Hallowed Ground, Blend di Rossi, T-Vine Winery.
Abbiamo notato questa etichetta non tanto per il nome del vino (ma ci torniamo più avanti), quanto per il nome dell’azienda vinicola. E per la sua concettualizzazione in etichetta. Quello che si vede subito, guardando la bottiglia a colpo d’occhio, è una “T”, e osservando meglio ci si accorge che è una lettera fatta con un tralcio, una vite simil-alberello. Si vedono, nell’illustrazione ben realizzata, le tipiche screziature del legno di vite. È quasi umana quella vite a forma di “T”. E in più ricorda una croce, qualcosa di sacrale. Volendo aggiungere altri elementi e commenti positivi possiamo notare che la pronuncia di “T-Vine” sarebbe “tivàin”, molto simile, in inglese a “Divine” cioè divino. Solo un gioco di parole? Non solo. Il tutto “sta insieme” molto bene. È semplice, diretto, significativo. A livello tecnico è molto bella anche la carta dell’etichetta, rugosa e “terrosa”, pugnace e sincera. In generale il packaging design è ordinato, rurale ma elegante. La S celta dei caratteri di scrittura è ottimale, i colori sono equilibrati, non c’è nulla di più e nulla di meno di quello che serve ad assicurare una percezione valoriale e coerente.
L’azienda si trova in California e produce un serie di vini di ampio commercio. Insomma fa le cose per bene a partire dall’immagine che vuole fornire di sé. Il nome del vino in questione è anch’esso interessante: “Hallowed Ground” che tradotto sarebbe Terreno Consacrato, in quanto le uve che servono a produrre questo vino vengono da un antico vigneto che gli avi degli attuali produttori avevano scelto e “consacrato” alla loro iniziale impresa. Sempre con il significato di indulgente sacralità della quale è pervasa tutta la comunicazione dell’azienda. Qualcosa da imparare c’è, in fatto di vino, anche dagli americani. Quanto meno per l’advertising.