Sperando che Non Siano Cavoli Amari

Cavolo, 
Amarone della Valpolicella, 
Brigaldara.

L’Amarone è un vino che ha voluto e saputo presentarsi ai mercati internazionali con un’aura di prestigio e di raffinatezza, a dispetto della sua origine campagnola (e dei vitigni “fruttoni” che lo compongono). Importante quindi, non solo il metodo di produzione, ma anche la veste, l’immagine, la comunicazione. Oggi l’Amarone si posiziona, a livello di prezzo, molto in alto. Le etichette dei vari produttori di spicco sono molto simili tra loro. Molto classicheggianti. Compresa questa che mostriamo qui a sinistra, dell’Azienda Brigaldara. Quello che ci ha stupito è il nome del vino: “Cavolo”. Certamente un vegetale molto salutare, il cavolo, ma anche molto “grezzo”, nei suoi sapori e odori. Un cibo spartano, da trattoria. Cosa cavolo c’entra tutto questo con un Amarone? Dunque, l’origine è toponomastica: a Grezzana, in Valpantena, sottozona della Valpolicella, c’è una via, una zona, una collina, un vigneto che storicamente si chiama Cavolo. E quindi l’azienda in questione non ha resistito alla tentazione di chiamare così, storicamente, il proprio Amarone. Ma, “cavolo!” diciamo noi, un nome così invece che nobilitare, svilisce. Soprattutto per un Amarone Docg che, come si diceva all’inizio, vuole rappresentare la punta di diamante delle produzioni venete. Infatti, leggendo il nome del vino direttamente in etichetta, il cervello non può che andare a pescare in ricordi gastronomici, probabilmente non totalmente felici, legati all’ingrediente chiamato cavolo e a tutti i suoi derivati. Certo una minestra di cavoli non si nega a nessuno, ma di certo non si presta ad essere degustata con un vino rosso di grandi velleità. E col cavolo che l’Amarone riesce a coprire gli afrori di questa varietà Brassica delle Crucifere!