Si poteva fare meglio. Sì, decisamente. Non è una critica fine a se stessa, no. Prendiamo in esame questa etichetta di un piccolo produttore valtellinese affinché possa essere anch’essa d’esempio, così come lo sono quelle più virtuose. Certo, gli elementi di questa analisi sono quasi tutti negativi. Ma anche questo serve per capire meglio le logiche del packaging. Partiamo dall’unico aspetto positivo: quell’uccellino in alto a destra, simbolo di ambiente naturale, di ruralità, di ecologia, descritto, sia pure con caratteri molto piccoli, con il suo nome in latino: Clamator Glandarius. Praticamente il Cuculo. Il nome del vino lo conferma: “Dosso del Cuculo”. Sicuramente è meglio il nome scientifico di quello “volgare”. Salvo avere l’occasione di ricordare quel bellissimo film con protagonista Jack Nicholson che viene annoverato al titolo di “Qualcuno volò sul nido del cuculo” (in gergo americano, il manicomio). Vediamo qualche particolare dell’etichetta: il carattere con il quale è scritto il nome del vino è anacronistico, diciamo “datato”, oltre che poco leggibile; in totale, i caratteri di stampa, presenti tutti insieme, tutti diversi, nel medesimo fronte-etichetta, sono almeno 5, forse 6: non si dovrebbe fare; l’impaginazione dei testi è un po’ a bandiera sinistra, un po’ centrata, senza una logica; il tassello verde scuro che si staglia su tutto il resto e che contiene il riferimento alla tipologia di vino (Rosso di Valtellina) risulta troppo invadente e anch’esso senza un nesso, cromantico o altro (se non essere dello stesso colore del simbolo del vetro riciclabile alla base, ma anche questo particolare non è determinante). Nel complesso si tratta di una etichetta che avrebbe bisogno di un sostanziale rifacimento. L’azienda, individuale, che risponde al giovane Pietro Selva (che ha registrato il nome aziendale come “Selva Pietro” e non sarebbe corretto) è nata nel 2010. Avrà tempo per introdurre le giuste migliorie strada facendo.