Rosato, Gotto d’oro.
Che dire? L’allegorico carretto che è stato eletto a simbolo di questa grande cantina cooperativa è ormai nell’immaginario collettivo. La maggior parte del popolo italiano si è abituato a vedere questa etichetta sugli scaffali della grande distribuzione. Molto colorato il soggetto illustrato, molto colorato in generale il packaging, capace di attrarre l’attenzione grazie alla prevalenza del giallo, un “codice colore” poco utilizzato in Italia (tipico, ad esempio, per i vini alsaziani). Il nome dell’azienda e di conseguenza di questa linea di vini è “Gotto d’oro”: il richiamo è alla tradizione, a una certa antichità, con la parola “gotto”, dal latino “guttus”, cioè recipiente di vetro utilizzato per bere, bicchiere, boccale, tazza o vaso. Ma troviamo anche un’origine in “gutta”, cioè goccia, stilla. Insomma, è una parola “vecchia” ma bella, e per di più è breve e suona bene. E poi c’è l’oro, che nobilita, aggiunge valore, immancabilmente. Per il resto l’etichetta tradisce caratteri di scrittura graziati e arcaici, con buon ordine grafico e delle proporzioni, nonchè possiamo notare una cornice antica che contiene e raggruppa gli altri elementi. Il risultato è gradevole, il prodotto non perde di valore, nonostante il posizionamento di prezzo e di marketing. Per quanto riguarda l’invito all’assaggio, lasciamo fare agli affezionati e fedelissimi clienti di questo marchio.