesia territoriale per acquisire però (grazie anche alla "K", così misterica ed esterofila) una dimensione fashion che male non fa (laggiù nelle americhe o nel profondo nord dei licheni). Kelbon agli stranieri e Quello Buono ce lo teniamo noi, verrebbe da dire. P.S.: sulla legalità della dicitura "prosecco" in etichetta non ci pronunciamo, tanto è una jungla ovunque.