Siamo di fronta a un nome originale, un neologismo, come si dice in termini tecnici, che nasce dalla fusione, dal "rimescolamento", dei termini "barrique" e "coccio", parola che in Toscana significa terracotta. Togliendo dalla parola francese (barrique) il francesismo (que) e aggiungendo una parola autoctona (coccio) si arriva a Barricoccio. Tra l'altro si tratta di un nome che vale per due, visto che definisce l'invenzione di una botte in argilla cotta a forma di barrique e naturalmente anche il vino che in essa viene posto ad invecchiare. L'operazione quindi è multiforme: strutturale (funzione enologica in cantina) ma anche di marketing (farsi notare con un nome insolito, coerente con tutto il discorso produttivo che si cela dietro al processo stesso). Raramente si assiste, nel panorama vitivinicolo italiano, a operazioni "complesse", forse anche coraggiose, come questa.
Bella trovata quindi, per molte ragioni: pone l'attenzione sulla modalità di produzione del vino, giustificandola con argomenti qualiativi e finalizza la comunicazione rendendo protagonista il nome stesso della "pensata", direttamente sull'etichetta del prodotto. Di per sé, tra l'altro, "Barricoccio" è un nome simpatico, un po' "gargantuesco", rappresentativo di una certa "parlata" toscana (l'azienda è nel livornese), foneticamente armonico, intelleggibile anche all'estero, memorabile. Anche l'etichetta è apprezzabile dal punto di vista della grafica, della cromìa, dell'impaginazione. Un ottimo lavoro da parte del gruppo Arcipelago Muratori, proprietario della tenuta.