Figlio di un Vitigno Minore (o Superiore?)

Il Buon Bastardo, Cabernet Sauvignon, Cantina Gaffino.


Può esistere un “buon bastardo”? Oppure siamo di fronte ad una contraddizione in termini, ad un conflitto semantico? Sicuramente si tratta di un corto circuito percettivo, probabilmente voluto, in grado di innescare la miccia della curiosità. Il vino, dunque, si chiama “il Buon Bastardo” e si tratta di un Cabernet Sauvignon del Lazio. Sarà questa la “bastardaggine”? Un vitigno che, sia pure universale, con quella zona nulla c’entra. Vediamo di approfondire. Innanzitutto apprendiamo attraverso l’elegante sito del produttore una curiosità riguardo il Cabernet: “La prima menzione ufficiale appare con il nome “Petit Cabernet” nel Libro delle uve di Antoine Feuilhade, scritto tra il 1763 e il 1777. Nel 1784 Dupré de Saint-Maur ne scriveva in un catalogo chiamandolo “Grande cavernet (sic) sauvignon”. Il nome “Cabernet sauvignon” appare per la prima volta solo dopo il 1840”. Buono a sapersi. Del resto, il “bastardo” in questione si presenta smargiasso in ogni continente. Il mondo è casa sua. Passando ad una breve analisi dell’etichetta negli aspetti di design, possiamo dire che il fondo monocolore attizza, le parole piccole attirano, il packaging in generale attrae. Da notare in alto, sotto al nome della cantina, la dicitura “Post Vinum Eloquentes”, vale a dire che il vino fa parlare, o ancora meglio cantare. Bastardo ma verace.